Tilda Swinton: film e trasformazioni radicali, da Orlando a Suspiria
Tilda Swinton ci ha abituati a grandi performance e a una versatilità ogni volta sorprendente. Vediamo insieme tutte le trasformazioni drammatiche che l'attrice inglese ha attraversato nella sua lunga e fitta carriera.
Tilda Swinton è una di quelle attrici in grado di splendere sempre, anche quando gli elementi che la circondano non sono propriamente alla sua altezza. Attiva dalla fine degli anni ’80, nata a Londra nel 1960, quest’attrice dalle radici scozzesi, nord-irlandesi e inglesi ha ricevuto in più di trent’anni di carriera diversi premi che ne hanno aumentato la fama di professionista straordinaria (su tutti il Premio Oscar nel 2008 per il suo ruolo da non-protagonista in Michael Clayton), sempre attenta a scegliere ruoli rischiosi, borderline, in grado di spingerne al limite le doti interpretative. Se c’è un motivo per cui ricordiamo Tilda sono proprio le sue innumerevoli trasformazioni, talvolta letteralmente gli sdoppiamenti (come in Okja di Bong Joon-ho), e i ruoli che la rendono irriconoscibile (come il professor Josef Klemperer in Suspiria di Luca Guadagnino).
Molto presente nei film dell’artista Derek Jarman a inizio carriera, con il quale stringe un forte sodalizio che intercorre tra il 1985 e il 1994, la Swinton collabora presto con alcuni tra i migliori cineasti della scena internazionale, muovendosi con grande agilità tra cinema indipendente e autoriale (Jim Jarmusch, Wes Anderson, Béla Tarr) e produzioni mainstream (addirittura cinecomic, come Doctor Strange di Scott Derrickson).
Ma quali sono state le trasformazioni più radicali e sorprendenti che Tilda Swinton ci ha regalato negli anni? Vediamole insieme in alcuni dei suoi film più memorabili.
Tutte le trasformazioni di Tilda Swinton e i suoi migliori ruoli
Orlando (1992)
Adattato da Sally Potter (The Party) da un dramma di Virginia Woolf, Orlando è un momento significativo per Tilda Swinton: si tratta di una svolta, o di un primo passo in direzione di ciò che sarebbe diventata la sua carriera. Il film segue la storia di un giovane nobiluomo, Orlando, che rimane stranamente giovane nel corso dei secoli (ciò gli permette anche un cambio di sesso, inaugurando il concetto del “doppio androgino” che caratterizzerà la carriera di Tilda); la difficoltà del ruolo consiste anche nella difficoltà di adattamento interpretativo a seconda dell’identità sessuale di epoca in epoca, laddove costumi e morale cambiano nettamente. Ancora sconosciuta nello show business, il film riceve critiche non omogenee, ma la Swinton svetta per l’attitudine camaleontica, stravagante, ma sempre composta.
Zona di guerra (1999)
Si tratta dell’unico film da regista di Tim Roth, tuttavia notevole, sorta di family drama con un ampio respiro temporale e una nota oscura, in cui la Swinton, scelta per interpretare la figura materna, è perfettamente a suo agio. Non è un ruolo trasformista, ma si discosta nettamente dalle interpretazioni degli anni precedenti, mettendo in luce l’estrema versatilità dell’attrice. È già chiaro che quella che per molte attrici è un’ottima prova, per la Swinton è semplicemente un piccolo esempio delle sue doti, tanto è ampio il suo spettro artistico.
I segreti del lago (2001)
Ecco un buon esempio di un film poco memorabile, con un plot non granché originale (in cui non mancano le incongruenze), e una conclusione fin troppo conciliante, nel quale la Swinton è il focus principale d’attenzione (e di attrazione), in un’altra performance materna (è infatti una casalinga sposata ad un ufficiale di marina che si trova a risolvere un drammatico incidente spinta dall’amore spassionato per il figlio) che ne allarga le capacità e la espone agli occhi dell’industria hollywoodiana, tanto da consegnarle la prima nomination ai Golden Globe dello stesso anno.
Young Adam (2003)
Ce lo ricordiamo per Hell or High Water (2016), David Mackenzie, ma uno dei suoi primissimi film è questo Young Adam, che vede protagonista una coppia apparentemente improbabile la cui performance nel film è stata sottovalutata: Tilda Swinton e Ewan McGregor in questo thriller a sfondo erotico che gioca tutte le sue carte sulla chimica fra i due attori. Coinvolti in un passo a due in cui si convoglia tutta la tensione emotiva dell’opera, che letteralmente si spoglia per stringersi intorno ai loro corpi, Tilda e Ewan sono strepitosi in un film che non mantiene tutte le promesse, ma che varrebbe la pena guardare soltanto per l’intrigante relazione tra i due interpreti.
Le cronache di Narnia (2005)
Jadis, la Strega Bianca, nel primo capitolo della saga fantasy statunitense, è l’antagonista per eccellenza, spietata, assetata di potere, giacché è convinta di essere la strega di Narnia, terra incantata di cui faranno esperienza i piccoli Peter, Susan, Lucy ed Edmund. Il ruolo della Swinton, oltre ad esserle nuovo per via del genere cinematografico fino ad allora inesplorato, si gioca fondamentalmente sugli switch estetici dell’attrice. La costumista Isis Mussenden le confeziona alcuni dei suoi look più impressionanti: abbiamo la corona di ghiaccio e un vestito che sembra letteralmente intagliato da un ghiacciaio, insieme a dei lunghi capelli biondi à la Rapunzel; quando in battaglia, la strega si trasforma in una leonessa in armatura, con gli occhi sottolineati dall’eyeliner rosso e un copricapo d’oro. Si tratta di uno dei ruoli più fisici mai interpretati fino ad ora da Tilda, in questo adventure movie che avrà uno strepitoso successo.
Michael Clayton (2007)
Il film dello sceneggiatore Tony Gilroy (Armageddon, The Bourne Idendity) è uno degli esempi di film talmente promettenti alla cerimonia degli Oscar di quell’anno (ben sette nomination) che tornò a casa con un’unica statuetta, quella alla Swinton, per la sua interpretazione della co-protagonista Karen, avvocatessa arrivista e cinica che farà di tutto per ottenere ciò che vuole e, sopratutto, per occultare qualche illegalità. Il discorso Oscar è senz’altro un argomento sensibile per i fan della Swinton, che considerano questo premio giusto, ma arrivato per la sua performance più “normale” (sebbene completamente differente da quanto affrontato fino ad allora dall’attrice). Certamente aver vinto contro Cate Blanchett non è cosa da tutti i giorni.
Io sono l’amore (2009)
Dopo la collaborazione per The Protagonists (1999) e per il cortometraggio Tilda Swinton: The Love Factory, Luca Guadagnino e Tilda Swinton rinsaldano la loro complicità artistica in quest’opera che lavora attorno all’attrice facendone un corpo catalizzante e una superficie seducente, emotiva, giocata tutta sull’introversione e sulle sensazioni fisiche. La Swinton dovrà imparare italiano e russo, a riprova della sua professionalità e abnegazione, per questa donna, Emma Recchi, dando così vita a una performance organica, completa, ricca e umana, nella quale la donna comunica spesso unicamente con lo sguardo. Il film è sorprendente per molti motivi, ma il lavoro stupefacente della Swinton contribuisce a farne un gioiello di una poetica personalissima che proseguirà con un’altra intesa nel successivo A Bigger Splash (2015).
…e ora parliamo di Kevin (2011)
Probabilmente una delle sue performance migliori, sebbene priva di evidenti caratteri bizzarri o sopra le righe. Tilda Swinton è una madre inquieta che instaura con il figlio Kevin (uno spettacolare Ezra Miller) un rapporto conflittuale dato, soprattutto, dalla morbosità e dagli evidenti squilibri del bambino. Lynne Ramsay (A Beautiful Day) mantiene saldi i fili di una narrazione tesa tra thriller e horror, riuscendo ad evitare prevedibilità drammatiche e insistenze sentimentali, senza demonizzare la psicologia del rapporto madre/figlio.
Tilda Swinton è eccezionale nel lavoro di misura e sottrazione, in un equilibrismo formidabile che è senz’altro la qualità più grande che si possa richiedere a un attore. Nomination ai Golden Globe, ne esce nuovamente senza premio.
Solo gli amanti sopravvivono (2013)
Straordinario lavoro scritto, diretto e prodotto da Jim Jarmusch (Broken Flowers, Paterson), Tilda Swinton e Tom Hiddleston in un intreccio drammatico e sentimentale per un horror assolutamente inaudito, distante anni luce dalla maggior parte delle produzioni di genere. I due amanti vampiri consumano le notti nutrendosi di sangue nel modo più lecito che i progressi della modernità impongono loro, mentre la relazione decadente viene scardinata dall’arrivo di Ava (Mia Wasikowska), ninfetta sorella di Eve (Tilda Swinton), a creare un triangolo disfunzionale e autodistruttivo.
È un ambito al quale Tilda è certamente avvezza, inserita nel suo habitat naturale con un regista che bene interpreta i suoi gusti originali e ne condivide le idee scardinanti. Il risultato è una performance ammaliante che avrebbe certamente meritato un riconoscimento.
Snowpiercer (2013)
Si tratta della prima collaborazione con il regista Bong Joon-ho (The Host, Madre) prodotto dal collega coreano Park Chan-wook, entrambi nomi di prim’ordine per la cinematografia contemporanea. È il debutto a lingua inglese del cineasta asiatico, in questa narrazione che prende spunto da una serie a fumetti a stampo post-apocalittico nel quale è previsto il personaggio di Mason, un uomo che funge da “Ministro” per l’unica umanità sopravvissuta al disastro ecologico. Il casting di Tilda Swinton non stupisce, e l’attrice chiede che nulla venga modificato nella sceneggiatura riguardo al suo personaggio. Ennesima prova di eclettismo, Tilda si cala nei panni di questa figura occhialuta per un dramma non privo di umorismo nel quale il machismo si fonde alle armi della sessualità femminile in un villain che sfida nuovamente le classificazioni di identità di genere.
The Zero Theorem – Tutto è vanità (2013)
Dal genio di Terry Gilliam (Brazil, Paura e delirio a Las Vegas), questa pellicola distopica regala alla Swinton una piccola parte nella quale il suo trasformismo acquista nuova vitalità: la dott. Shrink-ROM è una terapista per la quale Tilda si nasconde sotto una parrucca castana e un paio di occhiali dalla montatura nera. ll suo personaggio è in realtà tutt’altro che neutro, essendo una sorta di intelligenza artificiale programmata per valutare la salute psichiatrica del suo paziente, nonché neuroscienziato protagonista, interpretato da Christoph Waltz. In questo ruolo la Swinton mette a segno un accento fortemente scozzese che contribuisce a enfatizzare l’extravaganza del suo personaggio.
Grand Budapest Hotel (2014)
Un’altra piccola parte in termini di minuti sullo schermo, ma l’ennesima trasformazione ipnotica dell’attrice inglese, qui alle prese con un personaggio molto più vecchio, quello di Madame Céline Villeneuve Desgoffe und Taxis, una dama dell’alta società la cui morte scatenerà gli eventi in atto nella commedia di Wes Anderson (I Tenenbaum, L’isola dei cani), autore personalissimo di opere ormai fortemente iconiche. Sepolta sotto chili di cipria e ore di trucco per realizzarne l’invecchiamento (il film vincerà nella categoria “miglior trucco” agli Oscar di quell’anno), l’aristocratica dalla pettinatura vaporosa e dalle evidenti cataratte vivifica l’immaginario strampalato di Anderson e arricchisce il campionario di veri e propri travestimenti operati dalla Swinton. Non era la prima volta con il regista statunitense: avevano infatti già lavorato insieme in Moonrise Kingdom – Una fuga d’amore (2012).
Un disastro di ragazza (2015)
Un’artista pronta all’eccesso non si ferma davanti alla richiesta di un ruolo per il quale un volto tutto sommato “normale” sarebbe andato bene. In questa commedia spassosa di Judd Apatow (40 anni vergine, Molto incinta) sceneggiata dalla comica Amy Schumer (Fottute!, Come ti divento bella!), Tilda interpreta una donna-stereotipo, abbronzata, capelli con meches bionde, caratterizzata da una superficialità di approccio tutto improntato al glamour e alla misoginia di fondo. La cosa interessante è che questo ruolo iper-realistico ha veramente poco a che fare con l’attrice: l’esempio di femminilità americana più ordinaria, almeno per gli schermi, e l’idea di donna più distante da quello che Tilda è, presumibilmente, nella vita di tutti i giorni.
Doctor Strange (2016)
La decisione di entrare nel cast di una pellicola dell’universo Marvel non è stata esattamente accolta bene dai fan del fumetto di riferimento, perché il ruolo di Antico era, ironicamente, quello di un uomo asiatico/tibetano (senza contare le accuse di whitewashing). Sicuramente l’idea di scritturare la Swinton rinforza il concetto di identità nella diversità, oltre che servire su un piatto d’argento all’attrice l’occasione per un nuovo, stimolante mutamento d’immagine sullo schermo. Antico è un individuo androgino, dall’aspetto neutro, dotato di un allure calma, un capo calvo e un volto indecifrabile, destinato ad essere il mentore di Strange, uno dei personaggi più affascinanti e mistici delle narrazioni Marvel.
Okja (2017)
Bong Joon-ho sceglie nuovamente Tilda Swinton come mattatrice istrionica per il doppio ruolo di Lucy/Nancy Mirando, sorelle gemelle entrambe animate da sentimenti non propriamente nobili. Lucy Mirando è l’eccentrica CEO della Miranda Corporation che è intenzionata a sfruttare Okja, il supermaiale cresciuto nelle campagne coreane insieme alla sua padroncina Mija, ragazza che si troverà coinvolta in un’avventura più grande di lei nella quale dovrà difendere il suo migliore amico animale. Siamo ancora in un futuro dispotico, e Lucy Mirando, parrucca bionda e apparecchio ai denti, annuncia tramite un discorso carismatico di aver scoperto una nuova razza di maiali. Uno di questi supermaiali verrà ritrovato, dieci anni dopo, e darà il via alla vicenda.
Suspiria (2018)
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Tilda che supera sé stessa nel remake del classico di Dario Argento del 1977 interpretando madame Blanc, misteriosa e dominatrice insegnante della compagnia di ballo berlinese Markos Tanz Company che instaura con l’allieva Susie Bannion (Dakota Johnson) un legame fortissimo dai risvolti inquietanti. L’apice del trasformismo viene toccato, però, nel doppio ruolo che l’amico Guadagnino le cuce addosso: quello dello psichiatra junghiano Josef Klemperer che si inserisce nella vicenda in maniera assolutamente imprevedibile. Tilda è praticamente irriconoscibile, tanto da aver dichiarato più volte, non così scherzosamente, di non conoscere questo Klemperer che si dice lei abbia interpretato.