Taxi Driver: così Rkomi dialoga col film di Martin Scorsese. Viaggio tra testi e atmosfere
Rkomi, come Travis Bickle, sale a bordo di un taxi che conduce nella notte di memorie che si confondono coi sogni e di un presente in cui, più che vivere, si fantastica e ci si guarda allo specchio solo per scoprirsi frammentari. Viaggio all’interno di testi e atmosfere di un album ai vertici delle classifiche, in dialogo con un film infinito.
Cosa c’entra Rkomi col film di Martin Scorsese, Taxi Driver? Evidentemente c’è un dialogo complesso, che vale la pena indagare.
In principio fu Persona, di Marracash, uscito nell’autunno del 2019. L’album omaggia nel titolo e nell’immagine di cover il capolavoro bergmaniano e, seppure i rapporti filologici con il film siano esili, la continuità tra le due opere emerge nel comune tentativo di smantellare la persona, vale a dire l’identità che è figlia di scritture altrui, non più sostenibili soggettivamente. Il rapper si libera sì della maschera, ma ancor più di quello a e in cui è finito per credere: ciò che gli altri – a cui lui per primo ha voluto dare credito – lo hanno spinto a mostrarsi d’essere, in sostanziale e sofferta dissonanza con sentimenti irriducibili alla fissità dell’autorappresentazione.
In seguito, è arrivato Rkomi, che non a caso può vantare di aver collaborato già ai suoi esordi proprio con il più maturo e celebre rapper della Barona: lo scorso 30 aprile ha consegnato al suo pubblico il terzo album, Taxi Driver, che, ben più di Persona di Marracash con il film di Bergman, sconta il debito con l’omonimo lungometraggio di Scorsese, debito contratto sia in termini narrativi sia estetici.
Oggi, a quasi quattro mesi dall’uscita, Taxi Driver è l’album più venduto in Italia, e ciò sembra essere la conferma di tante cose: della bravura del suo autore; della fecondità del dialogo tra rap e cinema; dell’inesauribilità metaforica del viaggio notturno-scaccia insonnia di Travis Bickle; di quanto il film con Robert De Niro protagonista rappresenti ancora un paradigma di una poetica esistenzialista da interrogare e proseguire.
Taxi Driver di Rkomi: il ritorno al film di Scorsese per indagare nuove inquietudini
L’album s’apre con un’intro-proemio in cui Rkomi affida alla sua voce sola parole che riprendono con grande precisione il monologo di Travis Bickle all’inizio del film.
30 aprile. Grazie al cielo scoppierà un temporale. Servirà a dare una rinfrescata alla città. Lavarla da tutto l’orrore che lasciamo dietro i nostri passi. Faccio questo adesso, guido dal tramonto all’alba. A volte anche quando è festa. È stressante in effetti, ma almeno mi tiene la mente occupata. Accompagno le persone nei loro pensieri così tante volte durante la settimana. Tanto da farmi coinvolgere, immedesimare. E non vi nego che la cosa mi piace. Io ho sempre sentito il bisogno di avere uno scopo nella vita. Non credo che uno possa dedicarsi solo a se stesso, al proprio benessere. Secondo me uno deve cercare di avvicinarsi alle altre persone.
In Taxi Driver, il film, tutto aveva inizio il 9 maggio; qui il 30 aprile, data d’uscita dell’album. Il rapper carica sul suo taxi uomini e donne che incontra ‘sulla strada’, anime inquiete quanto lui: si riferisce agli artisti con cui condividerà le tracce a seguire, ma anche ai suoi fan, a chi lo vorrà ascoltare.
Come Bickle, un giovane reduce dal Vietnam alle prese con traumi di guerra, sconforti abbandonici, angosce di vuoto, alienazione, il rapper, coetaneo del personaggio, avverte l’urgenza di riempire giorni dolenti alle prese con il buco nero del trauma (“Ho una fiamma sola, per illuminare il buio mentre cicatrizzo /Dio mi tiene in pugno col suo bel sorriso / Non sono Dante, l’Inferno, il mio inferno è un altro”), di mettere a tacere pensieri avvilenti, di ritorno a un passato-Vietnam che è una guerra pur senza esserlo letteralmente (“Resto attaccato come smog su un monumento nero/ Alla memoria di una guerra che non è importante”), di stancarsi per non concedere troppo all’insonnia (“Ho il letto più grosso dell’hotel e non so proprio come stendermi”), di trovare uno scopo esistenziale che spera o s’illude possono indicargli gli ‘altri’, a suo modo di vedere depositari di un qualche sapere: Rkomi confida che nella relazione possa trovarsi la via d’uscita dal suo stallo emotivo e dal suo indefinito malessere da vacuità.
“Sono William Blake, Travis Bickle, Mirko / E tutto ciò che ho visto in giro”: così dichiara nell’interludio dell’album, Paradiso vs. Inferno. Ed è come dire: sono un poeta visionario; un uomo solo, inghiottito dalla metropoli e dai suoi stessi demoni; un ragazzo con un nome normale; l’insieme di tutte le persone incontrate, perché le mie identità non mi sono sufficienti e, se mi guardo allo specchio, vedo frammenti.
In Taxi Driver, Rkomi, moderno Travis Bickle, si confronta con le trappole della mente
In Partire da te, il secondo brano della tracklist, il rapper milanese paragona la sua mente a un hotel dalle molte stanze e si chiede dove la lei desiderata sia andata a nascondersi: “la mente è il nostro hotel, ma tu in che stanza sei?”. La donna in questione è solo una fantasia, un ideale: nello stesso modo in cui Travis Bickle sogna di poter ‘accorciare le distanze’ che lo separano da Betsy, la sua donna-angelo appartenente a un altro contesto sociale, oltremodo idealizzata, Rkomi indugia nella fantasia di un amore – “lascia che tu sia una mia fantasia / prima che ti riapra gli occhi e ti portino via” – sul quale ripone le sue speranze di salvezza dal grigiore quotidiano e dal sentimento nichilista che lo tiene in ostaggio.
L’atmosfera è allucinatoria, ma non manca la consapevolezza dello iato tra ciò che è sognato e ciò che è reale: “Di noi conosco solo il divario, i centimetri in mezzo / I miei ricordi confondono i sogni / Sto riempiendo gli spazi con cose di noi /Conosco solo il divario, i centimetri in mezzo”.
Nella canzone, in featuring con Tommaso Paradiso, che segue – l’album è un viaggio nella notte simbolica di un’anima; dunque, in quanto viaggio, va ascoltato dall’inizio alla fine, senza alterare l’ordine delle tracce – la consapevolezza dell’inconsistenza di questa relazione con un’alterità sospirata ritorna ad affacciarsi: “E poi succede che parliamo d’amore senza un me e te / E poi finisce tutto senza un perché”.
L’amore finisce senza un perché, sì, ma in fondo la causa del suo naufragio è contenuta nella sua premessa: si tratta, infatti, di un rapporto tra due non-soggetti, tra un me e un te che non esistono, e non esistono solo perché sono più immaginati che sperimentati, ‘nullificati’ dall’astrazione dell’ideale romantico. “Ho pensato a cosa sei, per me sai cosa sei?/ Qualcosa che non sai nemmeno te”: ribadisce in Nuovo range (feat. Sfera Ebbasta) e, di se stesso, confessa “vengo dalle popolari, ma sono un romanticone”.
Taxi Driver: Rkomi porta con sé colleghi artisti e ascoltatori lungo le arterie di una città infernale (e tutta interiore)
“Vorrei sapere chi ha detto/ che non vivo più senza te” si chiede, insieme a Ernia, in Dieci ragazze, citando Lucio Battisti e sfiorando, così, il punto della questione: l’infelicità dipende dal nostro non sapere chi amare. In Me o le mie canzoni?, in collaborazione con Gazzelle, Rkomi si domande, invece, se una donna con cui ha avuto tempo prima una relazione sessuale (ma non si tratta solo di quello) e che periodicamente ritorna nella sua vira, voglia lui oppure le sue canzoni, le opere che gli assicurano la fama: impossibile non pensare al tentativo di riaprire le possibilità di un incontro da parte di Betsy nel momento in cui Travis Bickle da giovane sbandato con turbe psichiche si trasforma in eroe.
L’interrogativo di Rkomi ruota intorno a chi l’altra ami nel momento in cui dice di amare: un uomo reale o un uomo immaginato, desiderato in quanto famoso? Eppure, la questione risulta proiettiva perché lo stesso rapper, in fondo, soffre della stessa malattia del fantasticare. “Diecimila voci e tu mi dici di calmarmi, mhm / Cuori troppo grandi per poter stare lontani / Ogni volta mi rigiro dal tuo lato preferito / E in un attimo è mattino / E in un attimo è mattino”: insieme ad Ariete, nella traccia numero cinque, canta insieme l’ostinazione e la fugacità del sogno, nel quale l’artista si rifugia per non affrontare la realtà. “Scrivo bene solo ciò che non scrivo” (Paradiso vs. Inferno): l’opera immaginata è più bella di quella reale, il talento che si crede di avere più pieno di quello che si possiede realmente.
Taxi Driver di Rkomi: come Travis Bickle, anche il rapper è spinto ad attuare un ‘giudizio universale’
Rkomi, dopo aver delineato la forma del suo tormento, attraversandone le contraddizioni, infine recupera, il contatto con il film che lo ha ispirato e, nella canzone omonima che chiude l’album, simmetricamente a voce sola come la prima traccia, i versi riecheggiano di nuovo, come già nell’Intro, il monologare straniato di Travis Bickle nonché il suo noto agone con lo specchio: “Canzoni viaggiano in taxi per ripulire le strade / Vengono fuori la notte gli animali più strani / Io che invocavo un diluvio che prese me per ostaggio /Ma quello specchio ce l’ha con me”. Nel film, la follia che pian piano s’impossessa dell’ex marine lo spinge a ‘ripulire’ nel sangue New York dalla corruzione che l’avvelena. Ugualmente, Rkomi è in qualche modo chiamato ad attuare il suo giudizio universale, a farsi anch’egli “boia”. Boia di sé stesso.
Giudice, giuria, boia, tutto insieme/ Sfruttamento alienazione, insopportabili scelte / Dodici ore in auto, le altre sul diario / Nel buio di un cinema porno / Vivo per sbaglio solo in una città /Che non sente che sei agitata / Gli abissi di un’anima che / Non vuole dover sparare più / La fine è “bang”
Il rapper confonde attore e personaggio: le dodici ore di cui parla sono infatti quelle spese quotidianamente da De Niro come conducente di un taxi per prepararsi al film, mentre la scrittura del diario è una pratica in cui il personaggio di Travis Bickle cerca sollievo. Nell’evocare il buio nella sala di un cinema porno, Rkomi si riferisce, invece, all’appuntamento fallito tra Travis, incapace di uscire dal suo mondo e di sintonizzarsi con la realtà, e la sua donna-angelo Betsy, la creatura dalla quale si aspettava salvezza, ignorando fino a che punto fosse null’altro che il prodotto della sua mente e dei suoi bisogni, inesistente come corpo reale e pulsante, come nuda esistenza, come esperienza contraddittoria – e, quindi, autentica – dell’essere. “[…], Nuda / Non ti ho mai vista nuda”, canta Rkomi, quasi in un singulto, e la nudità di cui parla è, in fondo, qualcosa che riguarda la verità (rifiutata) della vita.