Storia di un fantasma: significato del finale e analisi psicologica del film
Storia di un fantasma è un film lirico e profondo, che mette al centro della narrazione gli aspetti ontologici più inesorabili della human condition, riuscendo a far coesistere le categorie apparentemente inconciliabili di assenza e presenza.
Una coppia innamorata, una casa piena di rumori sinistri. La paura di qualcosa che non ci si può spiegare e la decisione di andare via, che si connette inconsciamente alla paura del distacco, portando a ripercorrere il passato e sollevando la tematica universale del valore del ricordo, per dare un senso al proprio passaggio sulla Terra.
Sono queste le premesse di Storia di un fantasma (A Ghost Story), delicata e complessa riflessione/osservazione filosofica sulle categorie dello spazio, del tempo e dell’umana (ma non solo) paura di essere dimenticati, rendendo così vano il proprio lascito sul pianeta.
David Lowery mette in scena una storia cosmica, nel vero senso della parola, utilizzando la potente e versatile simbologia del fantasma e rappresentandolo esattamente come lo abbiamo immaginato la prima volta da bambini, una figura informe avvolta da un lenzuolo e con due buchi nella posizione degli occhi. Un’immagine primordiale, che suggerisce immediatamente il sentimento di sgomento, lo stesso che il protagonista del film, C. (Casey Affleck), prova di fronte alla sua improvvisa morte prematura, causata da un incidente stradale. La sua compagna M. (Rooney Mara) si reca in ospedale per il riconoscimento, concedendosi un momento prima di lasciarlo andare. Dopo un lungo minuto, la ragazza di sente pronta, ricopre il suo corpo col lenzuolo ed esce dalla stanza, ma è C. a non essere pronto a lasciarla, decidendo di alzarsi dalla barella e di seguirla a casa, rifiutando la luce che lo avrebbe portato a godersi la pace della propria anima.
Storia di un fantasma: un’anima che lotta per non dimenticare ed essere dimenticata
Storia di un fantasma si presenta interamente in formato 4:3, una scelta stilistica che riporta al formato delle vecchie diapositive, sottolineando da una parte il forte legame con la categoria del tempo, che nel corso delle vicende vedremo comprimersi e dilatarsi come nei sogni, dall’altra l’universalità di un racconto che vede al centro del suo significato un completo ribaltamento di prospettiva rispetto ad altre storie incentrate sulla perdita e sul lutto. Protagonista assoluto del film di David Lowery è infatti il sentire del fantasma, aspetto costantemente esplicitato sia dalla scelta di non rivelare i nomi completi dei protagonisti, sia – ad esempio – dal ruolo di sfondo di ogni altra interazione umana (tolto il monologo della festa, in cui chi parla è solo un mezzo per rivelare il senso di ciò che andremo a vedere nell’ultima parte del film). La stessa famiglia messicana che occupa la casa dopo l’uscita di scena di M. parla spagnolo, evidenziando come tutto ciò che non ruota direttamente attorno all’anima di C. non debba attirare l’attenzione dello spettatore, portato a rimanere concentrato sui movimenti esteriori e interiori del fantasma, alla ricerca di una pace complicata da ottenere.
Ma qual è la missione di C.? Le premesse del film suggeriscono la volontà dello spirito di non lasciare la propria amata, con tanto di scatto d’ira e lancio di oggetti quando lei tenta di rifarsi una vita, baciando un altro uomo sulla soglia di casa. Ma quando M. cambia appartamento, lui non la segue, cominciando a perseguitare ogni altro inquilino e rivelando gradualmente la propria missione principale: trovare il bigliettino col messaggio che M. aveva incastrato e sigillato in una fessura del muro prima di andare via. Un gesto che – come lei stessa rivela all’inizio del film – è sempre stata solita fare prima di cambiare casa, fin da bambina, nel tentativo (e torniamo al motivo conduttore del film) di agevolare il distacco lasciando un piccolo memento, una traccia di sé in grado di ingannare l’ingratitudine del tempo, che tutto fa dimenticare.
Non scopriremo mai il contenuto di quella nota, ma poco importa. Il regista di Storia di un fantasma decide di pilotare il film verso un’altra direzione. Lungi dal voler concludere la pellicola con un’illuminante rivelazione finale, il suo focus resta sull’elaborazione della propria morte da parte del fantasma, lasciando allo spettatore il tempo di elaborarla a sua volta, facendo decantare ogni sensazione trasmessa dai protagonisti, in un gioco di immedesimazione in cui tutto ciò che viene fatto vedere, ogni scena sulla quale si indugia – con lunghe riprese statiche e persecutori piani sequenza – ha a che fare con ciò che C. ha bisogno di vedere e metabolizzare, in quanto fantasma abbandonato al proprio tormento e ormai impossibilitato ad agire direttamente sugli eventi.
Storia di un fantasma: una casa infestata
C. osserva silenziosamente, immobile, la sofferenza di M. ma ugualmente possiamo percepirne il dolore straziante. Divenuto ormai spirito invisibile, non gli resta che aggrapparsi alla casa in cui ha vissuto, utilizzando il suo potere sugli oggetti per rendere manifesta la propria presenza quel tanto che basta per segnare il territorio, lottando fino alla fine contro gli inesorabili cambiamenti causati dal tempo e contro il proprio destino, uguale a quello di ogni altra persona scomparsa: essere dimenticata.
Lo stesso destino sembra riservato al fantasma della casa di fronte, una donna che non ricorda nemmeno più chi sta aspettando, ma che non riesce ad arrendersi all’oblio. Quando – dopo la fuga di vari inquilini, letteralmente cacciati via dalle manifestazioni di C. – si decide di demolire la casa infestata, il fantasma della casa accanto, anch’essa demolita, si arrende, capendo che nessuno tornerà più in quel luogo e svanisce.
C. capisce quindi che l’unica speranza per recuperare il biglietto di M. – impossibile su un piano razionale – è riuscire a trascendere la categoria del tempo, lasciando che l’Universo, per come lo conosciamo oggi, completi il suo ciclo e aspettando si ricostituiscano le condizioni in cui tutto è iniziato e poi finito, confrontandosi – se necessario – anche con se stesso. Per farlo, C. dovrà pazientare intere epoche, sostando sul luogo in cui un tempo si ergeva la sua casa fino a quando viene trasformato in un moderno quartiere commerciale, circondato da grattacieli futuristici. È a questo punto che lo spirito – non trovando più alcun punto di riferimento con la propria vita e avendo perso ogni traccia del biglietto di M. – opta per un paradossale suicidio, lasciandosi cadere dalla cima di un grattacielo e ritrovandosi – nello stesso luogo – in epoca coloniale, in compagnia di una famiglia che getta le fondamenta della propria casa.
Il vortice temporale comincia a manifestare i suoi primi effetti, ricollegandosi al senso di quel monologo sentito alla festa, quando la casa di C. era abitata dagli ultimi inquilini. Il tempo è ciclico, le persone vengono quasi sempre dimenticate, l’unica cosa che si può fare per evitarlo – similmente a quanto fatto da M. col bigliettino – è lasciare una traccia trascendente di sé. Come quelle melodie che hanno reso immortale Beethoven o – più semplicemente – come quella canzone scritta da C., che parlava di solitudine e abbandono. Quello stesso motivetto lo sentiamo canticchiato dalla bambina della famiglia coloniale, anni luce più avanti (o indietro) nel tempo, a testimonianza che la missione di C. sta per essere portata a termine. Ma non prima che sopraggiunga altra morte e altro oblio.
I due fantasmi e il paradosso della presenza nell’assenza
Altra epoca, altra contrazione del tempo, e finalmente C. si ritrova in casa sua, in compagnia del se stesso da vivo e della sua compagna. La realtà, tuttavia, è leggermente diversa da quella del ciclo temporale precedente, nella coppia si esplicitano tensioni che all’inizio del film abbiamo visto solo accennate. Differenze che fanno parte dell’evoluzione dell’anima attraverso le varie vite, un concetto che in Storia di un fantasma si espande in un loop temporale in cui i due fantasmi del protagonista, quello della vita precedente e quello della vita attuale, finiscono per coesistere nella stessa casa, spiegando l’origine di quelle presenze già avvertite dalla coppia all’inizio del film che – in questa seconda versione della loro vita – sono alla base dei dissapori fra M. e C., che invece non vorrebbe lasciare la casa, percependone la storia.
Il finale del film vede il fantasma più “antico”, riconoscibile dall’aspetto consunto del suo lenzuolo, riuscire finalmente a leggere il bigliettino di M., dopo la “seconda” morte del suo corrispettivo umano, garantendo alla sua amata quella continuità nel ricordo che lui ora può accettare di non avere. Si lascia così andare, afflosciandosi su se stesso e passando al fantasma più giovane il compito di individuare la propria missione, prima di svanire.
Storia di un fantasma è un film lirico e profondo, che mette al centro della narrazione gli aspetti ontologici più inesorabili della human condition, riuscendo a far coesistere i concetti apparentemente inconciliabili di assenza e presenza per restituire quel senso dell’essere tutti parte di un grande, ciclico, Uno. Visitatori di passaggio di una realtà in cui tutto ciò che può davvero trascendere la morte divenendo storia è il frutto delle nostre emozioni più intime, in grado di risuonare come un’eterna eco di speranza.