Un matrimonio da favola: il finale del film di Carlo Vanzina
Un matrimonio da favola di un vecchio amico è l'occasione per ritrovare persone lontane e tornare a giocare insieme, nonostante tutto...
In Un matrimonio da favola Daniele (Ricky Memphis) e Barbara (Andrea Osvart) convoleranno a nozze a breve e lo sposo decide di invitare vecchi amici che non sente da tempo, per ritrovarsi e stare insieme, ma anche per avere intorno a sé un po’ di facce amiche visto che tutti gli altri invitati sono persone molto lontane da lui. Barbara è infatti la figlia del proprietario della banca in cui lavora Daniele e il futuro suocero non perde occasione per sottolineare l’inadeguatezza dell’uomo nei confronti della figlia, facendo pressioni riguardo ad aspettative personali e lavorative che non lasciano scampo al genero.
In questa spirale di sofferenza e preoccupazioni, Daniele cerca negli occhi degli amici un conforto, ma insieme all’antico divertimento trova anche antichi attriti e nuove incomprensioni. In Un matrimonio da favola Carlo Vanzina alla regia, insieme al fratello anche sceneggiatore, perpetra i suoi usuali meccanismi narrativi, arricchendo la trama con un fitto susseguirsi di gag e situazioni paradossali, in cui le iperboliche evoluzioni dei rapporti tra i protagonisti assumono forme a dir poco inverosimili.
Un matrimonio da favola si conclude con un finale sbrigativo, ma immediatamente comprensibile
In questo contesto arriva il finale, che si inserisce nella narrazione del film come un altro tassello di un rapporto impossibile. Da un lato la notte brava dello sposo e dei suoi amici si occupa del risvolto da giullari, pronti a intrattenere il pubblico, dall’altro lato la fuga d’amore assume forme surreali, che si rivelano nella loro completezza nel finale di Un matrimonio da favola, in cui la sbrigativa risoluzione del matrimonio con buona accettazione da parte di tutti (persino degli inflessibili genitori di lei) apre le danze alla rievocazione dei ricordi di infanzia. Il corto circuito è presto creato, visto che la stessa scena di gioco infantile appare all’inizio del film. La scena dei ragazzini che prendono a calci un pallone divertendosi, con una spensieratezza che non lascia spazio a nessun tipo di preoccupazione apre e chiude la narrazione, regalando al pubblico una potente immagine dalla lettura immediata e che non lascia spazio a fraintendimenti.
D’altro canto, però, questa semplice trovata dalla sicura riuscita emotiva non risolve la questione che per tutto il film ci è stata proposta come cardine della trama, lasciando quanto meno perplessi gli spettatori che, di fatto, vengono invitati con grazia a dimenticarsi di buona parte del racconto per riconciliarsi con il finale. Si potrebbe pensare alla composizione di un invito a ritrovare se stessi nell’unione rinnovata con la parte più genuina di noi e, di riflesso, con le vecchie conoscenze che con tutta probabilità hanno dato forma agli adulti che siamo diventati. L’immagine creata è senza dubbio molto forte ed efficace a livello di impatto, quasi a chiedere venia per la leggerezza con cui viene trattata una vicenda personale che ha ben poco a che fare con scelte realistiche. Daniele diventa l’emblema dell’uomo sottomesso ai doveri sociali e alle aspettative di una gestione familiare anaffettiva, un uomo che trova giustizia in quei due calci al pallone che liberano tutti gli astanti all’improvviso (e quasi senza motivo), in modo da svelare finalmente la finzione sottesa dietro all’evento. Insieme a essa, ça va sans dire, si pretende di liberare il fanciullino che ci portiamo dentro, denunciando la maschera quotidianamente costruita e da cui è di fatto impossibile liberarsi.
Un matrimonio da favola non ha certo la pretesa di diventare un trattato filosofico, ma con il finale che chiede di dimenticarsi di ogni possibile richiesta di coerenza diegetica, trova un modo risolutivo e immediato per concludere la favola di Daniele e Barbara.