Paulette: la storia vera della singolare spacciatrice interpretata da Bernadette Lafonte
Nonostante ricordasse al regista la nonna, il personaggio di Paulette trae ispirazione da una donna realmente esistita.
Attraverso l’ironico ritratto della protagonista, Paulette affronta i problemi della convivenza nella multietnica periferia metropolitana. Lancia un messaggio, che lo spettatore attento saprà cogliere: senza soldi, tutti diventiamo più cattivelli e meno generosi. Diretto nel 2012 da Jérôme Enrico, la pellicola prende spunto da una storia vera, ma fine a che punto? Quali sono le analogie tra i fatti di cronaca e il lungometraggio? Proviamo a scoprirlo.
La protagonista di Paulette è Bernadette Lafont, in passato attrice per François Truffaut e Claude Chabrol, alla penultima messa in scena. La storia viene ambientata nella banlieue parigina, afflitta da un profonda crisi economica. E lei, che veste i panni di Paulette, non è esattamente malleabile o emotivamente fragile. Anzi, semmai l’esatto contrario: arcigna, nutre una profonda avversione nei confronti degli immigrati.
Quando i soldi scarseggiano, Paulette abbraccia la “forza oscura”. Dà inizio, infatti, alla vendita di droga, ma secondo il regista Jérôme Enrico, il racconto non è incentrato sulla legalizzazione degli stupefacenti, bensì su quanto sia precaria la terza età. Enrico si è occupato pure della sceneggiatura, coadiuvato da tre studenti della scuola di cinema in cui insegna. Nel cast figurano, invece, sia soggetti presi dalla strada che professionisti. Fra i secondi spicca Carmen Maura.
Paulette: la donna che ha dato spunto al film
Sebbene Paulette ricordi al regista sua nonna, che lasciò l’Italia per emigrare in Francia e dopo due giorni riteneva vi fossero troppi arabi, il personaggio è ispirato a una donna realmente esistita.
Costei non ha un nome, almeno sugli articoli che ne parlano. Una testata giornalistica d’oltralpe ha voluto chiamarla Sylvie e raccontato come avesse un marito, Gérard. Ai fini di una più facile comprensione, utilizzeremo anche noi i suddetti nomi.
Ebbene, all’epoca la coppia se la passava abbastanza male. I debiti impossibili da saldare spinsero Sylvie a diventare prima nourrice (termine adottato dalle Forze dell’Ordine per indicare una persona che in casa propria tiene la droga ricevuta dai pusher) e dunque spacciatrice di cocaina.
Mentre lei faceva qualche lavoretto, il compagno Gérard, che di mestiere consegnava giornali, era in pensione. I due avevano chiesto dei prestiti e non riuscivano a restituire il denaro. Ad un certo punto, tramite il brutto giro frequentato dal figlio, Sylvie stabilì di entrare nel narcotraffico. Desiderava giusto mettere da parte la somma utile a pagare immediatamente i debiti, ha poi raccontato. Non appena ritrovata la tranquillità, avrebbe smesso.
Sylvie e il marito andavano a ritirare la droga in Belgio, passavano il confine, portavano la merce a casa, la spartivano in dosi, e la rivendevano, senza consumarne affatto. La mente del duo era certamente “Paulette”. Si era resa conto che stava per sprofondare, ha spiegato durante il processo. Era consapevole dell’attività illegale svolta.
Ma capiva pure che, in caso contrario, avrebbe perso la casa, i mobili e qualunque cosa fosse riuscita a ricostruire. Ripartire da zero alla sua età non eran un’opzione contemplabile. Sylvie ha, inoltre, ricordato le difficoltà incontrate nel periodo di malvivente. A un certo punto, mantenere i ritmi richiesti era diventata un’impresa. I loschi nuovi datori di lavoro bussavano continuamente alla porta, così come i compratori.
Dopo essere stata scoperta, la coppia è andata a processo, con Sylvie condannata a 2 anni di prigione. Altre fonti parlano di 4 mesi, ma non è dato stabilire se il lasso di tempo consista nell’effettiva permanenza dietro le sbarre. Anche Gérard ha scontato la pena in carcere. Entrambi sono usciti nel 2013.