Editoriale | Perché Vice – L’uomo nell’ombra non è un semplice biopic?
Esistono i film e poi esistono i biopic. I film hanno libertà di respiro, intuizioni visive, narrazioni che si mescolano alle maestranze tecniche e possono rendere astruso anche il più semplice dei concetti o delle trame. I biopic hanno ben poca scelta, affascinati dalle gesta di personaggi di cui vale la pena parlare, ma che affievoliscono la fantasia in favore di un quadro generale della vita e delle azioni dell’essere umano protagonista. Principio, presentazione, svolgimento, ostacolo, risoluzione o meno, fine. Uno schema invariato, impossibilitato nell’esprimersi diversamente.
Ma ci sono cineasti che della semplicità di racconto, nell’essenzialità delle tappe da dover affrontare, sanno ricavare l’opportunità creativa per fare di quei basilari biopic una rappresentazione di puro cinema. Non solo individuo con la sua esistenza, ma individuo con un compartimento immaginativo e tecnico che può dar vita ad un’opera cinematografica nella sua totalità. È ciò che ha fatto Todd Haynes con Io non sono qui e le differenti incarnazioni del poeta-cantante Bob Dylan, è quello che ha fatto Damien Chazelle con i silenzi siderali di First Man – Il primo uomo e il viaggio attraverso la morte di Neil Armstrong. Ed è ciò che, all’ennesima potenza, fa Adam McKay con il suo nuovo gioiellino Vice – L’uomo nell’ombra.
Vice – L’uomo nell’ombra o come pensare un biopic in maniera cinematografica
Pensando cinematograficamente, il regista statunitense si distacca dalla conformità solita dell’opera biografica. Attivando delle idee di trasposizione filmica, che nella loro presunta follia sanno mostrarsi in maniera brillante, la pellicola accende di scoppio le sinapsi spettatoriali, non limitandosi ad offrire – e subire – una visione passiva, ma costruendo il film nella medesima maniera in cui si andrebbe assemblando un gioco, sia per il pubblico che per il realizzatore. Modo di racconto che era già proprio del suo precedente lavoro La grande scommessa, che ha fatto sì che le sue trovate irrisorie e allentanti si tramutassero in un Oscar per la Miglior sceneggiatura non originale nel 2016.
Geniale è perciò il quadro che Adam McKay fa del politico Dick Cheney. Geniale. Non perché ne stravolge la figura o per il tentativo di addentrarsi in psicologie comportamentali che possano analizzare le decisioni e l’animo da stratega del vicepresidente dell’era di Bush Jr. È l’immaginazione che analizza se stessa ed elabora in grande la vera marca che contraddistingue lo sceneggiatore e regista. Lo sguardo di insieme che trova nelle soluzioni metaforiche – visive e paratestuali – il carattere espressivo dell’opera, che è poi l’asso messo in campo da McKay e che restituisce tutta la voglia di cinema che il cineasta riesce a contenere a stento. Una pellicola che freme e solletica, che accosta la realtà alla sua rappresentazione più fantasiosa, in accordo alle similitudini più appropriate. Che gestisce i machiavellici espedienti come un pescatore prepara l’amo per il suo pesce. Che ripensa come avrebbe fatto Shakespeare nel vedere due amanti cospiratori interagire sotto le lenzuola del loro letto.
Il contenuto rielaborato e rimaneggiato di Vice – L’uomo nell’ombra
È, dunque, di cinema che il biopic su Cheney vive. Delle sue varianti registiche e sceneggiate. Del montaggio, ragionato fino a partire dalla scrittura. Anzi, ideato ancora prima, a renderlo parte integrante del processo di stesura del film. E fa satira e fa ragionamento. E fa storia accaduta e fa cinema d’invenzione. Sbiadisce i contorni canonici del biopic, li scolorisce e li annulla. Si innalza come arte e comprende che è solo grazie alle proprie tecniche che la vita di qualunque soggetto può diventare pellicola. Anche quella dell’uomo più misterioso della politica americana. Anche di colui che ha dato il via ad una guerra.
Vice – L’uomo nell’ombra è molto più di un semplice biopic. È la coscienza di poter rimaneggiare qualsiasi contenuto e arricchirlo con un’ironia e un’intelligenza sconsiderate. È oltre la riproduzione del biografico. Ed è già uno dei migliori titoli del 2019.