Buon Compleanno Paolo Sorrentino: il regista narratore della solitudine e della malinconia
La filmografia e la poetica di Paolo Sorrentino, il regista premio Oscar che ha fatto discutere e sognare portando in sala film come Il Divo, Loro, La grande bellezza. Scopriamo insieme i temi salienti della sua filmografia e i personaggi che fa incarnare nella sua musa: Toni Servillo.
Uomini soli e miserabili, potenti e facoltosi, intrisi di struggente malinconia, disgraziati e estremamente depressi. Un mondo sospeso tra sogno (di essere qualcuno, di amare qualcuno, di diventare qualcuno) e vuoto, tra lacrime amare e danze sfrenate, tra l’altare e la polvere. Questo è Paolo Sorrentino, uno dei registi più interessanti del cinema italiano e internazionale, tornato da poco al cinema con i due capitoli dell’ambizioso Loro, complessa disamina antropologica su Silvio Berlusconi, corpo di un Capo, metafora di desideri, sogni, speranze di chi avrebbe voluto come lui. La sua filmografia si muove tra la solitudine del potere nel suo declino (Il divo), il racconto della vecchiaia (Youth e La grande bellezza) e l’ossessione erotica mai risolta (Le conseguenze dell’amore), restando intrappolata in un’atmosfera di dolce mestizia.
Paolo Sorrentino: il racconto della disperazione di amici di famiglia e uomini in più
Il cinema di Sorrentino non abbraccia i vincenti, o non solamente, non racconta le persone che hanno sempre il vento in poppa, infatti l’autore ama i personaggi fragili, eccessivi, bambini mai cresciuti, immaturi, sempre in sfida con il mondo, con l’universo, con qualche dio. Paolo Sorrentino guarda con tenerezza le sue creature, animali speciali e talmente sbagliati e li fa sembrare piccole divinità tutte pagane. Il regista culla e protegge Geremia, brutto e disarmonico usuraio protagonista di L’amico di famiglia, tormentato da continue emicranie (punto in comune con l’Andreotti di Il divo), si insinua nella sua coscienza, abita il suo corpo, zoppo e ingobbito dalla brutale avarizia, abita la sua casa misera quanto lui. Il modo in cui Geremia avvolge e stringe a sé, tra le sue spire poveri disgraziati tanto quanto lui è ripugnante – come si comporta con le donne ne è una prova – ma tra le mani del demiurgo Sorrentino questo “comprare gli altri” diventa quasi un ultimo atto pietoso e disperato per non soccombere in un mare di solitudine. Nello stesso mare annegano tristemente le vite di altre sue maschere, i due Antonio Pisapia, eroi tragici di L’uomo in più: l’uno cinico e rassegnato cantante cocainomane (Toni Servillo), l’altro calciatore (Andrea Renzi) un po’ ingenuo che ha in sé un mal di vivere lacerante e logorante. Come un genitore che tiene per mano il figlio più infelice così Sorrentino accompagna, con occhio tenero e rispettoso, i suoi protagonisti nel momento in cui toccano il fondo e vengono estromessi dal mondo di cui hanno fatto parte. Entrambi perdono tutto (famiglia, lavoro, anche se stessi), a poco a poco, e la storia dell’uno si riflette come in uno specchio in quella dell’altro, e in macro si riflette in tutta la filmografia di Sorrentino. I suoi fantocci cadono, si rialzano perché credono di avere una nuova possibilità, poi però ricadono ancora una volta e questo all’infinito, spinti da un’eterna vanagloriosa voluttà di qualcosa (potere, danaro, successo, donne, vita). Nelle pellicole di Sorrentino si guarda sempre nel vuoto, come in una sospensione emotivo-esistenziale, come in un’attesa perenne di qualcosa o di qualcuno.
Paolo Sorrentino e i suoi film politici: tra divi ed ex caimani
Un volto trafitto dagli aghi dell’agopuntura, un corpo ingobbito dagli anni e dalla fatica di chi ha portato sulle spalle il peso del potere. Un sorriso, quello beffardo e sornione dell’uomo di spettacolo, un volto tanto finto da sembra una maschera grottesca e spaventosa. Giulio Andreotti e Silvio Berlusconi non potevano non affascinare Paolo Sorrentino, interessato non tanto all’ascesa di uomini dalla natura granitica, ma alla loro decadenza, al loro annaspare per rimanere ai vertici. Si sofferma su due Presidenti del Consiglio concentrandosi su Giulio Andreotti ne Il divo e su Silvio Berlusconi in Loro 1 e in Loro 2, interpretati da Toni Servillo. Statista abilissimo l’uno, padre della politica pop l’altro, l’uno il Gobbo, il Papa Nero, Belzebù, l’altro il Caimano, il fruitore finale, Papi, nonostante le differenze entrambi hanno una personalità impenetrabile in cui il cineasta attinge a piene mani.
Sorrentino porta sullo schermo due delle figure più controverse della politica italiana senza però fare una critica politica ma vuole rappresentare dei tipi umani e anche la società di cui sono lo specchio: i due sono soli al comando (o soli all’opposizione), soli quando sono assieme agli altri – pensiamo alle feste a cui entrambi partecipano -, soli mentre giocano la loro partita con la Storia – tutti e due vogliono dimostrare ancora e ancora di essere necessari. Servillo da una parte dà corpo ad un Andreotti profondamente umano – quando sente alla tv con la moglie Renato Zero che canta I migliori anni della nostra vita -, colpito da terribili emicranie, dall’altra ad un Berlusconi, chiamato Lui, tristemente invecchiato, messo da parte, “parodizzato” eppure mai così umano, reso un malinconico clown che inizia a perdere tutte le caratteristiche che rendevano il suo corpo, quello di un Capo e di una star “psicotica” per il modo di polarizzare le ossessioni. Sorrentino scrive, sia con Il divo che con Loro, la parabola discendente di due politici che sono triste e inquietante metafora della storia del nostro paese, li rende talmente tanto vicini da farli sembrare una parte di noi.
Paolo Sorrentino: un mondo corrotto e decadente
Nonostante le feste e la finta allegria, nonostante la povertà e i problemi economici, il mondo rappresentato da Sorrentino è profondamente disperato e solo. Il mondo/società è specchio dell’uomo che lo/la vive, e il regista scivola nelle esistenze tra grottesco e poetico, tra ruvidezze e levità, tra riso e pianto. I suoi personaggi sono esseri meravigliosi proprio nella loro brutale imperfezione (quella di un usuraio che vive da poveraccio, quella di Cheyenne, protagonista di This Must Be the Place, una rockstar del passato, attanagliato da una prigionia mentale) come lo sono quei luoghi corrotti, decadenti, ma espressione del cammino dell’uomo. Il regista napoletano penetra nella mente, nelle carni, nelle ossa di chi si trova nel momento più disperato riuscendo a cogliere ogni battito di ciglia, ogni impercettibile movimento del viso, sveste il Re e, ormai Nudo, mostrarlo per ciò che è, un uomo non disposto ad accettare la fine dell’età dell’oro, colto durante la caduta, è capace di donare al pubblico la bellezza disarmante della Città più bella e più decadente del mondo, Roma (La Grande Bellezze). Sorrentino dunque si mostra sempre fine conoscitore dell’animo umano, raffinato psicologo e attento sociologo,narratore di storie che stupiscono e affascinano, a volte sbilenche e disarmoniche, a volte felliniane, talmente simboliche da diventare pop, di ritratti da cui emerge l’umana complessità e il dissidio che abita l’uomo.