Alberto Fasulo: “Menocchio mi ha permesso di affrontare la morale”
Alberto Fasulo dirige, scrive e fa da direttore della fotografia a Menocchio, il film di cui ci parla, raccontandoci i procedimenti della realizzazione.
Menocchio è l’ultimo film del regista friulano Alberto Fasula, che arriva all’opera storica raccontando della moralità e della ribellione di un uomo, un mugnaio che si allontanò dai precetti della Chiesa, diventando così un eretico. Con protagonista Marcello Martini, il film di Fasulo vive di luci e ombre naturali, interne al racconto, che descrivono la prigionia causata dal contrasto dell’uomo con la potenza ecclesiastica. Il film uscirà in sala l’8 novembre e porterà sullo schermo la figura dell’eretico resa nota grazie al saggio di Carlo Ginzburg Il formaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio del ‘500.
Come ti sei avvicinato al progetto del film su Menocchio?
“C’erano molti dubbi sul fatto che riuscissi a fare questo film. Approcciarmi alla storia di Menocchio significava per me intraprendere un confronto, scontrarmi con argomento morale, proprio come faceva quest’uomo e come si vedeva dai documenti. Quando dieci anni fa tornai a vivere nel mio territorio mi presi la responsabilità di descriverlo e dare anche il mio punto di vista sul mondo. Menocchio mi ha portato ad una presa di coscienza che fortunatamente è entrata in unione con quello che sento, quello che voglio e che mi piace. Quando ho visto l’opportunità di fare questo film, ho capito che potevo fare un’opera importante. È stato un lavoro di rielaborazione fino in fondo insieme a Marcello Martini e a tutti gli altri, andato avanti proprio fin all’ultimo rimontaggio.”
Come è nata la ricostruzione storica del film?
“Sono stati essenziali i verbali pubblicati. Ci sono stati dei riferimenti che mi hanno permesso di comprendere il personaggio e la sua statura, pur avendola poi rimaneggiata. Questo perché ho voluto rendere mia la storia, ho deciso di rappresentare la quotidianità di persone come Menocchio. Non ho fatto leggere la sceneggiatura, non del tutto, questo perché volevo che il cast si ritrovasse in condizioni simili a quelle delle persone del tempo. Avevamo fatti storici e dinamiche da ricreare sul set. Ad esempio neanche l’inquisitore si basava sulla sua memoria, l’attore seguiva piuttosto il protocollo e da lì gli era concesso, come tutti, di esprimersi con libertà.”
Alberto Fasulo: “Ho provato a dare il mio punto di vista sul mondo utilizzando il mio territorio.”
Perché hai scelto come tuo protagonista Marcello Martini?
“Per la sua biografia e la sua energia. In più è una scelta che va creando molti cortocircuiti, come il fatto che sia Marcello che Menocchio sono nati e cresciuti nella stessa valle, ed è una cosa di cui abbiamo usufruito.”
Quale è stata la tua preoccupazione principale mentre lavoravi sul film?
“Io non faccio film per essere diverso dagli altri. Faccio film che vorrei vedere al cinema e che non fa nessuno, quindi me li faccio da solo. Volevo raccontare questa storia pensando principalmente al pubblico, sperando che potesse poi portare il personaggio di Menocchio al di fuori della sala. Quindi la mia preoccupazione era quella che gli attori fossero il più convincenti possibili, lasciandoli anche utilizzare il loro dialetto per fare in modo che fosse qualcosa di spontaneo. Poi quando lavoro mi piace venir sorpreso, non gratificato.”
Non sei solamente il regista e lo sceneggiatore del film, ma hai curato anche il gioco di luce e buio della fotografia. Ci parleresti di più di questa scelta di concentrarti anche su quest’altro aspetto?
“Ho sempre fatto la fotografia dei miei film. Con Menocchio avevo la possibilità di lavorare intorno a immagini del ‘500, quelle nostrane che molti musei in tutto il mondo tengono nei loro musei. Per questo c’è stato un lungo lavoro e una ricerca iconografica per riportare quel tipo di prodotto visivo. Non c’è mai stato utilizzo di luce artificiale nel film, Trattandosi di luce naturale per tutto il tempo c’è stato bisogno di condurre dei test sul set e con lo scenografo abbiamo composto le candele che avrebbero rappresentato la luce diegetica del film.”