Picnic ad Hanging Rock: analisi e spiegazione

Uno dei film più suggestivi ed enigmatici degli anni '70, Picnic ad Hanging Rock compie 50 anni

Nell’ormai lontano 1975 usciva uno dei film più epocali del suo decennio, ed in particolare una pellicola iconica per la cinematografia australiana. Picnic ad Hanging Rock è, infatti, il titolo più importante che il continente oceanico abbia sfornato, almeno dal punto di vista dello spettatore occidentale. A 50 anni di distanza, celebrati con un ritorno in sala della pellicola restaurata in 4K, andiamo a scoprirne una spiegazione ed un’analisi di quella che è un’opera piuttosto criptica, suggestiva ed affascinante, tratta da un romanzo omonimo del 1967.

Picnic ad Hanging Rock: un’opera epocale del cinema australiano

Picnic a Hanging Rock; cinematographe.it

Se volessimo selezionare quelli che sono i nomi più rappresentativi del cinema dell’Oceania (Australia e Nuova Zelanda, nello specifico) ci limiteremmo ad un pugno di registi (Jane Campion, Peter Weir, George Miller e Peter Jackson, per essere sintetici e indicando i più “popolari”), Picnic ad Hanging Rock (1975) è quello che potremmo identificare come il titolo che ha portato le luci dei riflettori sul cinema del Paese, accompagnato da critiche particolarmente entusiastiche nel resto del mondo. E, non è un caso, se l’opera ha contribuito a lanciare la carriera di un regista (uno dei citati) che saprà poi confermarsi anche in America con film quali Un anno vissuto pericolosamente (1982), L’attimo fuggente (1989) e il capolavoro The Truman Show (1998).
Pertanto, con il film di Weir si apriva al mondo uno sguardo su quei territori dell’outback australiano, scenari che pochi anni dopo avrebbero caratterizzato anche molto cinema Ozploitation (un filone di B-movies che costelleranno i cinema da Drive-in del Paese), ma anche uno sguardo sulle radici colonialiste dell’impero britannico su quei territori. La natura ancestrale del racconto, gli elementi di contrasto tra natura e civilizzazione, il suo epilogo dal sapore irrisolto costituiranno, però un vero e proprio surplus di un’opera che ancora oggi risulta tanto affascinante e fortemente evocativa, quanto criptica e misteriosa.

Picnic ad Hanging Rock: analisi di un film magnetico e misterioso

La storia di Picnic ad Hanging Rock vede un gruppetto di studentesse di una scuola femminile britannica, nel giorno di San Valentino del 1900, portato dal corpo docenti ad una gita fuori porta, nel suggestivo scenario di Hanging rock, una zona rocciosa che anticamente si riteneva abitata da spiriti.
Quando, tre di loro, più un’insegnante, allontanatesi verso la cima della montagna, spariscono nel nulla (e in finale non ci aiuterà a capirne la ragione).
Prendendo forma dal romanzo omonimo di Joan Lindsay, è come una storia di fantasmi, senza fantasmi, una sorta di puzzle senza soluzione e che è, a sua volta una storia di repressione (anche sessuale) senza evidenti sottolineature sessuali.

Come, ad esempio si può evidenziare nella scena di spoliazione di calze e scarpe, ripresa con piglio solenne dal basso verso l’alto, un momento che non è solo simbolo di una liberazione sessuale, ma anche di un’appropriazione di femminilità e di padronanza della propria parte più intima, agli occhi del cineasta. Si tratta di un’opera trasognata, narrata come un sogno febbrile ad occhi aperti (emblematica l’atmosfera da siesta che precede la sparizione delle donzelle), con una fotografia eccezionale che esalta in maniera pittorica gli spazi ed un tappeto musicale, con flauti di Pan, di Gheorghe Zhamfir che accompagna lo spettatore nel mistero febbricitante e languido della (mortifera) sparizione delle fanciulle in fiore.
Del resto, le parole di apertura della protagonista fanno eco, dichiarando che “la vita è sogno, soltanto sogno. Il sogno di un sogno”.
Probabilmente, più funzionale e avvolgente nella sua prima parte di racconto che non nella seconda che un po’ accresce il mistero e un po’ si dissipa in esso. E che, pertanto ha portato spesso gli spettatori e i cinefili a cercare ulteriori spiegazioni (anche laddove non ve ne fossero, volutamente) su un’opera che vive necessariamente avvolta e suggestionata dal potere del mistero.
Un racconto che fa perno sull’opposizione tra l’atmosfera vittoriana e la rigida disciplina del collegio, in un lindo edificio d’epoca, e la natura rigogliosa della selvaggia Hanging Rock.
All’interno della patina di severità scolastica, si dissemina l’erotismo sotto forma di desideri lesbici tra studentesse e insegnanti. In contrasto con la repressione vittoriana, la “roccia” rappresenta il libero prosperare in tutte le sue forme, anche quelle più ripugnanti (i rettili e i serpenti – associabili al peccato originale – che strisciano attorno alle ragazze dormienti), così come la vegetazione lussureggiante e gli stormi di uccelli simboleggiano il risplendere della vita.
La roccia rappresenta, dunque, la passione vitale sfrenata che esplode, dopo la repressione controllata dal rigore della società.

Picnic ad Hanging Rock è dunque un film che ha segnato un passaggio storico per il cinema del suo continente ma è anche un delizioso esempio di cinema narrativo e allegorico.
Un’opera affascinante e seducente, ammantata da una bellezza ipnotica sottolineata da musiche per flauto e organi, improntata sulla fascinazione ambigua per l’ignoto, sullo sfondo di una natura lussureggiante, liberatoria ed enigmatica in conflitto con le rigidità (morali e formali) delle istituzioni vittoriane.

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