Sean Connery: i segreti del successo di una leggenda immortale
I segreti del successo di Sean Connery, l'attore che ha dominato ogni scena ed ogni donna grazie al suo irraggiungibile charme.
Difficile quantificare l’importanza di Sean Connery nella storia della settima arte. Figlio di un camionista e di una cameriera, con una giovinezza fatta di povertà e delusioni (non fu ammesso in Marina per ulcera gastrica), si fece strada tra mille lavori e impieghi, fino a quando non sfondò come modello.
Da lì, grazie alla partecipazione a Mister Universo, fu scelto fra tanti candidati per il ruolo che più lo ha legato all’immaginario collettivo: James Bond.
Più che un ruolo (oggi possiamo dirlo) 007 è diventato un simbolo di mascolinità e di virilità che ha superato mode, tendenze, cambiamenti insiti nella società e nel modo in cui il sesso maschile si è evoluto.
Lui, Sean Connery da Edimburgo, ha retto la concorrenza di chi lo sostituì in quel ruolo che abbandonò per non rimanerne schiacciato o distrutto. A conti fatti, Roger Moore, Pierce Brosnan e Daniel Craig, per quanto brillanti non riuscirono mai a scalfire dall’immaginario collettivo la predominanza di Sean Connery, che più che un agente segreto, impersonò il vero e proprio maschio alpha.
Dal successo con James Bond alla sperimentazione
Elegante, atletico, sicuro di sé in modo quasi eccessivo, dotato di ironia ed assieme distacco, dominava ogni scena ed ogni donna grazie all’eleganza, lo charme e la tenebrosa bellezza di questo scozzese, che sul finire degli anni 60 ed inizio anni 70, fu anche capace di mettersi in gioco.
Nell’epoca della rivoluzione culturale, della controcultura per essere più precisi, Sean Connery si legò a registi come Sidney Lumet, Basil Dearden, John Huston, sovente interpretando personaggi contorti, fragili, ambigui, assolutamente diversi dal supermacho al servizio di sua Maestà.
Fu sicuramente un periodo difficile professionalmente, visto che spesso questi film non ottennero il successo di critica e pubblico che ci si aspettava, ma furono alla base del successo che Connery poi colse dalle fine degli anni 70 e per tutto il decennio successivo.
L’attore scozzese infatti, si dimostrò capace di adattarsi a film che spaziavano dal fantascientifico alla commedia, dal thriller allo storico, senza dimenticare il poliziesco o il crime.
Per di più, nonostante avesse scelto di non indossare più il parrucchino per “necessità di scena” come ai tempi di 007, la maturità invece che affievolire il suo sex appeal, lo rafforzò, anche per la sua capacità di scegliere ruoli dove a mano a mano, interpretava personaggi comunque indomiti, dei solitari di grande fascino, sovente visionari, talvolta eccentrici ma sempre interessanti.
Sean Connery sfatò il mito negativo della mezza età
Gli anni 80 lo trovarono splendido 50enne, sempre armato di una fisicità di grande impatto, e con un’espressività di assoluto livello, che gli permise di calarsi perfettamente nei panni di uomini forti, rotti dalle insidie e scolpiti dall’esperienza, ma non per questo meno dotati di sex appeal, umorismo e fascino.
Da Il Nome della Rosa ad Atmosfera Zero, da Highlander a Gli Intoccabili, passando per Indiana Jones e l’Ultima Crociata e La Casa Russia, Sean Connery fu in più occasioni il mentore, la guida, l’esempio da seguire, l’insegnante.
Il suo viso granitico ed insieme beffardo, era quello di un uomo di mondo, del più classico esempio di galante cinquantenne capace di fare le scarpe nel gioco della seduzione ad orde di ragazzi con la metà dei suoi anni. Tutto in lui parlava di eloquenza, sapienza, esperienza che però albergavano in uomo pieno di vigore, energia e curiosità.
Fu anche una figura paterna mutevole, talvolta controversa ma realistica nel rendere anche gli aspetti più difficili dell’essere genitori, pur se in contesti immaginifici e leggeri.
Ad un’età in cui gran parte degli attori entra sovente in una fase di decadenza della carriera (soprattutto i sex symbol), Sean Connery conobbe invece il punto più alto del suo percorso cinematografico.
Gli Intoccabili gli portò l’Oscar, il Nome della Rosa una marea di altri premi in giro per il mondo.
Un simbolo di saggezza, regalità ed eloquenza
Negli anni 90 per Sean Connery arrivò anche la parte del magnetico e affascinante Marko Ramius, nell’appassionante Caccia ad Ottobre Rosso, fu poi Riccardo Cuor di Leone, Re Artù ne Il Primo Cavaliere, tornò all’action nel blockbuster The Rock, fu un altro sciupa-femmine avventuriero in Entrapment, prestò la sua voce all’immortale Draco di Dragonhearth…
A pensarci oggi, quel decennio parve quasi una sintesi della sua lunga carriera. Fu sempre acclamato e ben accolto, si era guadagnato del resto il titolo di monumento della settima arte, simbolo di una mascolinità fatta di eleganza, sicurezza e fascino che era sempre più rara.
Scoprendo Forrester fu il suo ultimo grande ruolo, nel quale parve condensare la sua dimensione di uomo diverso dalla massa, così come anticipò lo sdegnoso esilio che scelse di fronte ad un cinema in cui la componente tecnologica, soffocava la dimensione umana in modo sempre più pressante.
Nel giorno della sua morte, non smette di stupire quanto egli sia diventato un simbolo per intere generazioni. La fu per ragazzi che crescendo sognarono di assomigliargli, per uomini non più giovani che in lui trovarono un simbolo di come non arrendersi al tempo e di donne, che da decenni non smettono di sognare di incontrare un uomo di tale virilità e sicurezza.