Piccole donne (2020): le differenze tra il film e il libro
Tornano al cinema dal 9 gennaio Meg, Jo, Beth e Amy March, ovvero le Piccole donne più famose di tutta la letteratura.
Il nuovo adattamento del romanzo di Louisa May Alcott, Piccole Donne, firmato dalla regista Greta Gerwig è uno sguardo fresco e personale sulla storia delle sorelle March. Le differenze tra il libro (i libri) e il film sono diverse: alcune intervengono sul montaggio della storia, altre incidono più sui temi e permettono di riproporre il romanzo secondo una chiave di lettura contemporanea, decisamente aggiornata sul quadro sociale degli ultimi decenni.
Piccole donne è una storia iconica ed è stata adattata negli anni diverse volte, trovando in film, serie tv, spettacoli teatrali e cartoni animati diverse declinazioni dello stesso tema e degli stessi personaggi. Per essere uno dei libri più amati di tutta la letteratura americana, la sua struttura e i suoi contenuti hanno subito diverse rivisitazioni. L’adattamento del 1994 è stato uno dei più apprezzati, specialmente considerato il cast, ma non ha proposto la rilettura coraggiosa del film della Gerwig che si impegna realmente a rendere la storia attuale e i personaggi molto vicini alle spettatrici del XXI secolo.
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Piccole donne di Greta Gerwig è una rivisitazione strettamente personale, anche piuttosto spontanea e istintiva, se paragonata ai toni leziosi delle precedenti. Eppure, riesce ad essere estremamente rispettosa dell’originale, pur non replicandolo pedissequamente. La regista, che firma anche la sceneggiatura, si è presa diverse libertà, non ultima quella sul finale che appare in questa versione del tutto diverso da quello classico.
Piccole donne e la meta-narrazione
Nella versione originale, Piccole donne è il racconto lineare della vita delle quattro sorelle March, Meg, Jo, Beth e Amy, che crescono tra le difficoltà e gli stenti della Guerra Civile Americana, ognuna con i propri talenti, sogni e aspirazioni. Nonostante in alcuni tratti la versione della Gerwig sia molto fedele, la regista altera la struttura introducendo, per esempio, l’elemento della meta-narrazione.
Jo, interpretata da Saoirse Ronan, è una scrittrice e – all’inizio del film – si arrangia come può pubblicando racconti di scarsa qualità, nonostante il suo grande talento. Durante il corso del film, Jo matura come persona e come artista e impara l’arte di costruire una storia con cura e attenzione. In una sequenza particolarmente d’effetto, la Gerwig mostra Jo nell’atto materiale della composizione del romanzo, con le mani sporche di inchiostro, le candele che si consumano una dopo l’altra e le pagine del suo libro disposte in ordine una accanto all’altra sul pavimento della vecchia mansarda di casa March. Alla fine della sequenza, Jo ha messo insieme i primi tre capitoli di Piccole donne, la storia che gli spettatori stanno vedendo proprio in quel momento.
Questo aspetto meta-narrativo è del tutto assente nel romanzo della Alcott, nonostante l’elemento autobiografico non sia mai stato nascosto dall’autrice. Anche se la scrittrice non si è mai sposata mentre il personaggio di Jo sì, le loro storie sono molto simili, sia nei contenuti che nello spirito. Per questo motivo è interessante vedere la Gerwig accostare le due vicende, avvicinando definitivamente il personaggio alla sua creatrice. In questo modo, inoltre, la regista può sovrapporre il messaggio (piuttosto chiaro) del film a quello tradizionale del romanzo, senza che l’uno escluda l’altro.
Piccole donne e l’intreccio dei piani narrativi
La versione cinematografica di Piccole donne del 2020 apporta un altro cambiamento alla struttura originale del romanzo della Alcott. Mentre il libro inizia con la celebrazione del Natale durante la Guerra, quando le ragazze sono ancora molto giovani, il film si apre con una Jo March 25enne che va a colloquio da un editore a New York. Il film, poi, procede per grandi salti temporali, preferendo un approfondimento dei singoli personaggi piuttosto che una narrazione lineare. Una scena si succede all’altra per associazione di idee e emozioni, come un flusso di ricordi rievocato da Jo nel momento della scrittura.
Il risultato finale è un arco emozionale, dove gli eventi non sono necessariamente accaduti così come sono stati riportati. All’inizio del film della Gerwig, Jo è un’artista insicura, che non è ancora consapevole del proprio valore e di quello delle sue parole. Alla fine, però, se ne rende decisamente conto: quello in cui la regista conduce lo spettatore è il viaggio della protagonista nelle costruzione del proprio Io creativo attraverso i ricordi e le emozioni della sua infanzia.
Il ruolo della fede
La fede cristiana dei March ha un grande ruolo nel romanzo originale, ma nella versione cinematografica del 2020 questo elemento non prende così tanto spazio. In Piccole donne della Alcott, il libro Il pellegrinaggio del cristiano appare diverse volte e il padre delle protagoniste, nel film interpretato da Bob Odenkirk, è un reverendo. In ogni caso, la grande presenza della fede cristiana sta proprio nell’impegno quotidiano delle March nel prendersi cura del prossimo e dell’essere sempre gentili e caritatevoli.
Un momento importante della storia è l’atto di altruismo verso gli Hummels, una famiglia povera di immigrati, che le ragazze, insieme alla signora March (qui Laura Dern) vanno a visitare di frequente. Non nominando la loro fede religiosa, la Gerwig permette allo spettatore di concentrarsi di più sulle azioni delle protagoniste che sulle loro motivazioni spirituali. La pratica concreta dell’aiuto verso il prossimo non risponde a un bene superiore, né teme punizione ma si crea semplicemente per empatia, proprio da parte di chi – come le sorelle March – non di rado si trova a vivere il ruolo di outsider. Da questo punto di vista la Gerwig interpreta splendidamente il messaggio della Alcott, scrittrice femminista e abolizionista che credeva nella pratica più che nella predica. Conservando l’elemento narrativo della carità delle March, ma slegandolo alla fede cristiana, la regista rende l’adattamento più aperto e inclusivo.
La trama cambia in base al messaggio
Il film del 2020 punta l’attenzione su alcuni temi attraverso dei cambiamenti di trama, per accentuare degli aspetti spesso trascurati dagli adattamenti precedenti. Per esempio, nel libro della Alcott, Laurie non litiga con Amy quando si ritrovano al ricevimento in Europa. Piuttosto, appena si incontrano di nuovo, Laurie inizia a fargli la corte come una persona adulta, vedendo la ragazza per la prima volta con occhi diversi. Amy, inoltre, ha usato dei pezzi di tessuto per rendere il suo vestito più alla moda, mostrando la sua parsimonia al futuro marito, oltre che la sua condizione economica ai lettori.
Nell’adattamento della Gerwig questo dettaglio sottile è amplificato da una scena decisamente più drammatica. Laurie, ubriaco e sciatto, accusa Amy di essere un’arrampicatrice sociale. Amy non ha la pazienza di ascoltare i vaneggiamenti dell’amico e si infuria, mettendo le basi per la nuova relazione che si svilupperà nelle scene successive: risulta chiaro, a questo punto, quanto Amy sia diventata una donna saggia e responsabile e Laurie sia rimasto un viziato figlio di papà, votato al lusso e all’autocommiserazione.
Analogamente, la Meg di Emma Watson – la più grande e matura delle sorelle – litiga con suo marito a causa dei continui sacrifici a cui è costretta a causa della loro situazione economica. Nel libro, invece, la maggior parte dei conflitti tra Meg e il marito si concentra sullo stress dell’essere genitori di due gemelli. La maternità diventa, dunque, un pilastro centrale della vicenda di Meg, ma la Gerwig si preoccupa di contestualizzarla maggiormente in un quadro di criticità economica.
Questi cambiamenti sono funzionali al proposito della regista di mostrare come le donne, a quel tempo, avevano davvero poche possibilità di essere economicamente indipendenti. Un messaggio non necessario ai tempi della Alcott, quando questa condizione faceva parte dell’esperienza quotidiana delle lettrici, ma che la Gerwig ha voluto enfatizzare in più momenti, ponendo l’accento sulla sua intenzione di raccontare Piccole donne come un romanzo di autodeterminazione femminile, che passa anche attraverso la consapevolezza della propria storia e l’indipendenza economica.
Il finale di Piccole donne
Infine, il grande cambiamento della trasposizione della Gerwig è nella proposta di matrimonio finale che il professor Bhaer fa a Jo, e il conclusivo bacio sotto la pioggia. Nel libro di Piccole donne, il professor Bhaer è più anziano e meno attraente, ma è pari a Jo per vivacità intellettuale. Nel film, questo ruolo è interpretato da Louis Garrel che – per quanto sia stato reso goffo e impacciato – proprio non riesce a essere poco attraente. Questo dettaglio non è solo un mero meccanismo produttivo, per attirare spettatrici alla pellicola, ma agisce proprio in quella prospettiva meta-narrativa per cui anche Jo dà alle sue lettrici quello che realmente vogliono: un lieto fine con un cavaliere affascinante.
Inoltre la proposta nel libro avviene dopo che Jo, da sola, si rende conto dei propri sentimenti per l’amico. Questo avviene durante l’ultimo giorno di Bhaer in città, non pochi secondi prima che prenda il treno. Lo pseudo-finale della Gerwig è decisamente più plateale e emozionante, ma anche più irreale e lo rende più adatto a una finzione romanzesca che a un racconto autobiografico. Inoltre, il fatto che sia tutta la famiglia a spingere Jo tra le braccia del futuro marito è indice, ancora una volta, che il matrimonio era una questione d’interesse collettivo, giustificata – sì – dall’amore, ma anche e soprattutto da esigenze pratiche.
Si potrebbe quasi dire che Greta Gerwig sia entrata tanto in sintonia con lo spirito del romanzo di Louisa-May Alcott da potersi prende la libertà di riscrivere alcune pagine, senza mai tradirlo. Decisamente quello che ci si dovrebbe aspettare da una trasposizione da un media a un altro.