The Good Nurse: la storia vera alla base del film Netflix e le differenze tra finzione e realtà
Il film Netflix The Good Nurse è basata su una macabra storia vera che ha come protagonista uno dei killer più prolifici della storia.
Rilasciato lo scorso 26 ottobre su Netflix, The Good Nurse è un thriller diretto da Tobias Lindholm e con protagonisti il Premio Oscar Eddie Redmayne e l’attrice Premio Oscar Jessica Chastain. Tratta dall’omonimo libro di Charles Graeber, il film – presentato in anteprima al Toronto International Film Festival – è incentrato sulla storia vera del serial killer Charles Cullen.
La storia vera che ha ispirato il film Netflix The Good Nurse
Nato il 22 febbraio 1960 a West Orange, nel New Jersey, Charlie Cullen, secondo le autorità, è uno dei serial killer più prolifici della storia. Cresciuto in una famiglia cattolica irlandese, ha vissuto un’infanzia e un’adolescenza molto difficile: suo padre (autista di autobus) è morto quando lui aveva solo sette mesi, è stato vittima di bullismo a scuola, a nove anni ha tentato di suicidarsi bevendo sostanze chimiche e durante il suo ultimo anno di liceo ha perso la mamma in un incidente stradale. Il dolore per la perdita di sua madre, ha portato Charlie ad abbondare la scuola e ad arruolarsi nella Marina. Una nuova esperienza che si è rivelata essere più dura del previsto per le molestie e il bullismo subite dai suoi colleghi, che lo hanno portato a provare nuovamente il suicidio.
Dopo essere stato congedato dalla Marina, Charlie Cullen si è iscritto alla scuola per infermieri, laureandosi nel 1986. Alla fine degli anni ottanta, si è sposato diventando anche padre di due bambine. È proprio in questo periodo che Cullen ha iniziato ad uccidere. A Saint Barnabas, l’11 giugno 1988, ha infatti somministrato a un paziente un sovradosaggio letale di farmaci per via endovenosa. Successivamente ha ucciso altri pazienti, incluso un malato di AIDS a cui ha somministrato un’overdose di insulina. Dopo che la polizia ha iniziato le indagini per delle sacche di flebo contaminate, Cullen, nel gennaio del 1992, ha lasciato per sempre il Saint Barnabas. Un mese dopo ha trovato lavoro presso il Warren Hospital di Phillipsburg, dove ha ucciso tre donne anziane con un’overdose di digossina, un farmaco per il cuore. Dopo aver aver divorziato da sua moglie, la quale ha richiesto anche un ordine restrittivo nei suoi confronti perché “potenzialmente pericoloso” per le loro due figlie, Charlie Cullen ha iniziato a perseguitare una collega facendo irruzioni in casa sua mentre lei e suo figlio dormivano. Denunciato e successivamente arrestato, ha passato diverso tempo in carcere, tentando nuovamente il suicidio.
Una volta libero, è tornato a lavorare e a continuare ad uccidere, lavorando per tre anni come infermiere di terapia intensiva all’Hunterdon Medical Center di Flemington. Nel febbraio 1998, Cullen è stato assunto dal Liberty Nursing and Rehabilitation Center di Allentown, in Pennsylvania, dove ha lavorato in un reparto di pazienti con dipendenza respiratoria, somministrando farmaci in orari non programmati e causando anche la morte di un paziente che è stata attribuita a un’altra infermiera. Dal novembre 1998 e al marzo 1999, ha lavorato presso l’Easton Hospital, dove il 30 dicembre 1998 ha ucciso l’ennesimo paziente, sempre attraverso una quantità letale di digossina. Charlie Cullen è stato arrestato in un ristorante il 12 dicembre 2003, dopo la segnalazione alla polizia della collega Amy Loughren dopo una morte improvvisa di un paziente per ipoglicemia nell’ottobre 2003. Due giorni dopo il suo arresto, ha ammesso agli investigatori di aver ucciso fino a 40 pazienti nei suoi 16 anni di carriera. Il 2 marzo 2006 è stato condannato a 18 ergastoli consecutivi e attualmente è detenuto nella prigione statale del New Jersey a Trenton. Secondo la polizia, Cullen avrebbe ucciso, tra il 1987 e il 2003 quasi 400 pazienti.
Le differenze tra finzione e realtà in The Good Nurse
Nella vita reale, Amy Loughren era un’infermiera che lavorava al Somerset Hospital nel New Jersey e viveva nello stato di New York con le sue due giovani figlie. Soffriva di cardiomiopatia, una forma di malattia cardiaca che le causava episodi di respiro affannoso sul lavoro. Un giorno, la donna è crollata al lavoro e ha dovuto andare al pronto soccorso e prendere un pacemaker. Un dettaglio che è diventato essenziale in seguito durante la sua cena faccia a faccia con Cullen. In The Good Nurse, niente di tutto questo viene raccontato.
In The Good Nurse, la Loughren si rende conto lentamente che due pazienti sono morti per overdose di insulina, notando un errore nelle rispettive cartelle cliniche. Dopo aver messo lentamente insieme i pezzi, capisce che il responsabile è Cullen. In realtà, gli errori di Cullen erano leggermente più evidenti. Nel libro, Graeber racconta che la Loughren ha esaminato le cartelle di Cullen su un sistema chiamato Cerner, scoprendo “chiazze di parole qua e là e osservazioni frettolose ed errate“. La donna, inoltre, ha scoperto l’insolita quantità di tempo che Cullen ha trascorso all’interno del sistema per rintracciare i pazienti di altre infermiere a quali iniettare il letale cocktail di farmaci.
In una scena cruciale di The Good Nurse, Amy Loughren incontra Charlie in una tavola calda per convincerlo a confessare i suoi crimini, cosa che è successa per davvero. Nella vita reale, però, Cullen si è mostrato più sicuro di sé di quanto suggerisca il film. “Si è seduto con la schiena dritta“, ha ricordato la donna a People. “Il colore dei suoi occhi è cambiato. Ha fatto un sorrisetto sul viso e ha detto: “Vado a combattere.“” Come ritrae il film, l’uomo durante l’incontro non ha confessato ma è stato arrestato dalle autorità locali. Sebbene il film faccia credere che Charlie e Amy non si siano mai più visti dopo la condanna a 18 ergastoli dell’uomo, la realtà è un’altra. I due si sono scambiati tantissime lettere e la donna gli ha fatto visita in prigione una dozzina di volte. “Volevo davvero sapere se avevo danneggiato qualcuno accidentalmente. Volevo semplicemente delle risposte“, ha detto la Loughren a Glamour, sottolineando che alla fine non ha ottenuto le risposte che voleva.