Zack Snyder’s Justice League e la regia “ridotta”: perché è stato scelto il formato 4:3?
Una riproposizione degli eventi di Justice League in un aspect ratio che ha fatto discutere. Eccovi spiegato il formato scelto per presentare i membri del gruppo di eroi della DC.
Zack Snyder’s Justice League è tra noi. Una lunga gestazione ha portato alla rinascita del regista e della sua visione dell’universo DC al cinema, con una maggior presa di coscienza e storie di origini di personaggi sconfitti nell’animo, ma desiderosi di combattere fianco a fianco per preservare il nostro pianeta. Una grande epopea ritratta in 6 capitoli più un epilogo, e il tutto girato in una maniera del tutto particolare: è stato scelto di rappresentare il terzo capitolo de L’uomo d’acciaio (2014) con il rapporto d’aspetto 1,33:1, più comunemente noto come 4:3. Una modalità di visione che inizialmente può far storcere il naso alla maggior parte dei fruitori, impazienti di rivedere su un aspetto di tipo panoramico i beniamini di casa DC, ma l’approccio al film risulta essere ragionato e con un fine ben preciso.
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L’era di eroi caduti che sentono il bisogno di rialzarsi nella versione estesa di Justice League
Nella versione personale di Zack Snyder, abbiamo a che fare con un gruppo di outsider, figure in cerca di una posizione di rilievo ma senza scoprire le reali potenzialità che questa posizione comporta. Vengono messi in primo piano gli archi psicologici ed emozionali di Diana Prince (Gal Gadot), Barry Allen (Ezra Miller), Victor Stone (Ray Fisher) e Arthur Curry (Jason Momoa): esseri umani nella carne, nello spirito, non ancora padroni del loro destino. Un quadro ridotto, una diegesi reinventata, dopo L’uomo d’acciaio e Batman V Superman (2016), per inquadrare un passato che condiziona la mente dei protagonisti ma non il nucleo alla base del team.
Le bande nere ai lati dello schermo devono essere riempite. Snyder fa in modo di focalizzarsi su simboli ed esseri mitologici da riscoprire con cautela, elevando il materiale a disposizione in altezza e il tutto perfettamente centrato. Gli obiettivi personali di Wonder Woman, Flash, Cyborg e Aquaman fungono da motore che va alimentando i poteri che ognuno di loro possiede, poteri in attesa di essere totalmente espressi. Un riposizionamento dell’immagine davvero significativa, per certi versi emblematica, che parla per conto della cinepresa e di parte della sceneggiatura orchestrata da Chris Terrio. L’attesa della svolta, della chiave di sblocco di emozioni contenute, della rivalsa e dello sfoggio di abilità tenute a bada: il campo ristretto, se ci si concentra sulla progressione delle parti di cui è composto il film, via via prende posizione e tende ad allargarsi.
Zack Snyder’s Justice League – Dei e uomini di nuovo insieme, e i simboli riacquistano un carattere umano di fondamentale importanza
Da non sottovalutare il percorso dei reali autori di tale formato: le due icone cardine della DC Clark Kent (Henry Cavill) e Bruce Wayne (Ben Affleck). Superman e Batman. Questa volta non si scontrano fra loro, e non avviene il conflitto interno da trasformare in lotta violenta. La grandezza del formato, studiato per i cinema IMAX, ritrae eroi e guerrieri, salvatori e crociati messi all’angolo, esposti a 360 gradi con punti deboli ed episodi da non ripescare. Tragedie familiari che bussano alla porta della loro moralità di fondo; nel cammino che porta alla fede e all’unità fra razze e specie, il fattore umano gioca un ruolo molto importante. Il mito e la leggenda che circonda questi personaggi si potrà avvertire con più forza nel momento in cui i due leader decideranno di riprendere i rispettivi mantelli e agire da soccorritori in prima linea.
L’immagine in 4:3, mantenuta viva per tutta la durata di film, ci comunica questo: una speranza riconquistata che vale la pena alimentare, e solo con l’intervento di eroi caduti che trovano la forza di rialzarsi. Le caratteristiche del cinema di Zack Snyder – la violenza intesa come espressione di un disagio lancinante, la ricerca di un lieve segnale di salvezza o ambientazioni che si adeguano al senso di smarrimento dei personaggi di punta – trovano una loro dimensione in una sorta di poema epico di gesta marcatamente sofferte. I membri della Justice League abbracceranno il senso del formato – una centralità ricercata e sviluppata come un trampolino di lancio per prepararsi al sesto capitolo, intitolato “Qualcosa di oscuro” – una volta che la tenebra e l’oscurità possono essere considerate come tasselli di uno spettro emotivo significativo; piccole parti non più meccaniche di esseri fallibili, che diventano il cuore del racconto immaginato dal regista.
6 persone totalmente differenti per provenienza, credo e senso di appartenenza, ma ripresi in un quadrato in 4:3 che prova a fornirci dei contorni, uno spazio e un volume. Si avverte una tridimensionalità non più latente, e il quadrato diventa un cubo che rappresenta non solo la forma definitiva delle tre Scatole Madri collegate fra loro (l’Unità), ma anche una messa in scena conciliante per un’alleanza di vitale importanza, decisiva e in grado di rivaleggiare contro Steppenwolf (Ciarán Hinds). Quella che poteva essere una composizione discutibile, senza più estendere il quadro filmico e contenendo l’azione e l’approfondimento dei vari eroi, va tramutandosi in allettante occasione per riposizionare la squadra e metterla sul piedistallo eretto dai fan.