I 5 film migliori di Paolo Sorrentino

Un viaggio nel cinema di Paolo Sorrentino

Uno dei più impattanti autori del cinema italiano contemporaneo, Paolo Sorrentino ha realizzato 10 lungometraggi, ultimo dei quali l’acclamato Parthenope. Ma la schiera di pellicole del regista napoletano ha sempre riscosso pareri piuttosto positivi, laddove non entusiastici, da parte della critica internazionale, ottenendo anche il riconoscimento internazionale con il Premio Oscar, nel 2013 con La grande bellezza. Andiamo a scoprire qualcosa in più sul cinema del regista e su quali possiamo considerare come i suoi migliori film, una scelta che non sarà certo semplice, stilando una Top 5 in ordine di preferenze.

Paolo Sorrentino, uno dei massimi registi del cinema italiano

paolo sorrentino cinematographe.it

Possessore di uno stile levigato, ricercato, figlio di un cinema estetico che un po’ attinge a Fellini, un po’ al cinema americano, ma conseguendo sempre una visione del mondo e dei personaggi del tutto personali, Paolo Sorrentino esordisce, dopo una serie di cortometraggi, col lungometraggio nel 2001, con uno dei suoi migliori risultati.
Anche perché forse ancora poco contaminato da manierismi opulenti.
L’uomo in più (2001) è il racconto di due omonimi (interpretati entrambe da Toni Servillo) che imbeccano un parallelo destino avverso, l’uno nel mondo del calcio l’altro in quello della musica.
Grazie ad un’ottima scrittura, ad una già consapevolezza scenica e ad un ottimo protagonista al meglio del suo istrionismo, il film diviene col breve tempo un piccolo oggetto di culto del cinema nostrano.
Il successivo Le conseguenze dell’amore (2004) in bilico tra dramma umano e giallo, lo consegna già agli interessi dei festival e alle onoreficenze della critica.
Tuttavia, con il terzo film, L’amico di famiglia (2006) il regista raggiunge la sua massima maturità stilistica e narrativa, con un occhio al cinema americano (in cui si sente un po’ l’odore dei fratelli Coen), il film racconta le vicissitudini di un viscido usuraio ed un’umanità in decadimento che gli ruota attorno.
Col successivo Il divo (2008), il cui montaggio (anche nell’uso delle musiche) sembra avere un occhio ai racconti scorsesiani, Sorrentino racconta una pagina italiana, sotto il “mito” di Andreotti, interpretato da un istrionico Servillo, impacchettato a dovere dal “cartoonesco” make up. Dopo aver girato in suolo americano l’ottimo ma un po’ divisivo This must be the place (2011) con Sean Penn, ottiene il plauso internazionale nel 2013 con La grande bellezza, il suo film “felliniano” e in un certo senso anche il più divisivo, ma che ne ha consacrato lo stile anche al grande pubblico. Ancora più intimo e personale è il penultimo È stata la mano di Dio (2021) in cui racconta con toni autobiografici un po’ della Napoli anni ’80, successivo a due film più manieristi e pieni di barocchismi, quali Youth – La giovinezza (2015) e il ritratto berlusconiano Loro (2018). Nell’ottobre 2024 esce in sala quello che al momento è il suo decimo e ultimo film, Parthenope, un altro omaggio alla bellezza eterea della sua città ed allo scorrere del tempo. Una decina di titoli che lo consegnano agli onori del pubblico e della critica come uno dei più importanti registi italiani (e non solo) del nuovo millennio.

Leggi anche Parthenope: la recensione del nuovo film di Paolo Sorrentino visto a Cannes 77

1. Il Divo (2008)

Il Divo - cinematographe

Probabilmente il miglior film di Paolo Sorrentino, il quarto film del regista riassume e romanza “la spettacolare vita di Giulio Andreotti”, come recita il sottotitolo all’inizio del film.
Il film della consacrazione del suo autore racconta delle vicende mafiose nell’Italia a cavallo tra gli anni ’70 e i ’90, sotto il governo del freddo e misterioso (quasi mefistofelico) Andreotti.
Un po’ macchiettistico, un po’ virtuosistico, è un tourbillon narrativo, attraverso una ricostruzione storico-politica di un paese e psicologica di un personaggio controverso, magnetico, potente, quale fu Andreotti, interpretato da un Toni Servillo in bilico tra la perfetta simbiosi ed il gigionismo.
Di indubbia qualità tecnica la messinscena comunque, con un occhio ai modelli del cinema americano, qua e là, addirittura, scorsesiano.

2. L’amico di famiglia (2006)

L'amico di famiglia - Cinematographe

Tra i migliori film di Paolo Sorrentino, è il racconto straniante e grottesco di Geremia “Cuore d’oro”, anziano che vive con la madre, fa lo strozzino, ma è ufficialmente un sarto.
Appoggia i suoi loschi affari su un sicario solitario, che ama vestirsi da cowboy, e su un paio di “guardaspalle”.
Un giorno deve aiutare il finanziamento per un matrimonio e s’invaghisce della giovane sposa.
Eccellente prova attoriale per Giacomo Rizzo, teatrante e caratterista cinematografico di lungo corso, qui strozzino tirchio e cinico, furbo e colto, col braccio perennemente ingessato, l’emicrania incombente e la camminata svelta, fugace.
L’amico di famiglia è un noir atipico, lento, suggestivo, con accenni alla commedia ed una ben presente malinconia che trapela nei suoi personaggi.
Il regista (ancora all’epoca non consacrato) Sorrentino sa perfezionare ogni inquadratura, coadiuvato dall’ottima fotografia di Luca Bigazzi, mirando anche un po’ al cinema americano (quello dei Coen, forse) e rimestando nelle atmosfere del noir solitario che aveva bazzicato nel precedente Le conseguenze dell’amore, ma muovendosi, qui, in un contesto più sfaccettato e in personaggi più particolareggiati (tra cui anche il cowboy di provincia impersonato da Fabrizio Bentivoglio).

3. L’uomo in più (2001)

L'uomo in più - Cinematographe

Opera d’esordio di Paolo Sorrentino, segue le vicende parallele di due parabole umane simili, un cantante e un calciatore (impersonati da Tony Servillo) nella loro fase discendente. In bilico tra dramma e commedia umana, un film dalle atmosfere cupe e sordide che segna immediatamente la nascita di un autore cinematografico che di lì a poco conquisterà le cronache internazionali e offre una rampa di lancio dal teatro al cinema al mattatore Servillo.

4. È stata la mano di Dio (2021)

è stata la mano di dio cinematographe.it

Fabio, adolescente introverso e senza amici, vive col padre, la madre, il fratello a cui è molto legato e la sorella.
Ma è parte di una famiglia e di un vicinato “pittoresco”, dove spiccano la baronessa, altezzosa e acidula vicina e la zia Patrizia, avvenente e disinibita, continuamente in conflitto col marito.
E siamo nella Napoli degli anni ’80 che vive l’avvento di Maradona.
Il film Netflix (passato anche in sala) di Sorrentino è una sorta di autobiografia nel quale il regista partenopeo dipinge una “vecchia Napoli”, lontana dal folclore e da visioni camorristiche, vista dagli occhi di un (alto)borghese e, quindi. di un adolescente che si appresta a scoprire i dolori e le sfumature della vita.
Si tratta di un’opera in cui il regista mette i panni del suo alter ego per guardare indietro nel (suo) tempo e nel suo vissuto, per mettere “in bozza” la propria crescita personale, emozionale e culturale.
Ed è un omaggio intimo quello di Paolo Sorrentino, a Maradona (citato come “profeta divino”, come sorta di “totem” culturale per un intera città, ma anche di “portafortuna” per se stesso), al suo mentore Antonio Capuano (regista di grande talento negli anni ’90 e che “appare”, impersonato da un alter ego, in un gustoso siparietto verso la fine del film), alla famiglia, alla “sua” Napoli ed in maniera non troppo implicita, ancora a Fellini (evocato anche in una scena di un fantomatico casting del regista riminese), evidente anche in più inquadrature, soprattutto nella prima parte del racconto e nella descrizione dei personaggi, piuttosto grottesca.

Leggi anche Venezia 78 – È stata la mano di Dio: recensione del film di Paolo Sorrentino

5. La grande bellezza (2013)

La grande bellezza Cinematographe

Impossibile non inserire tra i film migliori di Paolo Sorrentino quello che è il titolo che lo ha consegnato agli onori della notorietà internazionale, con questo affresco di mondanità romana e di nichilismo vezzoso che un po’ guarda al cinema di Fellini e un po’ alle maschere sociopolitiche di Elio Petri. La grande bellezza è uno dei qui (presunti) capolavori un po’ divisivi, dove il confine tra fuffa imbellettata e grande concentrato di estetica e pillole di contenuto esistenziale è assai labile. C’è un certo manierismo ma c’è anche una ricerca di profondità umana, sociale, corale, c’è la bellezza estetica impreziosita dalla fotografia di Luca Bigazzi ma c’è anche un didascalismo e un manierismo che ne smascherano gli intenti, c’è un richiamo (dettato anche dal trionfo agli Oscar) per il grande pubblico e c’è una pretenziosità di parlare solo agli intellettuali. C’è una dicotomia in La grande bellezza che lo rende, sostanzialmente, tra i migliori e tra i peggiori film di Paolo Sorrentino, forse anche meno compiuto ed elegante di This Must be the Place (2011), meno originale e intimo de Le conseguenze dell’amore (2004), eppure un’opera più impattante e sovraccarica di fascino e di papabili difetti.