Un giorno di ordinaria follia: la spiegazione del film con Michael Douglas
Un giorno di ordinaria follia, la parabola discendente di un uomo già condannato da una società arrivista e in continuo cambiamento, stritolata dal razzismo e dalle diseguaglianze sociali.
William “Bill” Foster è un uomo ridotto a un passo dal collasso emotivo, lasciato dalla moglie perché ritenuto violento verso di lei e la famiglia, licenziato perché il suo lavoro in un’azienda che produce missili per il Governo Americano è ritenuto obsoleto viste le nuove tecnologie agli armamenti; limitato dal poter vedere la sua famiglia da un’ordinanza restrittiva che gli impedisce di avvicinarsi alla figlia Adele, è costretto a vivere dalla madre ignara di tutto questo.
Una mattina, a bordo della sua auto (targata D-FENS), bloccato nel caos delle strade di Los Angeles e attanagliato dal caldo torrido, qualcosa scatta nella sua testa; Bill abbandona la sua auto nel bel mezzo dell’ingorgo, prende la valigetta e si incammina in direzione opposta incurante della furia degli automobilisti tra cui il Sergente Martin Prendergast, al suo ultimo giorno di lavoro prima della pensione – sarà l’inizio di una pessima giornata. Questa la trama de Un Giorno di Ordinaria Follia (1993), diretto da Joel Schumacher (Ragazzi Perduti, Il Cliente, 8mm – Delitto a Luci Rosse), con Michael Douglas, Robert Duvall e Barbara Hershey.
Un giorno di ordinaria follia: Michael Douglas è il perfetto “Uomo Bianco Arrabbiato”
Il titolo originale della pellicola che ha consacrato al grande pubblico Joel Schumacher, nonché uno degli esempi più interessanti del cinema americano degli anni novanta, è “Falling Down“, un riferimento alla celebre filastrocca per bambini “London Bridge is Falling Down” che parla dell’omonimo ponte che crolla e di come lentamente venga ricostruito. Non è una scelta casuale a livello narrativo, tanto da esser riproposta nei dialoghi e come motivetto musicale della palla di vetro comprata per Adele, poi distrutta.
Falling Down è anche la perfetta metafora dell’arco narrativo cucito addosso al Bill Foster di un Michael Douglas (Wall Street, Attrazione Fatale, The Game) che va a nozze nel portare in scena personaggi dalla moralità ambigua. Un cane sciolto – quello che in America chiamerebbero “Uomo Bianco Arrabbiato” – condannato da una vita infelice fatta di scelte sbagliate, e da una società arrivista e in continuo cambiamento in cui non è facile stare al passo.
Un giorno di ordinaria follia: Una lenta discesa all’inferno
A partire dalla fine del primo atto, con Bill che lascia la sua auto nell’ingorgo del traffico in un’iconica sequenza che omaggia l’incipit di 8 e Mezzo (1963) di Federico Fellini; Un giorno di ordinaria follia mette in scena una lenta e progressiva discesa all’inferno in una struttura narrativa lineare, dove il proseguo degli eventi porteranno Bill a scontrarsi – come un provetto Giobbe – contro l’indifferenza del commesso coreano che si rifiuta di cambiargli una banconota in spiccioli obbligandolo a comprare qualcosa, il razzismo della gang locali che lo minacciano con un coltello, l’egoismo degli altri e di chi rifiuta di dargli la colazione al fast-food vista “l’ora tarda”, e la diseguaglianza sociale di un uomo che ha commesso errori per tutta la vita e che arriverà a un gesto estremo per rimediarvi.
Bill però reagisce, non si lascia mettere i piedi in testa, e al crescendo rossiniano del conflitto, cresce esponenzialmente la reazione del protagonista in un secondo atto che prima delle telefonata alla figlia Adele per il suo compleanno, vede Bill compromettere irrimediabilmente la sua vita ormai al capolinea. Al commesso coreano sfascia mezzo negozio pur pagando la sua lattina, i membri della gang locale vengono pestati, e quando rifiutano di dargli la sua legittima colazione, minaccia gli inservienti con una mitraglietta. Bill è si un uomo già condannato, ma non è un uomo che si abbatte facilmente.
Un giorno di ordinaria follia: Una fine già annunciata, ma lieta e romantica
Nel tentativo di riconciliarsi con l’ex-moglie Beth (Barbara Hershey), Bill si dirige verso un pontile – rievocando così il sotto testo della filastrocca per bambini sopracitata – in un confronto con l’ex-moglie, la figlia, e il sopravvenuto Sergente Prendergast (Robert Duvall), archetipo dell’agente vicino alla pensione, simbolo di valori, ideali, e una stabilità che Bill non ha mai avuto.
Prendergast cerca di far tornare Bill alla ragione per arrestarlo, Beth e Adele nel frattempo, terrorizzate, fuggono dal pontile gettando in mare la pistola che Bill le aveva consegnato per dimostrarle che non le avrebbe fatto del male. Il finale – in tal senso definibile come “lieto” e “romantico” – deriva dalla scelta di Bill di far credere a Pendergast di essere ancora armato, quando in realtà in tasca aveva soltanto la pistola ad acqua della bambina. Così facendo, e venendo freddato dal poliziotto, Bill consente alla figlia Adele di poter un giorno riscuotere il premio dell’assicurazione sulla vita del padre, garantendole una vita agiata e un futuro magari non radioso, ma con qualche sicurezza economica in più.