Wonder: la storia vera del film e la sindrome di Treacher Collins
La trama di Wonder è ispirata a un episodio realmente accaduto e a una sindrome, quella di Treacher Collins, poco conosciuta.
“Non giudicare un libro dalla copertina. Non giudicare una persona dalla faccia.”. Questa è la frase che compare sulla copertina italiana dell’omonimo romanzo di R. J. Palacio da cui è tratto il film Wonder, diretto da Stephen Chbosky e con protagonisti Jacob Tremblay e Julia Roberts.
Sin dall’inizio del film, emerge in maniera disarmante la lezione che sia il libro che la sua trasposizione su grande schermo ci vogliono impartire, ovvero di imparare ad essere più aperti verso le diversità. Troppo spesso, infatti, ci si lascia guidare dalle apparenze, dimenticandoci che ciò che realmente conta è solamente il contenuto o, nel caso di un individuo, la sua personalità, che lo rende unico nel suo genere. Wonder mostra con gentilezza ma, allo stesso tempo, con fermezza che cosa significa essere “diversi”, le reazioni che puntualmente si suscitano negli estranei e come superare le avversità generate dall’avere un aspetto particolare.
Lo sguardo viene periodicamente cambiato per farci conoscere i vari retroscena e i punti di vista dei diversi personaggi in gioco. Si parte con il protagonista August Pullman, soprannominato Auggie, un bambino di 10 anni con una malformazione craniofacciale che, dopo aver ricevuto un’istruzione casalinga, dovrà cominciare ad andare a scuola come i suoi coetanei, per poi far proseguire la narrazione con la versione dei suoi amici e familiari, impegnati a loro volta nei loro differenti, ma non meno importanti, problemi.
So di non essere un bambino normale. Ho subito 27 operazioni. Mi sono servite per respirare, per vedere, per sentire senza un apparecchio, ma nessuna di loro mi ha dato un aspetto normale. – Auggie
Una storia che non viene raccontata a senso unico ma che decide di farci conoscere profondamente il dramma vissuto in prima persona da Auggie, inizialmente solo a combattere in una società che gli è avversa, per poi sviscerare anche le incertezze e le scelte sbagliate compiute da coloro che lo circondano, in un diorama intenso di emozioni e di rivelazioni.
È proprio questo punto di vista intercambiabile che rappresenta la vera mossa vincente del racconto, permettendoci di vivere a tutto tondo temi come il bullismo, l’intolleranza verso chi è diverso, la difficoltà nell’accettarsi per ciò che si è realmente e tanti altre problematiche che sono valide a tutte le età, rendendo la storia adatta a grandi e piccoli. Un film, come il libro, che si pone l’obiettivo di arrivare alla cerchia più ampia di spettatori con la speranza di risvegliare la consapevolezza che apparenze e bontà d’animo non vanno necessariamente di pari passo.
La storia di Auggie, però, è anche un ottimo punto di partenza per scoprire una sindrome ancora poco conosciuta, ma che rende difficile la vita di fin troppe persone in tutto il mondo.
Wonder: la storia che ha ispirato il romanzo e il film
Il film è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di R. J. Palacio, pubblicato nel 2012 e divenuto in poco tempo un bestseller mondiale e un vero e proprio caso letterario, capace di suscitare forti emozioni e far riflettere sia giovani che adulti.
Una storia efficace e mai scontata che non racconta la vita di una persona realmente vissuta, ma che è ispirata da un episodio accaduto alla scrittrice del romanzo. Nel corso di un’intervista con il Telegraph, l’autrice Raquel Jaramillo ha raccontato come l’idea di Wonder sia nata da un’esperienza personale di cui non va particolarmente fiera.
Un giorno, mentre si trovava al parco per prendere un gelato insieme ai figli, la donna ha incontrato una bambina affetta dalla sindrome di Treacher Collins. Alla vista della piccola, la prima reazione di Raquel è stata quella di alzarsi di scatto dalla panchina e allontanarsi il più velocemente possibile per timore che il figlio minore di tre anni, vedendola, potesse spaventarsi e iniziasse a urlare.
Ecco cosa penso: l’unico motivo per cui non sono normale è perché nessuno mi vede così. – Auggie
Questo episodio turbò fortemente la donna, che provò una grande vergogna per se stessa e per il comportamento che aveva avuto. Fu proprio l’atteggiamento insensibile che lei stessa aveva messo in atto che la spinse a scrivere un libro che potesse far riflettere le persone, affinché episodi di questo tipo non capitino mai più. Se da una parte, Raquel si era sentita fortemente a disagio in presenza di questa bambina dal viso così particolare, dall’altra parte quest’ultima non poteva che aver sofferto profondamente delle reazioni che il suo volto suscitava negli altri, persino negli adulti.
La stessa paura che, nel romanzo, prova Auggie nel mostrarsi ai nuovi compagni di scuola, intimorito che nessuno lo potrà mai accettare in un mondo troppo crudele per chi come lui è affetto da questa sindrome. Wonder ha rappresentato per Raquel Jaramillo anche un’occasione per espiare i propri peccati e lasciar andare i sensi di colpa legati all’errore che aveva commesso. In seguito, la donna ha affermato come si sia sentita colpevole e abbia provato rabbia per sé stessa, poiché aveva reagito in una maniera sconsiderata, che non era d’esempio per i suoi figli.
La scrittrice era fuggita proprio nell’occasione in cui poteva dimostrare ai propri pargoli che non c’era bisogno di aver paura della diversità ma, piuttosto, la si poteva abbracciare e comprendere. Da qui si è sviluppata quindi l’idea di Auggie, un bambino che rifugge il mondo reale attraverso un casco da astronauta per coprire i 27 interventi chirurgici che gli hanno permesso di avere un viso funzionale, sebbene non uguale a quello dei suoi coetanei.
Cos’è la sindrome di Treacher Collins
La sindrome di Treacher-Collins, dal nome del medico che la descrisse per la prima volta nel 1900, conosciuta anche come sindrome di Franceschetti-Zwahlen-Klein, è una displasia mandibolofacciale, una malattia congenita rara dello sviluppo craniofacciale. Essa si manifesta con una deformazione facciale che colpisce principalmente le ossa degli zigomi e della mandibola e le orbite degli occhi, provocando nell’individuo affetto difficoltà di respirazione e masticazione.
Alcune volte, può essere colpito anche l’orecchio esterno, con anomalie che influenzano il normale funzionamento dei condotti uditivi, arrecando così problemi all’udito della persona affetta. Dal punto di vista cerebrale e intellettivo, invece, la sindrome non ha alcuna conseguenza. In media, la malattia colpisce un neonato su 50mila e si può trasmettere dal gene difettoso di uno dei due genitori, senza correlazione in base al sesso o all’età, ma soprattutto, nella metà dei casi, la mutazione sorge spontaneamente in bambini figli di genitori sani.
Purtroppo, la sindrome non è curabile e l’unica soluzione che si può ottemperare è quella di rivolgersi alla chirurgia e plastica maxillofacciale, per correggere la deformazione dei tessuti molli e ossei del viso e delle palpebre, così da risolvere i problemi respiratori e masticatori. Per quanto riguarda, invece, l’orecchio esterno è necessario intervenire precocemente per favorire il normale sviluppo dell’udito che, altrimenti, potrebbe avere delle conseguenze anche nel parlato della persona affetta.
Si tratta quindi di una malattia dalle gravi problematiche, in cui la sofferenza è continua, prima sotto forma di interventi altamente invasivi e dolorosi e, poi, sotto le vesti di giudizio da parte degli individui che non riescono ad andare oltre la mera estetica. Proprio come Auggie, tantissimi individui cercano di nascondersi dal mondo per non imbattersi nel pregiudizio e nell’insensibilità altrui. Come Wonder ci insegna, è importante ricordare come dietro questo viso, così diverso dal nostro, c’è una persona esattamente come tutte le altre, da conoscere e amare, desiderosa di vivere serenamente un’esistenza normale, fatta di almeno una standing ovation.