Italian Zombie Movies: i migliori 12 film italiani sui morti viventi

Ammirato, studiato, copiato: che fine ha fatto in Italia il cinema di genere? Negli anni '70 e '80 gli zombie sono stati protagonisti di una grossa parte della nostra filmografia, degni eredi dei cadaveri ambulanti del maestro George A. Romero.

Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana, l’Italia era un Paese all’avanguardia per la sua produzione cinematografica di genere. Western (i capolavori di Sergio Leone, ma anche Django di Corbucci), polizieschi (e poliziotteschi), film dell’orrore: non solo i nostri lavori non sfiguravano all’estero, ma venivano presi ad esempio ed emulati, in particolar modo per la capacità di ottenere ottimi risultati con budget spesso irrisori o comunque limitatissimi. La stagione d’oro dell’horror italico viene spesso fatta coincidere con gli eccezionali anni ’70 e ’80 di Dario Argento, ma è una parte per il tutto: esistono anche Lucio Fulci, Lamberto Bava, Pupi Avati, Umberto Lenzi. Ed esiste un ampio ventaglio di italian zombie movies che hanno segnato un’epoca, presi a modello da chi oggi cerca di riesumare – è proprio il caso di dirlo – la mai del tutto sopita passione/ossessione per i morti viventi, metafora di una società alla deriva che fagocita se stessa. Ripercorriamo le tappe più interessanti di questa storia tutta italiana.

1. L’ultimo uomo della Terra (Ubaldo Ragona e Sidney Salkow, 1964) tra i migliori film italiani sui morti viventi

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Qual è il primissimo film dedicato agli zombie? Si è soliti attribuire il primato a La notte dei morti viventi di George A. Romero, anno 1968. Invece c’è un precedente, ed è incredibilmente italiano: L’ultimo uomo della Terra viene girato nel 1964 tra i palazzi romani dell’EUR, traendo spunto dal romanzo Io sono leggenda di Richard Matheson (la stessa “bibbia” utilizzata da Romero, primo romanzo a parlare di morti viventi con le connotazioni che tutti oggi conosciamo).

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Pressoché ignorato all’epoca, il film è divenuto col passare degli anni oggetto di studio: il regista è il catanese Ubaldo Ragona o il newyorkese Sidney Salkow? Considerato lo scarso appeal del progetto, com’è stato possibile scritturare la star Vincent Price? Quali sono le ragioni dell’oblio di cui l’opera ha sofferto per decenni? La vicenda produttiva di The Last Man on Earth scolora nella leggenda, ma in fondo parte del suo fascino risiede anche nei suoi piccoli/grandi irrisolti misteri.

2. Non si deve profanare il sonno dei morti (Jorge Grau, 1974)

Dopo La notte dei morti viventi (1968) di Romero, che apre ufficialmente le danze dello sfruttamento zombesco, si scatena la fantasia di produttori, registi e sceneggiatori americani ed europei. In Italia trova spazio il carneade spagnolo Jorge Grau, che a metà degli anni ’70 propone una variazione eco-ambientalista del tema: in Non si deve profanare il sonno dei morti viventi i cadaveri vengono risvegliati da potenti ultrasuoni che dovrebbero eliminare i parassiti della campagna inglese.

Accompagnata da una inquietante ed efficace locandina, la pellicola ha conosciuto negli anni svariate riedizioni e diversi cambi di nome, con l’intento di rilanciarla a più riprese sui mercati internazionali: Da dove vieni (ma per qualcuno in realtà è Da dove viene?), Zombi 3 (che tuttavia crea una omonimia con l’opera di Lucio Fulci), Zombi 4 e Non aprire la finestra (che si rifà al titolo inglese Don’t Open the Window).

3. Zombi 2 (Lucio Fulci, 1979) tra gli Italian Zombie Movies

Quasi all’unanimità, il miglior risultato del sottogenere zombie movie italiano. Lucio Fulci, dopo una carriera dedicata a commedie, film musicali, parodie e thriller, scopre a cavallo fra anni ’70 e ’80 il registro a lui più congeniale: l’horror. Un horror splatter e gore, truculento, che nel caso dei morti viventi elimina le derive sociologiche di Romero ripercorrendo le origini del mito. Gli zombie nascono dal folklore voodoo haitiano, e Fulci attinge a piene mani dall’esoterismo e dalla superstizione caraibica.

Le ragioni del titolo sono esclusivamente commerciali: Zombi 2 esce a un anno esatto di distanza da Zombi di Romero (in originale Dawn of the Dead), ma a ragion veduta sembra di essere di fronte più ad un prequel che ad un sequel. Nel dubbio, Fulci respingerà sempre le accuse di plagio: «Non credo di aver copiato. Se i critici visionassero entrambi i film si renderebbero conto da soli dell’assurdità di tali affermazioni».

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4. Io zombo, tu zombi, lei zomba (Nello Rossati, 1979)

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Facendo il verso a Io tigro, tu tigri, egli tigra (1978), nel 1979 Nello Rossati realizza lo sgangheratissimo Io zombo, tu zombi, lei zomba. Una commedia dell’orrore priva ovviamente di qualunque pretesa sociologica, che tuttavia ha il pregio di affrontare il tema dei morti viventi da un inedito punto di vista. La strada della parodia orrorifica non porterà mai a risultati memorabili (basti pensare a L’esorciccio di Ciccio Ingrassia, 1975) e il film di Rossati non fa di certo eccezione.

La storia del becchino che risveglia tre uomini morti in un incidente è una farsetta poco convinta e pochissimo convincente, che fa sorridere solo in virtù del suo cast curiosamente ben assortito formato da Renzo Montagnani, Cochi Ponzoni, Gianfranco D’Angelo e Anna Mazzamauro. Del regista Rossati si perderanno poi le tracce fino al 1987, anno di Django 2 – Il grande ritorno, in cui Franco Nero dopo quattro sequel spuri si riprende il personaggio che lo aveva lanciato nel 1966.

5. Zombi Holocaust (Marino Girolami, 1980)

Se lo zombie movie metaforizza l’apocalisse di una società incapace di proteggere se stessa e fortemente protesa verso la propria auto-distruzione, il cinema cannibalico funge da sempre da valvola di sfogo e da deterrente per lo spettatore, che attraverso emozioni forti e brutalità estrema beneficia di un messaggio ecologista e politicamente schierato (contro il sistema). Gli anni ’70 e ’80 italiani sono quelli del terrorismo e dei sequestri, catalizzati ed esorcizzati da opere come Cannibal Holocaust (Ruggero Deodato, 1979), Antropophagus (Joe D’Amato, 1980) e Zombi Holocaust.

L’opera di Girolami – autore anche di alcuni poliziotteschi fra cui Roma violenta, 1976 – si ricorda soprattutto per l’efferatezza e per l’estetizzazione della violenza, elementi portanti che mettono in secondo piano e nascondono i buchi di sceneggiatura, la semi-amatorialità del comparto tecnico (montaggio e fotografia su tutti) e l’incoerenza della stramba fusione fra cannibalismo e sottotesto zombie.

6. Paura nella città dei morti viventi (Lucio Fulci, 1980)

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Primo tassello della cosiddetta Trilogia della morte (formata anche da …E tu vivrai nel terrore! L’aldilà e da Quella villa accanto al cimitero, entrambi del 1981), Paura nella città dei morti viventi è forse l’horror italiano che ha ricevuto la più massiccia rivalutazione nel corso degli ultimi anni. All’epoca, ad una critica italiana che amava stroncare Fulci quasi per partito preso, fecero da contraltare il successo francese e quello americano: non è infatti un caso che Paura – titolo di lavorazione poi modificato per agganciarsi ai lavori precedenti di Fulci – sia uno dei film preferiti di Quentin Tarantino, citato in Kill Bill nella scena della bara e in quella delle lacrime di sangue.

Non solo: elementi della pellicola sono anche presenti in Il serpente e l’arcobaleno (1988) di Wes Craven e persino in un episodio dei Simpson. Insomma, inutile nascondersi: solo noi italiani non ci eravamo accorti dell’importanza di Paura nella città dei morti viventi.

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7. Le notti del terrore (Andrea Bianchi, 1981)

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Al confine fra exploitation, voyeurismo morboso e bizzarra metafora sociale, Le notti del terrore è uno dei risultati peggiori (o forse migliori?) dell’horror italiano. Incentrato su un archeologo che risveglia incautamente degli zombi etruschi che attaccano una villa abitata da ricchi borghesi, il film di Andrea Bianchi è stato recentemente riscoperto ed elevato al rango di cult dal mercato americano (con il titolo Burial Ground). Un prodotto dimenticabilissimo e forse per questo indimenticabile, con effetti speciali artigianalmente gore e con un improbabile colpo di scena finale che sfonda i confini del trash sfiorando il sublime.

Il regista romano Andrea Bianchi – noto anche con lo pseudonimo Andrew White – merita una parentesi a sé: dopo aver diretto una manciata di film thriller/horror con fra le altre Barbara Bouchet (Quelli che contano, 1974) ed Edwige Fenech (Nude per l’assassino, 1975), da metà degli anni ’80 si dedica quasi esclusivamente al cinema pornografico.

8. Zeder (Pupi Avati, 1983)

Perennemente a caccia del capolavoro che lo consacri, Pupi Avati non si è mai arreso all’idea che le sue opere migliori non siano i lievi e delicati romanzi di formazione che hanno attraversato la sua filmografia, ma bensì due horror: La casa dalle finestre che ridono (1976) e Zeder (1983). Se il primo è il più fulgido rappresentante del cosiddetto “gotico padano”, il secondo è un film dell’orrore a tutto tondo, scritto assieme a Maurizio Costanzo (!) e musicato da Riz Ortolani.

Nella storia dello scrittore incline al sensazionalismo che indaga su un prete spretato tutto collima alla perfezione, dallo straniante contrasto fra tenebrosa assurdità dell’assunto di partenza e placida bellezza dei paesaggi all’indovinato colpo di scena finale. Considerati i buoni risultati ottenuti anche con Balsamus, l’uomo di Satana (1970) e Tutti defunti… tranne i morti (1977), una domanda nasce spontanea: quale avrebbe potuto essere la carriera di Avati, se solo avesse accettato la sua natura di talentuoso regista horror?

9. Dèmoni (Lamberto Bava, 1985)

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Anche se non si parla strettamente di zombie quanto di generici mostri, Dèmoni merita di essere comunque perlomeno menzionato. Anzitutto per l’abile e allora non ancora abusato spunto meta-cinematografico: in un cinema di Berlino, durante la proiezione di un film horror, dilaga all’improvviso un morbo che trasforma gli spettatori in mostri. Scritto – fra gli altri – da Dario Argento e musicato da Claudio Simonetti (fondatore dei Goblin), Dèmoni è il prodotto migliore del figlio del grande Mario Bava, Lamberto Bava, quello in cui meglio si fondono suggestione autoriale e apertura al cinema pop. Il tutto tenuto assieme dagli artigianali ed efficacissimi effetti speciali di Sergio Stivaletti, in seguito collaboratore di Salvatores, Garrone e Castellitto.

Due superflui seguiti: Dèmoni 2 – L’incubo ritorna (1986), in cui la trasformazione avviene non più a causa del cinema ma della televisione, e Dèmoni 3 (1991, diretto da Umberto Lenzi), che se non altro esplicita in modo più chiaro la natura zombesca dei posseduti.

10. Dellamorte Dellamore (Michele Soavi, 1994)

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Ideale rilancio del sottogenere zombie all’italiana, e invece suo canto del cigno. Nel 1994 Dellamorte Dellamore viene annunciato come il primo film su Dylan Dog, e lo strillo pubblicitario si rivela un’arma a doppio taglio: nonostante il soggetto sia un romanzo di Tiziano Sclavi, ideatore dell’indagatore dell’incubo, e nonostante il protagonista richiami fisicamente e caratterialmente il personaggio principale del fumetto (e del resto l’attore scelto è Rupert Everett, su cui sono state modellate le fattezze di Dylan), il film di Michele Soavi parla di un becchino di nome Francesco, che uccide i morti viventi che risorgono dalle tombe.

Pur con alcuni momenti scult – l’interpretazione di Anna Falchi ormai divenuta leggendaria, le spocchiose citazioni di Orson Welles e Magritte –, a distanza di oltre vent’anni Dellamorte Dellamore merita di essere riscoperto, essenzialmente per la sua capacità di mantenersi in bilico fra commedia grottesca e film di paura, giocando con il pubblico.

11. Bloodline (Edo Tagliavini, 2010)

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Esordio alla regia – nel lungometraggio – di Edo Tagliavini, Bloodline è la perfetta esemplificazione delle difficoltà cui vanno incontro le piccole realtà produttive italiane degli anni 2000. Se negli anni ’70 e ’80 la limitatezza di budget permetteva di esaltare le capacità con cui registi e autori tramutavano croniche mancanze in invidiabili qualità, oggi l’industria è cambiata: il mancato raggiungimento di determinati standard rende certi prodotti invisibili alla grande distribuzione, relegandoli allo straight-to-video e ai circuiti underground.

Tagliavini ci prova, affidandosi all’(auto)ironia e cercando – in fase di sceneggiatura – di rendere il suo Bloodline un compendio di più sottogeneri possibili: dalla ghost story allo slasher, dal torture porn allo zombie movie. Coraggio, consapevolezza dei propri mezzi e complicità con lo spettatore: e se fossero questi i giusti ingredienti per ricominciare a parlare finalmente di horror in Italia?

12. The End? L’inferno fuori (Daniele Misischia, 2018) tra i film sugli zombie da vedere

A tenere in vita il cinema di genere in questi anni ci hanno pensato i Manetti Bros., con un pugno di titoli spesso stroncati dalla critica ma amati dal pubblico: Zora la vampira (2000), Piano 17 (2005), L’arrivo di Wang (2011), Ammore e malavita (2017). Ovvero un film di vampiri, un heist movie, uno sci-fi e un musical, perché i Manetti non temono nulla. The End? L’inferno fuori li vede in veste di produttori, al servizio del giovane regista Daniele Misischia, ma la loro impronta si avverte forte e chiara. Nel tipo di messinscena, anzitutto, che al solito fa di necessità virtù: quasi tutto il film si svolge all’interno di un ascensore, in cui resta intrappolato un manager rampante.

Fuori c’è appunto l’inferno, con un’epidemia zombie che invade Roma e che non vedremo mai. Un film che funziona, al netto di alcuni passaggi a vuoto e di alcuni comprensibili cali di ritmo, e che fa ben sperare per un ritorno ufficiale degli zombie sui nostri grandi schermi.