Antonio Abbate su Phobia: “Mi piace mischiare realtà ed immaginazione”

Abbiamo intervistato il giovane regista in occasione dell'uscita, il 5 ottobre, della sua opera prima, Phobia

Un’opera prima che sa d’esperienza, l’avvio di una carriera che promette un’importante ascesa; in occasione dell’uscita del suo primo lungometraggio, Phobia, abbiamo intervistato Antonio Abbate, giovane regista che vanta la fresca e prestigiosa collaborazione con il quattro volte candidato agli Oscar, Michael Mann, per il quale Abbate è stato assistente alla regia di Ferrari, presentato in concorso al Festival di Venezia 2023. L’autore nasce il 6 agosto 1997 a Foggia e si diploma presso la Roma Film Academy nel 2019, prima di realizzare il cortometraggio Sottosuolo, grazie al quale conquista moltissimi consensi ed ottiene diversi premi. Egli, cinefilo fin da bambino, scopre la propria passione in giovanissima età quando, afferma, “guardavo molti film e molte cose diverse ed, a un certo punto, è nato in me il desiderio non solamente di essere spettatore ma di arrivare a farne uno; così è partito il percorso che mi ha portato dove sono oggi“.
Dopo essersi introdotto, Antonio si è aperto ai nostri microfoni parlando della sua poetica, delle sue ambizioni e, più specificatamente, del film da lui diretto.

Leggi anche Phobia: recensione del film di Antonio Abbate

Antonio Abbate cinematographe.it

Iniziamo subito a soffermarci sul film: come e da dove nasce l’idea?
“L’idea non nasce da me, la sceneggiatura l’hanno scritta Michele Stefanile e Giacomo Ferraiuolo e inizialmente la storia virava più su un versante horror, poi l’abbiamo rimaneggiata perchè diventasse il film che è ora, che potremmo definire un giallo, genere di cui io sono sempre stato un grande appassionato”.

Il film gioca molto su un’ambigua alternanza tra la realtà e l’immaginazione; quanto è importante nella tua visione questo contrasto? Credi che il cinema debba appunto essere un incontro tra questi due differenti piani?
“Quest’idea di mischiare le carte tra il piano della realtà e quello dell’immaginazione è un modo di raccontare, di narrare che mi ha sempre affascinato perché penso che rappresenti un valore aggiunto in un film, ovviamente quando fatto intelligentemente, il fatto che uno spettatore possa ricostruire la propria versione dei fatti, piuttosto che avere una visione univoca che non si può discutere, che è quella e quella soltanto. Questa concezione è stata importante per lo sviluppo del film perché ci si deve avvicinare al punto di vista di Chiara, la quale non sa distinguere le cose reali da quelle che sono solamente frutto della sua immaginazione, e questo modo di raccontare ci aiuta a comprenderla”.

Prima hai parlato di giallo, potremmo definirlo un thriller psicologico; a tal proposito, rispetto al passato come vedi la situazione odierna del cinema di genere in Italia?
“Sicuramente negli ultimi anni, con le dovute eccezioni, è meno rappresentato che in passato, io però non credo che ci sia meno interesse verso i film di genere, mi sembra anzi che ci siano tanti esempi che arrivano da altri paesi e che vengono poi visti e seguiti anche qua; l’interesse nel farli nel nostro paese è forse diminuito per qualche ragione ma, come ho detto, ci sono eccezioni che mi contraddicono”.

Il film come impostazione ricorda, tra gli altri, Get Out di Jordan Peele, ti ritrovi in questa associazione? Qual è la tua opinione riguardo al suo lavoro e a quello di altri autori dell’horror contemporaneo, quali Ari Aster e Robert Eggers?
“Get Out, sicuramente, possiamo dire che ha una struttura che ricorda il mio film; essendo, questi che hai nominato, persone che ammiro e autori che mi piacciono molto, penso che, magari anche inconsciamente, dei riferimenti a loro in questo film ci siano. Detto questo, i film che nomini appartengono al genere horror mentre, come ho detto, quello che abbiamo cercato di fare noi è stato di rimanere più sul piano del non detto e del non visto”.

Phobia è il tuo primo lungometraggio; quali sono state le più grosse difficoltà nel passaggio dal corto al lungo? E quanto le collaborazione nazionali e internazionali, che hai collezionato negli ultimi anni, ti hanno aiutato in questo passaggio?
“Io penso che il primo scoglio, di cui non tutti sono consapevoli è che, quando si parla di fare un film, per il regista ci sono cose molto pratiche con cui ci si va a scontrare, dal rapporto con tutte le persone che lavorano con te alla gestione del tempo a disposizione; non è tutto solamente arte e poesia ma ci sono diverse cose di cui non si è pienamente consapevoli. Sicuramente il fatto di non essere nuovo ai set mi ha aiutato ad avere una consapevolezza maggiore”.

Antonio Abbate tra futuro imminente e futuro prossimo

Phobia cast cinematographe.it

Per concludere l’intervista, con Antonio abbiamo voluto approfondire alcuni aspetti legati al suo futuro, a partire dall’uscite sempre più vicina di Ferrari, di Michael Mann.


A dicembre uscirà in Italia Ferrari, presentato il mese scorso a Venezia. Tu sei stato assistente di regia, parlaci un po’ di questa collaborazione: com’è nata? Quali sono stati i più grandi insegnamenti che ne hai tratto?
“Lui aveva bisogno di un assistente personale per il periodo in cui si sarebbe trattenuto in Italia, qualcuno mi ha nominato e mi sono buttato, certo non senza qualche timore reverenziale. Quello che posso dire è che, ovviamente, ho visto e imparato molto da un maestro come Michael Mann; noi lo conosciamo per i capolavori che ha fatto, dei film leggendari, ma quello che non si conosce è la preparazione, il lavoro, lo studio che c’è da parte sua dietro ad ogni fotogramma. Senz’altro, avendo visto il suo processo creativo molto accurato e molto meticoloso non posso che dire che quando ci sono queste premesse, i film che ne escono non sono frutto del caso ma sono figli dell’impegno e penso che questo processo sia comune a pochissimi”.

Cosa ti aspetti dal domani? Hai già dei nuovi progetti tra le mani?
“Sperano che siano buone, di idee ce ne sono tante, più o meno sviluppate e anche di genere diverso; sarà interessante vedere, con il passare del tempo, quali di queste diventeranno dei film e quali di queste, invece, non passeranno la selezione naturale”.

Leggi anche Jacopo Garfagnoli su Senza Età: “Sono sempre alla ricerca del nuovo posto”