Editoriale | Yorgos Lanthimos e il suo cinema fatto di animali fantastici
Dopo The Lobster e Il sacrificio del cervo sacro, il regista greco toglie gli animali dal titolo ma li lascia gravitare nei suoi contesti simbolisti.
È stato paragonato a Stanley Kubrick per la sua geometricità spietata, sia nella forma che nella sostanza delle sue storie, ma un elemento sviluppato durante la cinematografia di Yorgos Lanthimos resta la presenza degli animali, sia a livello narrativo che estetico e simbolico. Vale anche per il suo ultimo La favorita, storia irriverente della rivalità tra due dame di corte impegnate a contendersi la più stretta vicinanza alla Regina Anna, donna sola e malata di gotta. Il cinema di Lanthimos però parte da un’incubazione animalesca sintetizzabile nel potere, possesso e desiderio tra le parti in causa. Proprio questi ultimi sono i sentimenti che, come comune denominatore, muovono i personaggi dei suoi film.
Yorgos Lanthimos, gli esordi della sua carriera
Negli esordi al lungometraggio non siamo ancora di fronte a una poetica animalesca, bensì a storie di uomini e donne traditi e posseduti dai loro istinti, a uno stato di natura emotivo valorialmente disgregante nelle drammaturgie quanto spiazzante nelle messe in scena. Il suo primo lungometraggio, del 2001 e mai uscito in Italia s’intitola O kalyteros mou filos, per il mercato internazionale My best friend. Tratta della gelosia di un uomo che inizia a roderlo freneticamente dopo la scoperta dei tradimenti di lei.
Kinetta lo segue nel 2005. Racconta di un’immigrata coinvolta in un perverso gioco di ruolo per ricostruire scene di violenza sulle donne ad opera di due loschi figuri che scambiano le prestazioni per le loro scene con permessi di soggiorno falsi. Il cammino dell’autore inizia a giocare con ruoli molteplici, stratificati, metacinematografici, e gli istinti dei suoi personaggi si fanno più famelici, crudi, animaleschi. Abbiamo quadri filmici che ricordano i primi Pedro Almodovar e alcune atmosfere curiose alla Pappi Corsicato, ma vengono graffiati continuamente con movimenti di macchina spuri, disturbanti eppure sempre perfettamente inseriti in una coerenza complessiva che al regista non mancherà mai. È iniziato il cammino di un cineasta.
Yorgos Lanthimos, i primi animali di scena nei suoi film
Nel successivo Dogtooh, o nel titolo originale senz’altro più suadente Kynodontas del 2009, il regista di Atene sviluppa una dicotomia distorta tra la possessività folle di un capofamiglia e i pericoli, finti, subiti da dai suoi figli sobillati. Una famiglia, degli adolescenti segregati in casa subiscono le angherie psicologiche di questo padre, inventore di una nuova spaventosa mitologia che vede in cima ai pericoli più terribili un semplice gatto. Il primo animale di Lanthimos è un parafulmine della follia del protagonista, specchio di una possessività coercitiva strabordante e simbolo di miserie umane nella sua effettiva innocenza. Con questa storia inizia anche il sodalizio con lo sceneggiatore Efthymis Filippou, che firmerà anche i tre titoli successivi.
Yorgos Lanthimos: la natura esplode con Alps e The Lobster
The Lobster: recensione del film di Yorgos Lanthimos
Il cammino procede con Alps, che sublima la natura degli animali passando a metafore e mimetismi minerari. Qui si affibbia cime alpine come soprannomi un gruppo di persone che ingaggiate da famiglie nostalgiche recitano le parti di defunti nelle loro case. Sardonico nella sua tragicità, questo lavoro del 2011 ha vinto il Premio Osella per la Migliore sceneggiatura alla Mostra del Cinema di Venezia, per poi essere seguito da quell’esplosione di animali che si è rivelata The Lobster. Forse la più forte leva motrice per la carriera di Lanthimos. Surreali leggi sessuali e comportamentali governano un mondo alternativo al nostro. In questa tragicommedia distopica un Colin Farrell alle prese con una società che trasforma gli uomini in animali in caso di trasgressione delle bizzarre leggi vive la sua avventura di prigioniero prima e fuggiasco poi. Tra animali esotici che pascolano nei boschi inglesi, aragoste, terrier e lupi, la satira di Lanthimos sulle miserie umane trasla tutta sé stessa in un’allegoria che sa di moderno Farenheit 451, ma colpisce nella potenza dei simbolismi uomo-animale che s’innescano nel procedere del minutaggio.
La maturità di Yorgos Lanthimos, raggiunta con Il sacrificio del cervo sacro e La favorita
Nel 2017 esce Il sacrificio del cervo sacro. In questa sublimazione di un mito greco costretto ad un immenso sacrificio per dar conto al destino, il cervo è elemento metaforico puro. La creatura da sacrificare sarà un familiare del protagonista, ancora Farrell, mentre Nicole Kidman interpreta la moglie di questo chirurgo alla resa dei conti con la propria coscienza. Di una nitidezza formale cristallina, il più kubrickiano dei suoi lavori, Lanthimos muove tra sontuose inquadrature personaggi costretti a scelte impossibili che in comune tra loro hanno sul capo l’ombra deforme del predatore nei confronti della propria progenie. I dilemmi morali per i protagonisti costituiscono l’ultimo dei quattro titoli firmati in sceneggiatura da Filippou, e fruttato proprio con un Prix du scénario al Festival di Cannes dello stesso anno.
Il Sacrificio del Cervo Sacro: leggi qui la recensione del film
La nostra cavalcata animalesca attraverso i titoli di Lanthimos si conclude per adesso con La favorita. Lo stile sempre impeccabile stavolta si confronta con il film in costume ponendosi a un immaginario incrocio tra il Kubrick di Barry Lyndon, Joe Wright e un Ivory al veleno. All’interno di questo affresco d’intrighi a corte, il possesso e il potere vengono raffigurati anche attraverso le presenze simboliche di animali come le oche. Organizzando corse improbabili tra i pennuti, gli imparruccati lord settecenteschi si trasformano in scalmanati scommettitori oltre la soglia del feticismo. Invece i numerosi coniglietti, presenze docili a rallegrare con la loro tenerezza le stanze private della sovrana, rappresentano da una parte una compensazione emotiva per le numerose gravidanze perdute dalla sovrana, ma dall’altra le vittime sacrificali di un regno che mastica potere e sputa gli indifesi. Senza contare gli uccelli uccisi a colpi di fucile dalle protagoniste Rachel Weitz e Emma Stone. L’una contro l’altra armata si contendono le grazie di Olivia Colton, vincitrice del Golden Globe, sfogando la loro brama di potere. La brama costituisce quindi la linea comune dei film del greco, spesso accompagnata da animali, ma sempre animalesca e implacabile.