Chi era Vittorio Emanuele di Savoia? La serie Netflix da vedere per conoscere il mancato re d’Italia
Si terranno sabato 10 febbraio, alle 15, nel duomo di Torino, le esequie di Vittorio Emanuele di Savoia, figlio dell’ultimo re d’Italia. Una docuserie Netflix, di Beatrice Borromeo, ricostruisce il caso giudiziario in cui fu imputato dopo la baruffa con Nicky Pende che costò la vita a Dirk Hamer.
Il controverso ‘principe’ – useremo le virgolette solo una prima volta, ma valgano anche per tutte le altre – Vittorio Emanuele di Savoia, nato a Napoli il 12 febbraio 1937 e mancato a Ginevra il 3 febbraio 2024, è stato l’unico figlio maschio dell’ultimo monarca italiano, Umberto II, per un mese principe ereditario del Regno d’Italia. La sua storia è in parte raccontata da una docuserie disponibile agli abbonati Netflix, dal titolo Il principe, che merita di essere vista o rivista in questi giorni: benché si concentri soprattutto sul caso giudiziario che ha coinvolto Vittorio Emanuele a seguito della tragica vicenda avvenuta sull’isola di Cavallo tra 17 e 18 agosto 1978, è utile anche a farci un’idea di che tipo fosse il principe Savoia appena scomparso, tra sentimento anti-italico, arroganza da padrone, desiderio di sentirsi potente e la faccia tosta, mascherata da levità mondana, di tentare di sciacquar via nello “champagnino” la mancata assunzione delle proprie colpe.
Vittorio Emanuele: le ‘carte’ tirate a vuoto dalla madre, l’antimussoliniana regina di maggio
La madre di Vittorio Emanuele di Savoia era Maria Josè del Belgio, destinata fin da piccola a diventare la moglie di Umberto II, figlio di Vittorio Emanuele III ed Elena del Montenegro. Fu però regina consorte per un mese soltanto: regina di maggio, così venne definita, perché regnò tra il maggio e il giugno del 1946, in attesa che il referendum cancellasse per sempre la monarchia in favore della repubblica. Sebbene educata dalla tenera età ad assolvere il suo compito e in grado di parlare perfettamente in italiano, Maria Josè rifiutò sempre di italianizzare il suo nome in Maria Giuseppina.
Legata al suo unico figlio maschio, il secondo di quattro, da grande affetto, come lui stesso confessa nella docuserie Netflix Il principe, non riuscì mai a dimostrarsi espansiva, consapevole di essere stata programmata per il glaciale rispetto dell’etichetta: “Provo enorme affetto per te, ma non sono capace di dimostrartelo” diceva al figlio, il quale, da bambino, soffrì molto per la freddezza dei genitori nei suoi confronti. Anche con il marito non fu facile per Maria Josè stabilire una sintonia: il matrimonio venne consumato tardi, mesi dopo la sua celebrazione, e rimase segnato dalla distanza originaria tra i due sposi. Maria Josè, nel 1938, quando vennero promulgate in Italia le leggi razziali – sul tema, anche il film L’ombra del giorno, attualmente in top 10 Netflix, o la recente miniserie Rai La lunga notte –, progettò di defenestrare Mussolini attraverso un colpo di Stato, ma il piano non trovò poi sbocchi concreti. Vittorio Emanuele racconta a Beatrice Borromeo, autrice della docuserie Netflix, che la madre amava le carte e che, un giorno, gliene lanciò una profetizzandogli un futuro da re. Futuro profetizzato che, come sappiamo, non divenne mai realtà. Esattamente come il tradimento a Mussolini da lei orchestrato, tradimento che avrebbe forse cambiato il destino dell’Italia e, insieme, di Casa Savoia.
Vittorio Emanuele: con la sua carabina abusiva uccise un ragazzo nel 1978
La costituzione repubblicana, entrata in vigore il primo gennaio del 1948, stabilì che l’Italia restasse interdetta a ex sovrani, consorti di ex sovrani e discendenti maschi di casa Savoia. Vittorio Emanuele si esiliò in Svizzera, dove, anni più tardi, incontrò Marina Doria, campionessa di sci nautico di grande fascino. “L’unica cosa che mi è riuscita, nella vita, è sposare la persona giusta” confida nel documentario di cui è protagonista. Il matrimonio, celebrato a Teheran davanti a pochissimi invitati il 7 ottobre del 1971, non fu mai accettato dall’ex re Umberto II, che si aspettava per il suo erede una più blasonata consorte. La moglie, donna risoluta e discreta, gli fu accanto quando si rese responsabile della morte di Dirk Hamer, un giovane tedesco che aveva accompagnato la sorella maggiore Birgit in una gita all’isola di Cavallo, località sita in acque francesi in cui Vittorio Emanuele aveva una villa e in cui era solito trascorrere l’estate con Marina e loro figlio Emanuele Filiberto, nato nel giugno del 1972.
Dalla carabina in suo possesso, arma non denunciata alle autorità, nella notte tra il 17 e il 18 agosto 1978, era uscito infatti il colpo che ha reciso l’arteria femorale del ragazzo, dando inizio all’agonia che lo avrebbe portato alla morte il 7 dicembre successivo. Il principe, alticcio e furibondo, stava litigando con il chirurgo Nicky Pende, al tempo conosciuto soprattutto per essere stato il marito di Stefania Sandrelli (dal 1972 al 1976: dalla breve unione nacque un figlio, Vito), per un gommone ‘sabaudo’ di cui la combriccola di Pende si era appropriata, quando sparò due colpi, di cui uno appunto fatale per il giovane Hamer. Quest’ultimo era figlio di medici: poco dopo la sua morte, il padre si ammalò di cancro ai testicoli, circostanza che lo spinse a teorizzare la sindrome di Dirk Hamer, secondo la quale una neoplasia maligna è causata da una sofferenza traumatica e può essere risolta unicamente sciogliendo il nodo psicologico sottostante all’emersione sintomatica della patologia. Una tesi che costò, a lui, la radiazione dall’albo; a tanti pazienti che seguirono il suo metodo di cura, la vita.
Vittorio Emanuele: la beffa alla giustizia francese e la confessione tardiva
All’origine del gesto omicida, di cui, pur involontariamente, Vittorio Emanuele fu responsabile dovette esserci un poco elaborato (ri)sentimento antitalico. I testimoni affermano che, quella notte, prima di avvicinarsi alla barca su cui si trovava Pende e, dietro di lui, accucciato su una brandina, lo sfortunato Hamer, Vittorio Emanuele avesse sbraitato contro gli “italiani di m…” che, il pomeriggio, avevano ‘invaso’ il suo spazio, entrando nel ristorante in cui anche lui si trovava con la sua famiglia. Dell’isola di Cavallo, il principe si sentiva padrone. Nei confronti di quegli italiani belli e festosi, tra cui Birgit e Dirk Hamer, tedeschi di stanza a Roma, Nicky Pende e alti giovani ‘bene’ di ambienti altolocati romani, dovette avvertire un certo astio anche perché ex compatrioti colpevoli ai suoi occhi, in quanto italiani o comunque legati all’Italia, di non averlo voluto re, condannandolo a una marginalità che, per tutta la vita, ha cercato di compensare. Compensazione cercata, ad esempio, coltivando amicizie importanti e militando nella massoneria: nel 1981, il suo nome risultava infatti nella lista degli iscritti alla P2.
Per la morte del giovane Hamer, Vittorio Emanuele non pagò mai il suo conto con la giustizia. Grazie alla determinazione della sorella della vittima, fu portato, dopo una lunga sequela di insabbiamenti e di anomalie d’istruttoria, alla Corte d’Assise di Parigi, dove, però, nel novembre del 1991, venne prosciolto dall’accusa di omicidio preterintenzionale e condannato soltanto per il porto d’armi abusivo. La svolta arrivò ugualmente, nel 2006, quando, in carcere a Potenza, dov’era detenuto con diversi capi d’accusa dopo essere finito nell’inchiesta denominata dai media Vallettopoli, confidò ai compagni di cella di essere stato allora scagionato a Parigi solo grazie alla bravura dei suoi avvocati. Una confessione che chiuse almeno moralmente la battaglia per la verità alla quale Birgit Hamer ha consacrato gran parte della sua vita e che, riascoltata ora, pare quasi una vanteria da spaccone. Il mancato re degli Italiani, nonostante l’esilio, non sembra aver mai rinunciato a comportarsi da reuccio, spesso sostenuto nella sua farsa da una corte di fidi realisti, di amici e ammiratori talvolta anche molto potenti. Il suo rapporto turbolento con l’assunzione di responsabilità ha, però, in fondo, condannato anche lui a una vita sospesa, in cui il futuro da re predettogli dalla madre, e poi rimasto invverato, non ha trovato né sublimazione né esorcismo né alternativa percorribile.