Alessandro Aronadio su Era Ora: un film che dialoga con Proust in cui “c’è tanto di mio, di noi”
La nostra intervista ad Alessandro Aronadio su Era Ora: un film che dialoga con Proust, esplora la vita reale e le storie d'amore.
Parlare con Alessandro Aronadio è come dialogare con un vecchio amico. Sarà per il potenziale inespresso della sua laurea in psicologia, sarà perché il suo sguardo ricalca inevitabilmente quello dei suoi film, che ti mostrano tutto il marcio infernale dell’esistenza, ma hanno cura di abbracciarti, di dirti che in fondo tutto passa e, nell’attesa, è meglio cercare di riderci su.
Col suo quarto lungometraggio dal titolo Era Ora, su Netflix dal 16 marzo 2023 dopo la presentazione alla 17ma Festa del Cinema di Roma, il regista si cala nelle ferite sempre aperte delle nostre esistenze, scava nel dolore personale e societario per consegnarci una commedia amare e pungente, una di quelle che riescono a far riflettere, di quelle in cui ci si può anche riconoscere e nella quale, ammette Aronadio: “c’è tanto di mio, sia di mio che dello sceneggiatore Renato Sannio. Io credo sempre che la commedia debba partire dal dolore per poi riderci sopra. Insomma, Era Ora è disseminato di tante cose che riguardano me, noi… in qualche modo è anche psicoterapeutico scriverci qualcosa sopra e riderci su”.
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Ma perché Era Ora è un film che sentiamo così nostro? Perché parla di tempo, un argomento che ci sfugge di mano nel momento stesso in cui iniziamo a pensarlo e sul quale tanti autori si sono espressi. Facendo tesoro della letteratura, trasciniamo l’autore in un confronto con Proust e con la sua famosa madeleine. Se nell’opera in questione però il tempo viene recuperato per mezzo del ricordo scatenato da un sapore, nel film con Edoardo Leo e Barbara Ronchi persino i ricordi sembrano essere stati risucchiati. C’è la possibilità di un dialogo tra La ricerca del tempo perduto ed Era Ora?
Alessandro Aronadio su Era Ora: “la versione dolorosamente divertente de La ricerca del tempo perduto“ ma anche una rom-com
A detta del regista “il film è un po’ come La ricerca del tempo perduto, perché Dante per ogni compleanno cerca di ricordare quello che è ha perduto nei 364 giorni precedenti. È una sorta di recupero, deve cercare di capire che cosa ha peso per strada, che poi è quello che facciamo tutti noi quando cerchiamo di capire che cosa è successo, dove abbiamo perso il nostro tempo, perché non ci ricordiamo certe cose. Alle volte ci sembra che sia trascorsa solo una settimana e invece sono passati tre mesi. Quindi è un po’ la versione dolorosamente divertente de La ricerca del tempo perduto. Per me il tema del tempo è uno dei più angoscianti, poi io cerco di riderci sopra perché credo che sia la lente migliore per cercare di affrontare quelle tematiche che ci possono impaurire. In Era Ora c’è tanto dolore, così come c’è in Proust. Capire dove sono finiti certi giorni è molto importante e molto difficile. Il tema del tempo e quello del personaggio che salta di anno in anno mangia un po’ tutto perché è quello comunicativamente più facile, però per me era importante che Era Ora fosse una romantic comedy su una coppia, come una coppia cambia nel tempo, cosa succede.
Dante e Alice sono due orologi che partono sincronizzati e poi a poco a poco uno dei due perde qualche colpo e finiscono per non esserlo più. Il capire in quale momento quei due orologi non sono più stati sincronizzati è un po’ parte di questo film e anche del suo dolore”.
È chiaro dunque che nel film ad Aronadio non interessa altro che calarsi nella psiche umana, tentare di scardinare quando e dove i meccanismi iniziano a incepparsi.
Il luogo in cui ciò avviene è relativo, poiché non è la città ad avere peso, bensì ciò che accade a chi vi abita. Alla luce di questo dettaglio non stupisce se l’autore abbia fatto di tutto pur di rintracciare luoghi della Capitale che potessero restituirci l’immagine di una città moderna, anglosassone e per certi versi anonima. Gli confidiamo quelli che abbiamo riconosciuto e con l’aria di chi pensa che avrebbe potuto nascondere meglio la città (ma fortuna che non l’ha fatto!) risponde: “Io speravo che non si riconoscesse Roma perché non doveva essere una città riconoscibile, quindi mi sono allontanato il più possibile da tutto ciò che poteva rappresentare la Capitale, perché credevo che la terza protagonista non dovesse essere la città ma la casa, una casa che poteva essere ovunque, anche perché il film non è legato alla città. Mentre Io c’è non poteva che essere a Roma, che è la città della religione, qui doveva essere il più lontano possibile da qualsiasi punto riconoscibile, quindi ho portato la troupe in posti assurdi: Cassia, Nomentana… volevo una matrice che fosse quasi anglosassone perché il sogno di Dante è quello di volere una vita perfetta, una casa perfetta. Inoltre il riferimento principale per questo tipo di commedia era prettamente anglosassone”.
La scena del parco è stata girata al MagicLand, vero?
“Si, avevo due protagonisti che avevano paura ad andare sulle montagne russe. Mario Sgueglia mi ha detto ‘io ho paura e non ci vado mai ma il mio personaggio lo ama e quindi ci andrò’. Abbiamo grandi video dal backstage che però non sono mostrabili, pieni di parolacce! Devo dire in effetti che, pur non avendo paura, l’ultimo giorno di riprese sono salito anch’io sulla stessa giostra eh beh!
Per fare quella scena ho dovuto convincerli, hanno fatto un solo giro e sono stati molto bravi perché la loro espressione di divertimento è del tutto recitata, in verità è finita con una serie di insulti!”
Cosa puoi dirci invece a proposito del sound design? In Era Ora i rumori e i suoni sembrano davvero fondamentali per rimarcare il malessere del protagonista.
“Ho lavorato nuovamente con un genio che è Thomas Giorgi, il reparto suoni e sound design per me è fondamentale, soprattutto in questo film. Essendo molto claustrofobico i suoni diventavano davvero parte integrante della colonna sonora e avere Thomas Giorgi è come avere un altro compositore insieme a Santi Pulvirenti, che si è occupato della soundtrack. Thomas è un vero artista e io l’ho fatto anche un po’ impazzire!
Alessandro Aronadio: finali da esplorare e cibi che sanno Era ora ha un finale aperto, vedremo mai un sequel?
Visto il grande successo a cui sembra andare incontro il film di Alessandro Aronadio e dato il finale che, di fatto, permetterebbe un sequel, ci azzardiamo a domandare al regista la possibilità di capire come andrà a finire realmente la storia narrata, ma la sua risposta è senza dubbio migliore di qualsivoglia seguito.
“Nei finali dei miei film faccio sempre lavorare lo spettatore. In Orecchie il pubblico si divideva tra chi pensava avesse un finale triste e chi invece l’aveva inteso come un happy ending; anche in Io c’è non si sa se c’è davvero un miracolo o se lei si autoconvince a morire perché non si voleva operare. Lo stesso vale per Era Ora e quindi posso dire che Era Ora 2 esiste già ed è nella tua testa!“
La nostra chiacchierata si conclude un po’ come era iniziata: torniamo alla cara madeleine proustiana per scoprire quale cibo ha il potere di ricondurre Alessandro Aronadio ai suoi ricordi più felici. Non è facile scegliere ma la forza del sud Italia lo illumina fin da subito: “Sono molto terrone” dice “quindi qualsiasi cosa che abbia a che fare con la pasta a forno fatta con gli anelletti mi riporta a casa. Anche le arancine in realtà, sì, le arancine sono la mia madeleine!”