Silent Land o ciò che potrebbe resterare del cinema di Antonioni, Pasolini e Bertolucci

Quello dell’esordiente polacca Aga Woszczynska, è un film profondamente intriso della materia cinematografica di autori quali Michelangelo Antonioni, Pier Paolo Pasolini, Bernardo Bertolucci e Ruben Östlund e che riflette tra accadimenti inaspettati, nevrosi, crolli, bugie e violazioni d’intimità sulle ipocrisie e idiosincrasie della borghesia più apatica e distaccata e ancor più sulla fallibilità individuale e matrimoniale e le conseguenze di una colpa che si è scelto soltanto di osservare e non elaborare

Aga Woszczynska, regista polacca classe 1984, dopo l’ottimo cortometraggio del 2014, Fragments, anch’esso centrato sulle crepe invisibili ad occhio nudo eppure letali di un’unione matrimoniale apparentemente perfetta e intaccata dagli anni e dai cambiamenti delle rispettive parti, esordisce al lungometraggio a distanza di ben nove anni con Silent Land, distribuito nelle sale cinematografiche italiane a partire da giovedì 29 giugno da I Wonder Pictures, del quale trovate una recensione a questo link: La recensione di Cinematographe.it

Tornano le crepe di un’unione apparentemente perfetta, torna il jogging, e così anche la routine sessuale, sempre più annoiata e convenzionale, e infine a tornare è anche l’incidente inaspettato, o causa scatenante di quel fragile equilibrio fino ad allora mantenuto stabile dal peso delle bugie, della finzione, della tranquillità e del desiderio instancabilmente taciuto della fine, che vestendo i panni di un segreto condiviso, permette ad un intero matrimonio inevitabilmente destinato alla crisi, di restare saldo.

Finchè vi è silenzio, vi è salvezza e quando il primo cessa, non può che seguire la fine. Silent Land è proprio questo che racconta, la fine del silenzio e l’inizio della fine.

L’acqua, il terzo e la caduta – Dal cinema di Pasolini a quello di Bertolucci, passando per Deray, Antonioni e Östlund

Michelangelo Antonioni

Così come il cinema di Pier Paolo Pasolini e Bernardo Bertolucci riflette sul precario equilibrio di un microcosmo molto spesso intaccato e messo in crisi dal sopraggiungere di un individuo terzo, o in ogni caso di un estraneo – o straniero –, anche l’esordio alla regia di Aga Woszczynska torna su quella traccia narrativa esplorando le oscurità, così come le ipocrisie e idiosincrasie di una coppia borghese come tante che sopravvivendo – e non vivendo – alle distanze emotive e alla fine del sentimento procede senza picchi e perciò cali nell’illusoria speranza di farcela, scegliendo di osservare la crisi, senza però volerla mai elaborare.

Tutto comincia con l’acqua. Un elemento imprescindibile per ciascuno di noi e fondamentale per la nostra sopravvivenza. Un elemento che è per Silent Land vero e proprio protagonista, sotterraneo e secondario, eppure onnipresente.

Se infatti le splendide acque del Mar di Sardegna non sono abbastanza per Anna (Agnieszka Żulewska) e Adam (Dobromir Dymecki), villeggianti dell’alta borghesia polacca uniti in matrimonio da non più di dieci anni, quelle non ancora presenti nella nuovissima piscina della loro meravigliosa villa a picco sul mare potrebbero allo stesso modo non soddisfarne voglie e desideri, rischiando di rendere la loro vacanza italiana ben più noiosa e monotona del previsto.

Sardegna, acqua e piscina. Sembrerebbe di tornare al dinamismo caotico e virtuosistico di A Bigger Splash, convincente e personalissimo remake di Luca Guadagnino, del cult La piscina di Jacques Deray del 1960, eppure non vi è film più distante. Non soltanto a causa dell’assenza variegata, colorata e pop di musica e più in generale arte, ma anche e soprattutto di un’esigenza autoriale ben più gelida e chirurgica.

Silent Land infatti, condividendone una struttura pressochè simile, ma ancora una volta differente proprio perché opposta in termini di dinamismo sociale e umano, lì vivissimo e qui quasi del tutto assente, si concentra su di un’idea di cinema estremamente minimalista, così come sulla forza dialogante e d’immagine del dettaglio, quello più piccolo ed apparentemente insignificante, eppure chiave di un discorso decisamente ampio e ben visibile allo sguardo attento dello spettatore fin dalle prime sequenze.

Partner - Cinematographe.it

Ripartendo dal cinema delle nevrosi e delle crisi borghesi di Michelangelo Antonioni, a partire dal surrealismo e in qualche caso perfino dell’onirismo di quest’ultimo,  affidato al suono e alle ambientazioni così particolari e memorabili di quel cinema, Silent Land, dunque la sua regista, Aga Woszczynska, ricorrendo alla stessa ricerca dell’autore della Trilogia dell’Incomunicabilità ironizza e lavora attraverso il suo stesso titolo e ancor più la sequenza d’apertura e buona parte del film – fatta di lunghi silenzi contrapposti ad incessanti suoni delle campagne, seguiti da fastidiosissimi rumori metallici – rispetto a quell’estetica del suono che diviene in tutto e per tutto protagonista e causa inevitabile di nevrosi e oscuri pensieri fino a quel momento sopiti e ignorati, conducendo la coppia di villeggianti sempre più rapidamente verso la caduta, o il crollo.  

Laddove Pasolini (Teorema) e Bertolucci (The Dreamers) elaborano il discorso dell’estraneo attraverso una profonda mutazione e turbamento di logiche e dinamiche sociali e politiche fino a quel momento inesistenti e in seguito non soltanto accolte, ma perfino gridate, Aga Woszczynska preferisce a questa traccia narrativa la passività.

Seppur il terzo, in questo caso un giovane straniero addetto alla riparazione della piscina, non causi alcuna sostanziale novità dialogando apertamente con la coppia e prendendo parte ad una quotidianità che non gli appartiene, frequentando la villa e poi la piscina, accade che gli sguardi su di lui si ripetano e così anche il desiderio da parte di Anna.

Il desiderio però non sembra affatto destinato a divenire dialogo, non rispetto all’idea di cinema che la Woszczynska ha, a partire da questo interessante esordio che è Silent Land. Eppure non risulta essere abbastanza, poiché non vi è posta nemmeno la benché minima attenzione tanto in scrittura, quanto in regia, impoverendo quel desiderio fino all’osso, in quanto eternamente privo di pulsione, reale interesse e così via.

Al desiderio del terzo segue però la caduta, avvertita più e più volte dallo spettatore, come fosse una dinamica estremamente suggerita, che pur ripetendosi non perde mai il suo fascino. È bene dirlo, non è questo il caso di Silent Land.

Se infatti ciò che accade risulta essere fin troppo prevedibile, la stessa dinamica di pensiero si ripete rispetto alle conseguenze del tragico incidente (in)aspettato che dovrebbe mutare le logiche della coppia formata da Anna e Adam. Dovrebbe infatti, eppure non è così.

Forza Maggiore - Cinematographe.it

Poiché tutto ciò che segue non è altro che una ripetizione ben più infantile, ingenua e per certi versi immotivata della crisi improvvisa e fortemente distruttiva e sistemica, mostrata e raccontata con grande abilità e stilistica tipicamente nordica da Ruben Östlund con Forza Maggiore che sfrutta ed elabora un accadimento naturale per analizzare chirurgicamente tutto ciò che di sbagliato c’è in un ordine familiare apparentemente equilibrato, eppure distrutto e logorato alle sue radici, perciò marcio, e perfino dannoso, tanto da servirsi incessantemente della menzogna.

Anche Silent Land se ne serve. Una grande menzogna che tra oscurità di una camera da letto all’interno della quale il sesso risulta annoiato, convenzionale, ripetitivo e questo sì silenzioso ed il bagliore lucente ed accecante degli esterni, finisce ben presto per sgonfiarsi, riducendosi ad una piccola verità raccontata a metà, dunque di scarso interesse, tanto per gli stessi protagonisti del film, quanto per lo spettatore.

Non sempre rifarsi ai maestri risulta essere la scelta migliore, specialmente per un esordiente e Silent Land ne è la prova. Un film che non ha né picchi, né cali, soltanto una rigidissima, persistente e tediosa tendenza di ripetizione minimalista che non risulta essere in nessun caso realmente interesse o coinvolgente. Non è un omaggio, soltanto un pigro sguardo. Eppure, erano ormai molti anni che non ritrovavamo in un titolo recente, vere e proprie tracce e riferimenti diretti al cinema di quei grandi che inevitabilmente sembrano aver segnato la carriera registica di Aga Woszczynska e di un’intera generazione di nuove voci cinematografiche, una conquista e una grande sorpresa.