Intervista a Barbara Petronio su Uonderbois: “La scrittura è un bersaglio a cui tutti tirano la propria freccia”

La nostra intervista a Barbara Petronio: una delle più importanti e tenaci sceneggiatrici del panorama seriale e cinematografico italiano

Troppo spesso, in Italia, lo showrunner – chi gestisce letteralmente uno spettacolo ( l’ideatore, il responsabile, il capitano) ovvero il leader creativo di una serie tv è una persona che rimane invisibile ai più. In quanti hanno visto alcune delle più grandi serie italiane realizzate negli ultimi anni: da Romanzo Criminale a Distretto di Polizia, da Suburra a Tutta colpa di Freud? Produzioni che hanno rapidamente catturato l’attenzione del pubblico internazionale, con una distribuzione spesso senza precedenti. Quanti invece conoscono il nome di Barbara Petronio, la sceneggiatrice che ha firmato questi spettacoli? Le lasciamo la parola (senza cambiare una virgola e non potrebbe essere altrimenti se nel ruolo dell’intervistata c’è una creatrice di contenuti sincera e ricca d’ispirazione, una penna instancabile che rappresenta una delle figure più importanti della serialità italiana e non solo -Il film Indivisibili ha ottenuto il David di Donatello per la Migliore sceneggiatura originale nel 2017). L’ultimo lavoro di Barbara Petronio è disponibile su Disney+ dal 6 dicembre: la serie Uonderbois, diretta da Andrea De Sica e Giorgio Romano ed ideata da Barbara insieme a Gabriele Galli. Lo show con Serena Rossi e Massimiliano Caiazzo (Call My Agent – Italia, Mare fuori) è un omaggio alla Napoli più autentica e leggendaria, ma anche a pellicole d’avventura degli anni ’80 come i Goonies e Indiana Jones. Nella trama della serie ci sono cinque ragazzini convinti che per le strade di Napoli si aggiri il loro idolo: il “fantasma Uonderboi”.

La nostra intervista a Barbara Petronio: una delle più importanti e tenaci sceneggiatrici del panorama seriale e cinematografico italiano

Credit photo by Barbara Gravelli

Diventare un buon sceneggiatore richiede una combinazione di talento creativo, di conoscenze tecniche, dedizione e profonda cognizione del linguaggio cinematografico. Ma quando le storie, come quelle che lei crea, non intrattengono solamente ma illuminano, sfidano e toccano il pubblico a livello globale, richiedono forse una particolare dote aggiuntiva: una sensibilità sociale e culturale, cioè una
capacità di scrivere testi che risuonano con diverse demografie e culture. È
una dote che sente di avere?

Non so se ho questa dote. Di sicuro ho una grande capacità di appassionarmi a una storia, a un personaggio, a un contesto e, collegata a questo, ho decisamente una grande tenacia. Cerco sempre di tenere a fuoco l’essenza dell’idea iniziale, la scintilla che mi ha scosso e farmi guidare da quella, senza mai deragliare. Semplicemente rimango coerente alla storia e ai suoi personaggi e credo che questo si avverta nelle storie che scrivo. Certo, non è facile tenere fermo il baricentro quando si sviluppa un contenuto perché è difficile non soccombere alla quantità di note e commenti che arrivano dai più disparati ambiti. La cernita che un autore deve necessariamente fare segna il confine fra una storia ben scritta e una dove l’autore ha eseguito pedissequamente gli input arrivati sul suo testo. Il processo di sviluppo deve essere sempre virtuoso e stimolante sia per chi scrive che per chi legge, deve esserci uno scambio proficuo e nessuna imposizione“.

Cosa l’appassiona di più del mestiere di showrunner e di creatrice di storie?

“Il mestiere di showrunner è affascinante ed estenuante”

Come creatrice di storie, direi quel senso di leggerezza che avverto quando mi viene una nuova idea e poi di compiutezza quando riesco a trovarne un giusto sviluppo. Fin da piccola avevo mille storie in testa e questa irrefrenabile voglia di trovare collegamenti fra cose che apparentemente non ne hanno. E quando si riesce a trovare quel collegamento e a dargli un senso, allora l’appagamento è massimo.
Sul mestiere di showrunner posso dire, per quella che è la mia esperienza, che somiglia un po’ a una gestazione. Ha momenti entusiasmanti e momenti faticosissimi nei lunghi mesi che accompagnano la nascita di una serie. Dalla scrittura, alla scelta degli interpreti, dei registi, delle location per finire con
l’individuazione del tono e del ritmo. È affascinante ed estenuante, soprattutto nel nostro sistema produttivo dove a me ancora, a 50 anni suonati, spesso capita di sentire: tu non hai ancora esperienza”
.

Dopo aver esplorato thriller, genere criminale e polizieschi, con Uonderbois, Barbara Petronio propone un viaggio avventuroso e fantastico

Ha dato vita a tanti progetti di genere soprattutto thriller, criminale o polizieschi. Con Uonderbois propone invece un viaggio avventuroso e fantastico. Perché questo cambio di tono?

Massimiliano Caiazzo in un frame di Uonderbois, ph Giulia Parmigiani.

L’idea di Uonderbois nasce nel 2016 ed ero diventata mamma da poco. Volevo creare una storia che potessero vedere le mamme e i papa insieme ai figli e perché no anche ai nonni. Il crime e il thriller sono generi che amo ma l’adventure mi ha permesso di divertirmi un mondo anche se è molto più faticoso da realizzare! Soprattutto un adventure con bambini che scappano, genitori che l’inseguono, munacelli e supereroi oltre a una strega cattiva che dà la caccia a tutti“.

“Il tono di Uonderbois è adventure e fantasy, un genere che il pubblico italiano è abituato a vedere ma con prodotti non italiani. La sfida era cercare una propria identità”

La sua professione nel tempo si è evoluta; e infatti lei stessa, oltre ad aver ideato la serie, ha suggerito i registi, ha seguito il casting ed è rimasta sul set per tutte le riprese. Per questa ragione Uonderbois ha un registro così specifico? Come lo definirebbe?
Io penso che l’idea di Uonderbois fosse molto centrata già da principio, per il genere e per il target di pubblico. I registi che ho scelto insieme a Disney ne hanno colto subito l’essenza e poi non è stato difficile trovare insieme il giusto tono e rimanere fedeli a quello. È un tono adventure e fantasy, un genere che il pubblico italiano è abituato a vedere ma con prodotti non italiani. La sfida era cercare una propria identità, pur avendo delle referenze d’Oltreoceano importantissime e inarrivabili. Abbiamo lavorato con una grande dedizione e sincerità d’animo e credo che questo si percepisca nel risultato finale“.

Il punto debole del sistema produttivo italiano? Non dare valore alla scrittura, pensare che chiunque possa sostituirsi allo scrittore

I prodotti seriali italiani, a livello strutturale, sono diversi da quelli offerti in altri Stati. Quali crede siano i punti di debolezza nella nostra serialità? E perché il mestiere dello showrunner, che ci appare decisivo per il successo di una storia, nel nostro Paese rimane sottotraccia, è quasi “invisibile” come il fantasma di Uonderbois?
Purtroppo da noi il ruolo dello showrunner ancora fatica a emergere. Un po’ per un retaggio culturale che relega alla sola figura del regista l’”autorialità” di un prodotto, un po’ per un sistema produttivo che non è mai diventato realmente industriale. Eppure gli americani lo adottano da decenni per snellire dei passaggi produttivi e avere una voce unica, quella del creatore e scrittore della serie, e quindi un tono e
registro specifico e ben riconoscibile. Il punto debole del sistema produttivo italiano è proprio questo: non dare valore alla scrittura, pensare che chiunque possa sostituirsi allo scrittore
“.

I ragazzi di Uonderbois, Ph Giulia Parmigiani

Qui tutti mettono bocca sulla scrittura, lo sventurato sceneggiatore italiano, spesso e volentieri (ma per fortuna non sempre), si barcamena in una inesauribile sequenza di figure, più o meno competenti, che gli dicono cosa fare, come narrare una storia, cosa manca a quel personaggio, che tono deve avere il suo racconto, ecc.. Per carità la dialettica è bella e non sto dicendo che chi scrive non debba essere stimolato e pungolato. Però purtroppo spesso si supera la soglia dello stimolo e si entra nell’ambito del dettato o, peggio, della confusione totale. Io da anni raccolgo le note editoriali che ho ricevuto nel corso della mia ventennale carriera fatte dai broadcaster e dalle produzioni stesse, su ogni singolo progetto che ho scritto. Pagine e pagine di ogni genere di commento, spesso in contraddizione con il file mandato un mese prima dalle stesse persone! Quando le rileggo, mi viene da ridere… se le avessi seguite alla lettera, tante serie che hanno appassionato il pubblico non ci sarebbero state, tanti personaggi sarebbero stati completamente diversi…“.

Il suo mondo rivela un puntiglio che ci piace. Ma a una giovane appassionata di scrittura, che sogna di fare la sceneggiatrice, quale percorso consiglierebbe?
Il mondo che ho raccontato, come avrete capito, non è facile. La scrittura è un bersaglio a cui tutti tirano la propria freccia. Per sopravvivere serve innanzitutto una grande determinazione e passione per il lavoro che si è scelto di fare. Rispettare gli altri ma prima di tutto rispettare se stessi e il proprio​ talento, perché se non lo si fa poi il prodotto al quale si sta lavorando, inevitabilmente diventa brutto e non arriva al pubblico. Ma la domanda è rivolta al femminile, quindi la risposta deve essere raddoppiata. Il doppio della passione e il doppio della determinazione. In più aggiungo, alla giovane donna che vuole scrivere, di imparare bene l’inglese e di viaggiare non solo con la fantasia ma proprio fisicamente ed evitare di rimanere in Italia. Un paese per vecchi e per di più maschi…”.