Editoriale | The Irishman: il paradosso di Martin Scorsese su Netflix
Idolatrato dalla critica per il nuovo film, Martin Scorsese ci offre anche alcuni spunti per una riflessione sul cinema in computer grafica e sul futuro.
La critica americana, ma pure quella italiana, si sono prodotte in ovazioni per The Irishman, la nuova colossale opera di Martin Scorsese. Tre ore e mezza che percorrono la storia di Frank Sheeran, “imbianchino” irlandese col grilletto facile passato al servizio della malavita intorno al sindacalista Jimmy Hoffa. In realtà così soprannominato per via del vizietto di crivellare le teste delle sue vittime schizzando muri a mo’ di Pollock. Storia vera, opportunamente adattata al grande schermo, The Irishman mette per la prima volta tutte insieme icone del cinema scorsesiano come Robert De Niro, Joe Pesci e Harvey Keitel aggiungendoci Al Pacino, nei panni di Hoffa. Il cartellone già molto attraente ha incuriosito in maniera smodata per mesi molto pubblico. Ma come mai un abituale produttore di serie tv come Netflix ha finanziato un film che da solo dura quanto gli episodi complessivi di una miniserie? I 150 milioni di dollari necessari a realizzare questo progetto oceanico pensato dal regista italoamericano non hanno concesso dubbi sull’unica major disposta a finanziare il film nella sua impostazione originale. Quindi unica via, per Scorsese, di realizzare tutto il film insieme ai suoi amici di sempre, come ha spiegato in conferenza stampa alla Festa del Cinema di Roma, ringiovanendoli con la computer graphic animation, e per Netflix, probabilmente, la sola via per accaparrarsi tutti i diritti su un’opera originale del grande maestro di cinema contemporaneo.
RFF14 – The Irishman: leggi qui la recensione del film di Martin Scorsese
E riguardo all’uscita italiana in sala ristretta al 4, 5 e 6 novembre e poi prolungata per alcune sale? La partenza è stata di 98 sale, ma si sa poco degli incassi in quanto Netflix sta diventando famosa anche per non pubblicare questi dati. Al 22 novembre era in 15 sale, ma ancora buio sugli incassi. Un’ottima tenitura, se consideriamo il braccio di ferro che gli esercenti hanno dovuto fare con la major online per strappare più sale del previsto. E la stessa vicenda si era già proposta negli Usa. Ma questa è un’altra storia. Parliamo invece del film.
The Irishman: il ringiovanimento in CGI di De Niro e soci
La narrazione filmica di Scorsese abbraccia quasi cinquant’anni nei quali i nostri attori, con la loro età reale si pongono nel mezzo. Così il compito della CGI è stato di ringiovanire i protagonisti di circa vent’anni nella prima parte del film, fino a invecchiarli dell’equivalente in lustri nel finale. Per il ringiovanimento il risultato è una pulitura del viso da rughe e appesantimenti del tempo, ma la texture per ricostruire l’incarnato rivela un’estetica somatica di questo cinquantenne De Niro più vicina a un videogioco dall’ottima grafica che alla mirabile fotografia di Rodrigo Prieto. Un risultato tutto sommato un po’ meno realistico di quello raggiunto in Rogue One: A Star Wars Wars Story, dove, nel 2017 fu riportato elettronicamente in vita Peter Cushing, scomparso nel 1994.
In quel caso si trattava pure di un personaggio in un’astronave, e non in auto, case o cucine. La differenza, seppur sottile, c’è anche riguardo alla luminosità. Il nostro cervello rielabora ambienti conosciuti o familiari e rivisti nei film rispetto a luoghi inventati e quindi impareggiabili da memorie del reale, se non unicamente dall’immaginario collettivo costruito con la memoria acquista da altre immagini schermiche fruite in precedenza. Insomma, nel caso di Star Wars, ci ricordiamo di com’è l’interno di un’astronave perché abbiamo visto i film precedenti o altre pellicole con ambienti simili, come Star Trek, etc.
Martin Scorsese a RomaFF14: The Irishman riflette sul tempo, sull’amore, sull’età…
Nel caso di Cushing gli effetti si applicarono su un altro attore ovviamente vivo e fisionomicamente somigliante, qui invece, De Niro, Pacino e Pesci si sono prestati ad applicazioni di sensori meno invasivi del solito per facilitarne, sempre a detta di Scorsese stesso, il lavoro sul set. Mentre Pesci e Pacino sono legati a personaggi basati su interpretazioni di parola ed espressività facciale, il Frank di De Niro è un sicario, quindi lavora molto col corpo e parla poco. Ciò che non convince pienamente non è l’interpretazione in quanto tale di un attore finalmente tornato gigantesco – dopo troppi ruoli da non protagonista o qualitativamente impalpabili nella scrittura – ma la fisicità del De Niro ringiovanito elettronicamente, sia dal punto di vista posturale che motoria. Per quanto si dia da fare a scrollarsi vent’anni dalle spalle, ci mostra comunque i limiti naturali di un ultrasettantenne travestito da quasi cinquantenne. Spalle e collo incurvate nei controcampi, scene d’azione, di corsa, spari e colluttazioni affrontati un po’ rigidamente possono creare qualche intoppo alla sospensione dell’incredulità di chi ha visto, rivisto e amato il Sam Rothstein di Casinò o il mercenario di Ronin.
Anche il grande Roberto Benigni ha avuto a che fare a un certo punto della sua carriera, con la sospensione dell’incredulità. Probabilmente, per via del tutto subliminale, subì il suo peggior flop con Pinocchio per via di un bambino/burattino in effetti di cinquant’anni, che pur perfettamente calato nella parte fiabesca in quanto a interpretazione, aveva ancora molti tratti fisici da adulto, come i peli sulle mani e l’ombreggiatura della barba appena rasata sul viso. Cose impensabili se accostate a un bambino. Anche in una fiaba. E per provocazione, ricordate le maschere in gomma dei Presidenti degli Stati Uniti utilizzate da Keanu Reeves e Patrick Swayze in Point Break? Erano surfisti e rapinatori prestanti ed atletici loro, ma mai nessuno, giustamente, neanche i rapinati più scioccati, li scambiarono per veri Presidenti incravattati.
The Irishman: attori in CGI o due attori per un ruolo?
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Mantenere gli stessi attori ringiovanendoli e invecchiandoli con trucco e CGI o utilizzare attori diversi a seconda delle età raccontate? Questo è il dilemma. Se nel Padrino – Parte II la soluzione di Francis Ford Coppola per raccontarci la storia del giovane Don Vito Corleone fu quella di sostituire Marlon Brando proprio con l’allora trentunenne Robert De Niro, Scorsese ha deciso invece di dare fiducia alla tecnologia per ringiovanire il suo amico oggi settantaeienne. Curioso è che Don Vito sia stato l’unico personaggio della storia del cinema ad aver fatto vincere l’Oscar a due attori diversi: Brando e De Niro, appunto. Non che Scorsese con la sua scelta ci abbia privati, o si sia privato di un doppio Oscar o di un nuovo Bob De Niro del terzo millennio ancora da scoprire (almeno speriamo), ma tutti gli elementi messi insieme fanno quantomeno riflettere.
The Irishman e il futuro dei sempiterni
Sono sempre più incalzanti e tecnologicamente avanzate le entrate in scena di attori impossibili. Il ringiovanito De Niro è soltanto l’ultimo in ordine di apparizione. Sconvolgente è stata anche la spremitura sull’immagine di Carrie Fischer, che tornerà digitalmente rediviva anche in Star Wars IX. Ma dove potrebbe portare questo riutilizzo su set attuali di star nella realtà defunte o invecchiate? Non ce ne voglia il maestro De Niro per questo curiosare tra tecnologia e resa fisica attoriale, perché l’affetto smisurato che proviamo per lui, quello sì che è sempiterno, con o senza CGI. Sempre durante la conferenza di presentazione di Irishman alla Festa del Cinema di Roma, l’ultima domanda al maestro Scorsese – posta da chi scrive, proprio per Cinematographe.it – è stata sulla creazione di star artificiali come cloni da utilizzare in nuovi film. E lui giustamente ha approfondito l’aspetto sperimentale del suo nuovo lavoro.
Effettivamente siamo agli albori di nuove tecnologie di ricostruzione schermica in 3D di persone realmente esistite, e le applicazioni sono ancora infinite e imprevedibili. Questo potrebbe portarci un giorno a guardare tre marmittoni composti da Stanlio, Ollio e Fantozzi, chissà. O paradossi amorosi con Marcello Mastroianni che tradisce Mariangela Melato per Marylin Monroe. Nel recentissimo passato, anche Arnold Schwarzenegger è stato ricostruito digitalmente, per alcuni Terminator, in versione ovviamente ringiovanita e fresca di body-building. Mentre presto, a quanto pare, dovrebbe uscire un film vietnamita che riproporrà niente poco di meno che James Dean, divo di 24 anni deceduto nel ’55 e diventato icona. Ma il pubblico di domani quanto sopporterà le star di ieri riproposte in chiave postmoderna? Sarà ancora lo stesso cinema, saranno ancora le stesse emozioni? Chi lo sa. Per adesso abbiamo i “maybe” e gli “it’s possible” di Martin Scorsese.