Top Gun: Maverick – un successo basato sull’effetto nostalgia?
Perché il nuovo film con Tom Cruise ha scatenato il cosiddetto “effetto nostalgia”? Facciamo insieme un piccolo viaggio tra i franchise anni Ottanta per scoprirlo.
Nel 1986 Top Gun lanciava definitivamente come superstar internazionale questo giovane attore di Syracuse, New York, già forgiato a Hollywood principalmente in tre successi: il drammatico I ragazzi della 56ª strada di Francis Ford Coppola, la commedia adolescenziale Risky Business – Fuori i vecchi… i figli ballano di Paul Brickman, entrambi del 1983, e il film fantastico (negli anni ottanta i fantasy si definivano così) Legend diretto da Ridley Scott, anno 1985. Il pilota dell’aeronautica americana Pete “Maverick” Mitchell indossava un giubbotto di pelle con le toppe che avrebbe fatto epoca. Sul naso i Ray-Ban a goccia con montatura dorata (modello immortale, praticamente immutato), blue-jeans, t-shirt bianca e capelli al vento, senza ombra di casco ovviamente, correva in sella a una Kawasaki GPZ 900 R del 1984 e in produzione fino al 1986, tra le prime della linea Ninja. L’immagine iconica di Tom Cruise in questa versione rimase scolpita nella storia del cinema e si scolorì lentamente sui poster appesi per anni nelle camerette di ragazzi e ragazze di mezzo Occidente.
Tom Cruise e l’effetto nostalgia
Oggi Cruise ha quasi 60 anni (li compie il 3 luglio 2022), alle spalle una carriera dorata ma soprattutto, a 36 anni dal primo film su Mav è rimasto praticamente lo stesso degli anni ottanta. Solo un po’ più saggio, sicuramente ancora più spericolato ed esperto quanto uno stuntman sul set. Si è parlato moltissimo dell’effetto nostalgia scatenato da questo tardivo sequel Top Gun: Maverick.
Ma cos’è l’effetto nostalgia? Si definisce così nel marketing quel sentimento che riemerge alla vista o alla percezione di oggetti ed elementi appartenenti al passato. Potrebbe essere una canzone, un videogame di quando eravamo piccoli, un giocattolo, un indumento, un’automobile, una marca di biscotti o anche una pettinatura. A cosa servono questi memorabilia? Sono esche per vendere nuovi prodotti, preferibilmente aggiornamenti del prodotto, del brand o della situazione nostalgica, la quale a sua volta, come il nostro film, riunisce grappoli di prodotti. Legare i brand a un film che richiami quel lontano e caro periodo come anche il suo capitolo precedente risulta più coinvolgente per lo spettatore dal punto di vista affettivo, quindi anche commerciale, e conseguentemente più fruttuoso di un più semplice product placement. Guarda caso, nel nuovo film diretto da Joseph Kosinski, Cruise durante la prima sequenza di volo a rincorrere un jet in decollo spolvera la sua vecchia Kawasaki dell’84, ma quando viene richiamato alla base per addestrare i nuovi Top Gun per una missione impossibile o quasi, si presenta cavalcando una Ninja H2 nuova fiammante del 2022. Il product placement è servito, la casa motociclistica nipponica ringrazia e serra le fila commerciali per la prevista impennata di vendite spinta dal film. Ma il lavoro che ha marchiato l’immaginario collettivo per questo risultato proviene anche dallo scorso millennio.
Top Gun: Maverick, il sequel più lontano degli anni ottanta
Quindi questa nostalgia sarebbe indotta o per 36 anni abbiamo realmente sognato un sequel per Top Gun? Torniamo indietro nel tempo immaginando per un momento un Top Gun 2 girato e ambientato negli anni novanta, per esempio. Ogni linea estetica e narrativa, ogni pezzo e genere musicale, anche ogni stile di ripresa e pettinatura avrebbe negato completamente tutto ciò che abbiamo visto e amato in Top Gun. Forse sarebbe stato un flop epocale, un’insidiosa manovra per la carriera di Cruise. In verità non lo sapremo mai con certezza, ma un piccolo dato ce lo offre il successo di Hot Shots e Hot Shots 2, parodie demenziali con Charlie Sheen e Valeria Golino che proprio nel 1991 e poi nel ’93 ne mettevano alla berlina tutta l’aura iconica arrivata intatta fino ad oggi. Erano tempi forse più onesti e lineari, dove in maniera anche più flemmatica rispetto agli attuali ritmi da binge watching, l’industria cinematografica offriva e si concedeva un range temporale di qualche anno per costruire nuovi miti, imporli al grande pubblico e, una volta conquistato quell’amore che stampiglia icone nell’immaginario, si permetteva pure di lasciare spazio alla parodia in sala, utilissima indirettamente a rendere ancora più saldo il grande continuum sentimentale tra spettatore e film, seguendo però un altro grande mass media: la televisione. Se al cinema usciva Hot Shots che prendeva in giro il mondo dell’aeronautica (ma in verità citava allegramente anche tanti altri successi anni ottanta), le tivù davano ancora in prima serata Top Gun, con messe in onda ovviamente cariche di spot. Insomma, un’autoalimentazione economica dell’industria basata sulla vendita dei diritti sui passaggi televisivi, condita generosamente dalle agenzie inserzioniste e consumata voracemente dal pubblico in sala e da quello sul divano di casa.
Top Gun e le saghe cinematografiche anni ottanta
Oggi li chiamiamo abbastanza naturalmente “franchise”, ma prima erano “saghe cinematografiche”. Molti grandi film di successo degli anni ’80 hanno continuato a vivere rinverdendo, a volte bene e altre meno, le emozioni del pubblico proprio attraverso le saghe. Sterminata sarebbe la lista degli esempi, sia tra i prodotti meanstream che tra quelli a più bassi budget destinati principalmente al mercato dell’home video internazionale, ma la cosa più interessante è la varietà dei generi. Pensiamo quindi ai titoli più popolari come i Nightmare, i Venerdì 13 e La Casa per l’horror; a Rambo, Indiana Jones e Karate Kid per i film d’azione e avventura; ma anche a franchise nati a fine anni ’70 e sviluppati successivamente come Il Padrino, Lo Squalo, Guerre Stellari (oggi solo Star Wars) e Halloween. Alcune storie sono diventate addirittura nuove saghe nate dai reboot (i rifacimenti, sempre per una terminologia anni ‘80). Altre si sono addirittura snodate in serie tv da piattaforma online. Top Gun invece è rimasto fedele alla linea della sua unicità per ben 36 anni. Per quale motivo?
Intanto dobbiamo considerare che tra il primo e il secondo Top Gun, Tom Cruise è apparso come attore in 35 film. E in veste di produttore esecutivo ha lavorato in ben 16 titoli, se escludiamo proprio Top Gun: Maverick e il prossimo Mission: Impossible – Dead Reckoning – Parte uno (girato e ambientato anche a Venezia). In quasi tutti è il protagonista assoluto. Solo per alcuni recita all’interno di una coralità d’attori, come Magnolia; e raramente in altri fa il personaggio non protagonista, è il caso di Tropic Thunder. Quasi tutti i suoi film sono blockbuster di successo, mosche bianche i flop come La Mummia; e neanche in franchise mancano, basti pensare ai Mission: Impossible e ai Jack Reacher. Oltre un film all’anno di media, l’impegno fisico di girare tante scene d’azione in prima persona, forse l’impegno parallelo anche di Val Kilmer in questi decenni, oltre alla maledetta malattia, e probabilmente mai nessun buon progetto per tornare a volare alto con Top Gun. Almeno fino ad oggi.
Top Gun e la nostalgia impossibile per Tom Cruise
Per questa ricca filmografia, per 3 candidature agli Oscar come attore protagonista, i 3 Golden Globe vinti – Nato il 4 luglio, Jerry Maguire e Magnolia – ma pure per aver lavorato al fianco di registi come Steven Spielberg, Stanley Kubrick, Brian De Palma, Martin Scorsese, Oliver Stone, Robert Redford, Sidney Pollack, Ron Howard, Ridley e Tony Scott per film che hanno definito la New Hollywood tra gli anni ’80 e i giorni nostri, possiamo affermare soddisfatti che di nostalgia Cruise non è mai riuscito a darcene (e neanche noia) perché sempre presente con novità in sala, in tivù, home video e, perché no, anche nel gossip, con tre matrimoni e relativi divorzi con altrettante star di Hollywood. Quindi no, il pubblico non aveva fame di un nuovo Top Gun, tant’è che per i millenial quella storia era pure semisconosciuta. Ma questo non è bastato a frenare uno dei più stupefacenti sequel degli ultimi anni e un trionfatore dei box office, ottenendo finora 600 milioni di dollari incassati nel mondo, con un budget di 170 milioni.