La figlia di Vitaliano Brancati sul padre: “Rossellini diceva che era il migliore”
La nostra intervista ad Antonia Brancati, figlia dello sceneggiatore Vitaliano Brancati, fa luce sull'autore, scomparso nel 1954, e ci fa riflettere su argomenti che riguardano tutti noi.
È nata il 6 maggio del 1947 dall’amore tra lo scrittore Vitaliano Brancati e l’attrice Anna Proclemer, ma non definitela figlia d’arte! Antonia Brancati è innanzitutto un’appassionata, una donna fatta di cuore, nervi e umanità, che dai genitori ha ereditato l’amore per il teatro, la scrittura e il cinema, scoprendo adagio il grande patrimonio umano e culturale di cui il suo stesso sangue è composto.
Una linea di trucco sottile e un sorriso aperto al mondo sono il biglietto di visita che la precede e che ci lascia scivolare lietamente nel salottino del Marzamemi CineFest 2024, dove comodi ci interfacciamo con la presidentessa del premio alla sceneggiatura dedicato a Vitaliano Brancati, autore di alcuni dei film più iconici del cinema italiano (da Guardie e ladri, diretto da Mario Monicelli e Steno, a Viaggio in Italia di Roberto Rossellini, passando per L’uomo, la bestia e la virtù di Steno, Orient Express di Carlo Ludovico Bragaglia e così via).
“Mio padre è morto quando avevo 7 anni, il 25 settembre di 70 anni fa,” – racconta affondando lo sguardo verso il futuro e il cuore nel passato – “quindi ho scoperto tardi di quanto fosse intellettuale e che meraviglioso scrittore fosse. Poi mettici il complesso edipico, mettici tutto quello che vuoi… è chiaro che per me era un padre, una madre, un faro, un maestro di vita.
La richiesta di poter dedicare un premio alla sceneggiatura cinematografica a mio padre mi ha fatto venire in mente che Rossellini diceva che era il miglior sceneggiatore con cui lui avesse mai lavorato e, in effetti, Viaggio in Italia, in cui mia madre faceva una particina di una prostituta, è considerato tra i film migliori del mondo e a mio parere, nonostante lui disprezzasse il lavoro cinematografico, dichiarando di farlo solo per portare soldi a casa, per educare e mantenere la bambina,” – dice volgendo le dita della mano verso se stessa – “in realtà secondo me prima o poi avrebbe capito che era un lavoro autorale tanto quanto la scrittura. Trovo interessante il rapporto tra scrittura di una sceneggiatura cinematografica e quella di un romanzo o di un saggio. Penso che a lui non piaceva l’idea di lavorare con altre persone, infatti diceva ‘dopo aver portato il mio cervello all’ammasso con altri disgraziati…’ se avesse capito che poteva lavorare da solo forse si sarebbe divertito di più”.
Cittadina onoraria di Pachino, che ha dato i natali al padre, Antonia Brancati fa una giravolta sul concetto di identità che segna la terza edizione di questo festival, dicendo: “L’identità è tentare il più possibile di essere se stessi senza farsi deviare dalle convenienze, dagli affetti mal riposti, dalle traversie della vita, cioè tentare di tenere la barra dritta e tentare di riuscire a essere fedeli a se stessi“.
Antonia Brancati parla del padre Vitaliano Brancati e del concetto di Übermensch del nuovo millennio: così mio padre ha abbandonato il fascismo
Divaghiamo da qui sul concetto di uomo nuovo, di quel superuomo che ha affascinato una certa letteratura del ‘900, per chiederle che caratteristiche dovrebbe avere l’Übermensch del nuovo millennio. “Questa è una domanda interessante” – ci dice riflettendo tra sé e sé – “credo che se si vuole arrivare all’uomo nuovo tagliando le proprie radici, senza considerare la propria storia e perdendo la memoria di ciò che si è, si va a finire verso il nazismo, il totalitarismo, l’intelligenza artificiale che non aiuta ma sostituisce – e, a proposito di quest’ultima, essendo fatta da una media, è anche abbastanza cretina l’A.I.! – diventa una visione orribile del futuro e del domani. Infatti mio padre, dopo aver avuto i primi impulsi da giovani dannunziani, riteneva persino di essere fascista, preso dall’uomo forte, dal vincitore, è ritornato alle radici, all’uomo provinciale, con i suoi vizi, i suoi difetti, le sue pazzie. Secondo me non possiamo snaturarci dalle nostre radici“.
In merito al concetto di superuomo, chi conosce Vitaliano Brancati sa che la sua attività letteraria iniziò sotto l’etichetta del regime fascista, in una tendenza certamente fuorviata dagli eventi del suo tempo. Ragionando sul concetto di ideologia Antonia dice: “Ci sono delle parole che hanno perso la loro qualità positiva: ideale è una gran bella parola, ideologia una gran brutta parola; la trasformazione è è una gran bella parola, il tarsformismo è un’orribile parola; la voglia di giustizia è una gran bel sentimento, il giustizialismo è uan cosa orribile; e ce ne sono tante altre. Purtroppo oggi tutte queste belle aprole le abbiamo sciupate, rovinate, corrose e corrotte.
Mio padre diceva spesso, riferendosi al suo periodo fascista: ‘mi sono accorto di aver fatto una grande confusione, avevo messo in alto l’inferno e in basso il cielo, non avevo capito più niente.’
Io mi ricordo che da piccola dicevo, ‘chi dice che questo è bene? Messo da un altro punto di vista potrebbe essere male. Ero in pieno relativismo, altra brutta parola! E invece bisogna sapere, ognuno per sé, qual è il nostro inferno e quale il nostro paradiso e tendere a quest’ultimo, che porta alla felicità.”
Abbiamo iniziato la nostra conversazione con una battuta sulla necessità di avere gli smartphone sempre a portata di mano, una polemica che infiamma i notiziari, relativamente all’uso di questi dispositivi da parte dei più giovani. Ma qual è il pensiero di Antonia Brancati su questa società che talvolta ci sembra andare inevitabilmente alla deriva? “Sono felice di non avere figli, perché se li avessi direi: ‘ma che mondo gli ho preparato?’. Questi ragazzi sono davvero infelici, altrimenti non ricorrerebbero alla violenza, alla droga, all’ignoranza. Quando poi vedo che ci sono dei ragazzi educati, e non intendo solo educati di maniera, ma interessati alla cultura, che studiano, che vogliono diventare se stessi, assumere in pieno la propria identità, mi si apre il cuore.”
Guida pratica per cercare di rimanere umani?
“Tentare di leggere attraverso le notizie, perché quelle che ci vengono somministrate oggi tendono al lavaggio del cervello. Io seguo Facebook (non Instagram e neanche X), mi serve a seguire anche gli amici d’infanzia, e mi rendo conto che lo shaming sociale è orribile, ci sono certi leoni da tastiera, persone che feriscono e questo per me è inferno.
A me è capitato involontariamente di ferire qualcuno, ma mi è rimasta una ferita dentro, che mi sono anche autoinferta”.