The Tree of Life: la spiegazione del film di Terrence Malick
The Tree of Life è un cinema ermetico e misterioso che si fonda su una riflessione ontologica sull'esistenza umana e sull'universo.
Una donna e un uomo. Una madre (Jessica Chastain) e un padre (Brad Pitt), tre figli. L’America anni ’50, il sogno americano. Poi il dolore più grande che possa toccare ad un genitore: la morte di una delle sue creature. Questa è la storia in nuce di The Tree of Life, il complesso, stratificato e filosofico film di Terrence Malick, che si costruisce come una folgorazione, un susseguirsi di quadri drammatici e dolorosi e immagini cosmogoniche di luce e colori.
La sua scelta è particolare, decide di concentrarsi sulla vita del figlio maggiore, Jack O’Brien (da grande Sean Penn), che è cresciuto sulla scia di quel dramma, delle domande esistenziali, spirituali, che lo hanno accompagnato fin da piccolo, diviso tra l’amore materno e l’autorevolezza violenta paterna. Quello di Malick è un gigante che si attorciglia su di sé, che implode e esplode e può incutere anche terrore proprio mentre affascina e irretisce. Il film non va interpretato alla lettera ma in maniera trascendentale ed allegorica – non è un caso se l’incipit è cosmologico, solo in seconda istanza arrivano gli esseri umani. I personaggi, l’ambientazione, i colori vivono e convivono in una sorta di dimensione parallela.
The Tree of Life: una storia che si concentra su Jack
The Tree of Life è un cinema ermetico e misterioso che si fonda su una riflessione ontologica sull’esistenza umana e sull’universo. Malick sa cosa racconta, sente ogni minima particella di quel testo – ha perso un fratello, è vissuto in Texas -, conosce quella sofferenza e ha insegnato filosofia (la sua formazione è legata agli scritti di Heidegger), materia che permea lui stesso e il suo film.
Parte da una storia “semplice” e poi la infarcisce dello sguardo con cui vede il mondo e la vita. Jack cresce tra un padre autoritario ed esigente e una madre dolce e protettiva e stretto tra due modi diversi di concepire la vita, sarà da essi formato e poi diviso per tutta la vita. Poi la tragedia. Le domande di ciascuno di loro si moltiplicano e si espandono: la vita, la morte, l’origine e la fine di tutto, la Grazia contro la Natura. La realtà familiare, il piccolo, si alterna alla Nascita dell’Universo, il Grande, e tutto si modella in un intermezzo di una bellezza disarmante, accompagnato da musiche altrettanto disarmanti (Lacrimosa di Preisner, Inno a Dioniso di Holst, Moldava dalla Mia Patria di Smetana), in cui l’occhio spettatoriale si perde e si trova.
Quando io ponevo le fondamenta del mondo, tu dov’eri?
Queste parole di Giobbe – messo alla prova più volte da Dio, ad un tratto si trova perso senza beni, figli e salute – costruiscono il pensiero e la storia di questa famiglia. Perché? Perché se Dio è tanto buono, giusto, deve colpire questa famiglia strappandole uno dei suoi figli? Perché non ha protetto le sue creature? Non ci sono risposte per queste domande che affollano la mente e l’anima del signor e della signora O’Brien, di Jack, che arrivano allo spettatore con la forza silenziosa della voce fuori campo – elemento cardine e cifra stilistica della cinematografia di Malick – mentre la vita procede, mentre la cosmogonia prorompe sullo schermo. Parlano al Signore, lo chiamano con forza e caparbia disperazione. Preghiere, discorsi silenziosi, interiori e intimi, che si attorcigliano su di sé.
Tra Natura e Grazia
Uno dei punti fondanti di The Tree of Life è sicuramente la lotta eterna tra Natura e Grazia; lo dice la voce della madre (la splendida Jessica Chastain) che esistono due approcci alla vita: la via della Natura e la via della Grazia. Se il padre è Natura, un uomo che ha messo da parte i sogni per la famiglia, la madre è pura Grazia, empatia e “simpatia” e la percorre ogni giorno, in ogni momento della sua esistenza, anche quando essa sembra spezzarla. Se il padre controlla, insegna con rigidità, durezza, addirittura violenza, la madre dà amore, dona ai figli la fede, ma non solo e non tanto in senso religioso ma totale.
Padre e madre però non sono solo i pilastri educativi di un bambino ma sono anche facce della stessa medaglia, due binari che (co)esistono l’uno accanto all’altro.
I genitori si muovono per il bene dei figli: il padre, pur vedendo durezza nella vita, è mosso dal desiderio di garantire un futuro ai figli, la madre vuole insegnare la carezza e la tenerezza che comunque fanno parte della vita.
Padre. Madre. Voi due siete in lotta dentro di me. E lo sarete sempre
Tutto questo vive in Jack, lo dice chiaramente: sono le sue due anime che lottano in lui e che provocano un dolore fortissimo, aumentato dal lutto del fratello. Sta crescendo Jack, vive quella Rabbia Giovane, per citare un altro film del cineasta, ed è spaventato da questo, non riconosce, anche per le radicate basi religiose che gli hanno impartito, i suoi istinti e i suoi impulsi (la scena della sottoveste rubata).
Tra cosmogonia e vita familiare
Ira ed eruzioni vulcaniche, pace ritrovata e sole eclissato vanno di pari passo, umano e cosmologico, come se ci fosse un sottilissimo e silenzioso legame che tiene tutto insieme. L’uomo e la donna sono parte di qualcosa di più grande, un meccanismo che può fare paura ma che conturba come un potente amore: galassie, terre primordiali, cieli e distese acquifere, nascita e morte, abbraccio e distacco. Il venire al mondo di ogni cosa, l’esistenza umana sembrano nascere proprio da quella collisione violentissima e affascinante tra macrocosmo e microcosmo.
Le discussioni tra i coniugi O’Brien, il lutto, la complessità e la durezza dei comportamenti, il disagio sono elementi che fanno parte di questo film ma prendono un valore diverso proprio in virtù della filosofia che c’è alla base. The Tree of Life è un film sulla Vita e sulla Morte, sulla Mente e sullo Spirito, sul fuoco e sull’acqueo; pur sembrando un testo che parla di religione parla anche quasi della sua totale assenza. La Terra si spegne assieme al Sole, muore un figlio prima dei propri genitori, un padre non abbracciante ma respingente. Qualcosa va in cortocircuito per chi guarda e tale sensazione permane nel finale di The Tree of Life. Quella camminata sulla spiaggia, fatta dal Jack adulto e bambino, assieme ai genitori, sempre giovani e bellissimi, al fratello morto, è una scena forte, “disturbante”, tanto quanto struggente e liberatoria e, si badi bene non nel senso religioso quanto in senso spirituale. Alla famiglia di Jack capita ogni dolore – il padre perde il lavoro, il lutto – in quel finale l’uomo in una sorta di purgatorio ritrova almeno emotivamente la sua famiglia. Non è dunque il Paradiso è una sorta di luogo emotivo, un posto della mente e del cuore in cui tutto si riconcilia.
The Tree of Life: una sinfonia che fa riflettere
The Tree of Life è anche in grado di rappresentare un periodo specifico della storia americano, gli anni ’50, attraverso quella famiglia che abita in un quartiere cittadino, attraverso il signor O’Brien che tenta in ogni modo di essere un self-made man, aspirazione per ogni americano, ma poi crolla miseramente, e attraverso l’uomo Jack che vive in un grattacelo dall’architettura moderna ma senza alcuna anima, denuncia “sotterranea” di ciò che siamo diventati.
Il film, una poesia in musica, una lunga pagina biblica ma paradossalmente molto terrena, una sinfonia di colori e silenzi, racconta le contraddizione dell’umano: Jack lo ripete, ancora e ancora, il padre fervente religioso predica cose che poi non mette in pratica, lo stesso Jack, amato, rispettato, abbracciato dalla madre, confessa al padre di essere molto più simile a lui – a tratti dipinto come “il male” – che “a lei”.
The Tree of Life non segue la cronologia, utilizza la “realtà” e la vita mescolandole alla filosofia, come se fosse più importante il ciclo della linearità: Jack è quell’uomo solo, irrigidito, a piedi nudi nell’acqua proprio in virtù di ciò che gli è capitato e anche in virtù di quella concatenazione immaginifica e spirituale che Malick ha “pensato” per lui. Unione di magma e dolore, tramonto e albe, preghiere e rabbia.
L’albero della vita è tutto questo e anche molto altro; è di tutte le religioni ma discende dall’evoluzione darwiniana: è un albero che “alimenta” e che atterrisce proprio per la sua grandezza, è organigramma dell’universo e schema “vitale” di una piccola famiglia degli Stati Uniti d’America che ne ha uno fatto di rami e fronde su cui ha appeso un’altalena. Poco importa se chi lo guarda vi trova Dio o invece un susseguirsi di cicli naturali, Malick vuole semplicemente raccontare una storia di logos e pensiero, di filosofia e di domande.