Intervista a Bonnie Timmermann: la casting director che ha cambiato il cinema
Incontro con la casting director Bonnie Timmermann, tra le più importanti del mondo, a Roma per presentare il documentario a lei dedicato, Bonnie
A lei dobbiamo Patrick Swayze nei panni di Johnny Castle nel cult Dirty Dancing, interprete indimenticabile e compianto che ha fatto sognare generazioni di spettatori, a lei dobbiamo il multietnico cast di Miami Vice, e la scoperta di talenti diventati poi delle grandi star di Hollywood: Liam Neeson, Steve Buscemi, Benicio Del Toro, Natalie Portman, Mark Ruffalo, Melissa Leo, Sigourney Weaver, Bruce Willis, Chris Rock. Bonnie Timmermann, newyorkese, classe 1947, è una delle più importanti casting director del mondo, trentennale la sua collaborazione con Michael Mann (per Manhunter – Frammenti di un omicidio, L’ultimo dei Mohicani, Insider, Heat – La sfida ed altri capolavori firmati dal regista), e ha scelto il cast di film entrati di diritto nella storia del cinema: Una poltrona per due di John Landis (1983) con Eddie Murphy e Dan Aycroyd, Karate Kid (1984), Johnny il bello di Walter Hill con Mickey Rourke, Risvegli di Penny Marshall con Robin Williams e Robert De Niro, Americani (1992) con un cast all star: Al Pacino, Jack Lemmon, Alan Arkin, Alec Baldwin, Kevin Spacey, Ed Harris e Jonathan, Carlito’s Way di Brian De Palma, Armageddon di Michael Bay, Quiz Show di Robert Redford, e la lista continua.
Un mestiere che pochi sanno quanto sia importante, è anche grazie a Bonnie Timmermann se i film sopracitati, e tanti altri, sono entrati nell’immaginario collettivo, se ci hanno fatto sognare ad occhi aperti, se ci hanno fatto innamorare di interpreti che sono entrati a far parte del nostro mondo. È lei che insieme ai registi con i quali collabora pone le basi per creare la magia, per trovare il volto giusto agli eroi che vediamo sullo schermo, e ovviamente anche ai nemici, per trovare lo sguardo che può cambiare o meno la storia di un film e del cinema. I suoi cast sono pieni di attori afroamericani, indigeni, latini e asiatici: li ha messi in prima linea in un modo che non erano mai stati in televisione o nel cinema americano. La Timmermann ha infatti sempre lottato per principi come l’autenticità, l’uguaglianza e la parità di genere. Spesso Bonnie cambiava l’identità del personaggio, scegliendo una donna anziché un uomo. I casting director devono sapere guardare e Bonnie Timmermann l’ha saputo fare, e continua a farlo.
Abbiamo incontrato Bonnie Timmermann a Roma in occasione della presentazione al Cinema Troisi del documentario a lei dedicato diretto da Simon Wallon e presentato alla 79° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Bonnie, durante il quale ha risposto alle domande del pubblico in un incontro moderato da Piera Detassis. L’evento è stato organizzato dall’U.I.C.D. – Unione Italiana Casting Directors, con il patrocinio di Roma Lazio Film Commission, il contributo dei David di Donatello – Accademia del Cinema Italiano, il supporto di e-TALENTA e di I Wonder Pictures.
Il nostro incontro a Roma con Bonnie Timmermann
Cosa ha visto negli occhi degli attori e delle attrici che ha scelto, cosa ha fatto la differenza per lei rispetto ad altri?
“Sento delle sensazioni forti quando un attore o un’attrice entrano nella mia stanza, li vedo già sul grande schermo. Li metto di fronte alla mia telecamera e vedo già la loro faccia nel film, la stanza cambia colore. Forse ho ragione solo 9 volte su 10, non so come si impara a capire quale sia la persona giusta, ma forse grazie alla gentilezza puoi fare emergere più cose. Quando Liam Neeson è entrato nella mia stanza tutti si sono voltati a guardarlo, era così bello e sexy, e c’era un ruolo perfetto per lui in Miami Vice, quello di un irlandese, un terrorista appartenente all’IRA, ho chiamato Michael Mann e gli ho detto: “Se non prendi questo attore mi licenzio” (ride). Poi Benicio del Toro, era un ragazzo bellissimo anche internamente, come potevi non volerlo in un film? Invece Natalie Portman durante il provino per Heat – La sfida mi ha detto che se non avesse continuato con la recitazione avrebbe potuto fare la dottoressa o l’avvocatessa, una ragazza così intelligente, ha fatto un’audizione fantastica. Per quel ruolo ho provinato anche Kate Winslet che fu eccezionale, ma il ruolo era più adatto a Natalie”.
“Quando entrano gli attori giusti nella mia stanza li vedo già sul grande schermo”
Milioni di spettatori hanno sognato e continuano a sognare grazie alle straordinarie performance degli interpreti che ha scelto e che hanno cambiato la storia del cinema, come la fa sentire questa cosa?
“Sono felice, vorrei che la gente continuasse ad amarli, sai, più vedi un attore, più il pubblico lo conosce e lo ama. È molto bello sapere di aver fatto qualcosa di buono”.
E com’è invece il rapporto con i registi con i quali collabora?
“Penso che sia estremamente importante amare il tuo regista e che il tuo regista ti ami a sua volta, in un certo senso il direttore del casting è il primo regista di un film. Con Michael Mann, per esempio, abbiamo un ottimo rapporto, gli piacciono molto le mie idee, abbiamo fatto insieme tre serie e tantissimi film. Forse soprattutto al giorno d’oggi devi stabilire un legame di fiducia anche con i produttori che sono i più difficili da convincere, soprattutto oggi con le piattaforme streaming. Sono diventata anche io produttrice, ho prodotto un film con Roman Polanski e Mike Nichol, e proprio di recente un film che è andato a Venezia. In questo modo vedo quanto lavoro c’è dietro una produzione, i soldi, le assunzioni, e questo mi permette di essere una casting director migliore perché conosco più cose e ora i produttori li sfido, soprattutto se ho dalla mia parte il regista, ma non servirà a nulla se anche per un attimo penserò di sbagliarmi”.