Tutto il mio folle amore: la storia vera del film di Gabriele Salvatores
Con Tutto il mio folle amore, Salvatores scrive una favola di timori e di amore, una storia vera di porte chiuse che improvvisamente si spalancano come le braccia di Vincent.
Presentato fuori concorso alla Mostra Cinematografica di Venezia 2019, Tutto il mio folle amore di Gabriele Salvatores è liberamente ispirato al romanzo Se ti abbraccio non aver paura di Fulvio Ervas, opera che racconta la storia vera di un padre e di un figlio autistico, Franco e Andrea Antonello, che partono per un viaggio senza meta in moto. Un titolo che sembra strano, incomprensibile quasi ma per un ragazzo autistico il contatto non è una cosa “facile” da accettare: l’abbraccio, unione di corpi che si fondono in un tutt’uno, cerchio formato da due metà. Un padre chiede ad un figlio di non temere, di non aver paura di una delle massime espressioni dell’amore. Gabriele Salvatores prende il libro di Ervas e lo porta al cinema raccontando la storia di Vincent (Giulio Pranno), figlio di Elena (Valeria Golino) e di Willy (Claudio Santamaria), il padre naturale del ragazzo, che ha abbandonato la donna per il timore di diventare padre. Cambia il titolo, sposta la storia a Trieste e modifica qualche elemento per renderla più cinematografica.
Tutto il mio folle amore: una favola che racconta un viaggio
Salvatores scrive una favola di timori e di amore, di porte chiuse che improvvisamente si spalancano come le braccia di Vincent, di un viaggio per adulti e ragazzi dopo il quale nessuno sarà come prima.
Il film di Salvatores prende le parole di Ervas e le plasma, forse troppo a tratti, ricostruendo la storia di Franco e Andrea: i due protagonisti di celluloide sono Willy, un cantante squattrinato, soprannominato “il Modugno della Dalmazia”, che decide improvvisamente di conoscere quel ragazzino lasciato nel grembo della sua compagna e Vincent, dolce e anche ispido come quegli animali feroci quando non conosco chi hanno di fronte. Padre e figlio si incontrano, si vedono, si riconoscono ed è amore a prima vista; è questo il folle amore del titolo ed è anche questo il di più del film di Salvatores che aggiunge cose dove ce ne erano già abbastanza. Vincent si nasconde nel furgone del padre e parte con lui, lasciandosi dietro una madre spaventata e distrutta e un’altra figura paterna che lo ha cresciuto fino a quel momento. Si apre così un viaggio on the road che poi ha il valore della scoperta che ha avuto per Andrea Antonello il viaggio con il padre in America. Alla scoperta di sé, del mondo, del corpo e del sesso. La tournée nei Balcani fatta nel film acquista spesso note fin troppo avventurose e addirittura pericolose che stridono con le scene delicate, malinconiche e struggenti tra Vincent e Willy.
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Vincent e Andrea, diversi ma simili
Nel libro e nella realtà il ragazzo è Andrea e ha 18 anni, non è friulano ma veneto. Suo padre ha sempre vissuto con lui, ha tentato di tutto per farlo stare meglio. Ed è proprio per aiutarlo che Franco decide di partire per un lungo viaggio in moto con Andrea, in giro per le Americhe, attraversando confini, scoprendo strade e foreste pluviali. Nel film i due sono sconosciuti in tutti i sensi ma Vincent sa, riconosce quel padre e si abbandona totalmente a lui, facendosi insegnare le cose della vita, i gesti, le mani e gli abbracci. A quel punto imparando questo linguaggio Vincent non ha più paura, abbassa le difese e comunica. Bacia la pancia del padre per fargli capire quanto gli vuole bene, scrive sul computer perché lì le parole escono fluide senza blocchi, corre senza catene perché ormai lui e suo padre si fidano. Anche Vincent insegna al padre il suo modo di vedere la vita, fatto di regole fisse, di ripetizioni, di liste di cose da fare.
C’è nei due padri lo stesso sguardo innamorato e felice di avere accanto un figlio speciale che è diventato cittadino del mondo, che non fugge per lo spavento di ciò che accade ma per la gioia dei suoi passi su terre inesplorate. C’è in Willy e in Franco la stessa aura di padre sui generis, di genitore rock che si apre al figlio senza imporre troppe regole ma essendoci, partecipando alla vita l’uno di Vincent, l’altro di Andrea, dimostrando che nell’educazione dei figli l’importante è mettersi sulla loro stessa lunghezza d’onda.
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Tutto il mio folle amore: un viaggio che è cambiamento
Certo cambia l’ambientazione, l’età del protagonista e soprattutto il padre c’è sempre stato nella vita della sua creatura, ma c’è qualcosa che tiene insieme le due storie: il rapporto speciale tra padre e figlio e il viaggio come metodo per crescere e superare anche qualche blocco sia da parte del genitore che da quella del figlio. Quella strada è metafora di cambiamento, mezzo fantastico di comunicazione e conoscenza, per scoprire e scoprirsi. Interessante è anche la parentesi sul sesso, questione complicata ahimè in molte di queste storie come se amare e amarsi non fosse qualcosa di fondamentale nella vita di questi ragazzi e ragazze. Vincent desidera, si innamora e ci viene raccontato lungo tutto il film – proprio un bacio dato ad una bambina che partecipava ad una gara di ballo durante un concerto del padre gli causerà qualche livido -, solo alla fine lui sarà pronto a ricevere il tocco dell’altro proprio perché ha dovuto fare un percorso.
Tutto il mio folle amore: una storia che racconto l’autismo senza troppi tabù
Tutto il mio folle amore narra una storia importante e urgente, attraverso un ragazzo speciale, Vincent, che grazie al viaggio con il padre fa un passo avanti nella sua maturazione. Film come questo sono necessari perché raccontano l’autismo senza troppi bavagli ma in modo diretto, senza cancellare le problematiche che molti genitori e i figli stessi si trovano a dover vivere ogni giorno.
Quel ragazzo che da solo, con le cuffie, attendeva, fuori da scuola, l’arrivo dei genitori si è aperto al mondo, dovrà ancora mettersi alla prova, alle volte cadrà ma il viaggio con il padre, come quello di Andrea e Franco, rimarrà tappa fondamentale nella sua vita, utile a compiere un ulteriore passo nella sua crescita.