Cate Blanchett si racconta a Roma: “per me la recitazione è antropologica”
Il resoconto dell'incontro ravvicinato dell'attrice due volte premio Oscar Cate Blanchett con il pubblico della Festa del Cinema di Roma
A margine dei suoi impegni per la presentazione de Il mistero della casa del tempo, la due volte premio Oscar Cate Blanchett ha partecipato a un incontro ravvicinato con il pubblico di RomaFF13. Nel corso dell’evento l’attrice, pungolata dal direttore artistico della Festa Antonio Monda, ha ripercorso la sua formidabile carriera, attraverso delle scene di film a cui ha preso parte.
Il primo film di cui ha parlato Cate Blanchett è stato Il curioso caso di Benjamin Button (David Fincher, 2008).
Mi sento romantica, soprattutto stasera. Ho accettato il film perché sono appassionata di tanti suoi elementi, come lo sceneggiatore Tim Roth, il regista David Fincher e Brad Pitt. Brad era così orrendo che è stato davvero difficile fingere di provare qualcosa per lui (ride, ndr)!. Il mio personaggio e le immagini mi hanno colpita, soprattutto l’ultima scena, con Daisy che guarda morire Benjamin, ormai diventato un infante. Tutte le madri sanno cosa si prova durante quella scena, perché pensano che prima o poi il figlio morirà e loro moriranno. Come ha detto Thomas Stearns Eliot, in my end is my beginning (nella mia fine è il mio principio), questo è il senso.
Il secondo film affrontato da Cate Blanchett è stato Carol (Todd Haynes, 2015)
Durante le attività stampa di Carol, mi sono sorpresa nel ricevere continuamente domande sulla mia sessualità, mentre per altri film non mi avevano mai fatto domande, per esempio, sulle mie capacità psichiche. In me ha suscitato una profonda sorpresa il fatto che il mio genere sessuale fosse improvvisamente diventato un argomento di cui discutere. Interpretare un ruolo secondo me significa creare un punto di vista universale su un personaggio, per cui il mio genere per me non è mai stato un problema, e non lo sarà finché non mi chiuderà una porta. Ci aspettiamo sempre di trovare affinità col personaggio, mentre per me la recitazione è antropologica, perché mi connetto con persone diverse da me e di epoche storiche diverse. Il grande piacere per me è capire cosa muove le persone, cosa le motiva.
Carol per me è stato come un parto d’amore. Avevo letto al liceo il romanzo, ma alcuni anni fa il progetto era molto più difficile, essendo incentrato su due donne lesbiche che non lo nascondevano negli anni ’50, però per fortuna da allora le cose sono cambiate. È stato comunque molto faticoso trovare produttori, ma queste difficoltà sono state un ulteriore incentivo per farlo.
Il successivo film affrontato da Cate Blanchett è stato Bandits (Barry Levinson, 2001), che ha stimolato una riflessione sulle differenze fra il cinema e il teatro
Quando ho iniziato a lavorare non mi sarei mai aspettata di arrivare al cinema. Mi dicevano che avevo 25 anni e che mi dovevo sbrigare perché stavo diventando vecchia. Per fortuna, le cose non funzionano più così. Ho fatto 2 film con la Fox, questo con Levinson e uno con Isabelle Huppert, che sarà su questo palco domani. Penso sia utile passare dal cinema al teatro, perché il teatro ti dà una percezione del pubblico. Uno aiuta l’altro. Il cinema mi ha invece portata a valutare le possibilità delle grandi inquadrature e dei primi piani. Se mi puntassero una pistola alla testa e mi costringessero a scegliere fra i due probabilmente sceglierei il teatro, perché c’è un rapporto visibile col tuo pubblico e perché è un lavoro di squadra.
Nei film, c’è un aspetto letterale, c’è un lavoro di narrativa sul personaggio che offre grande elasticità. Se a teatro vedi una schifezza non ci torni più, mentre al cinema ci vai lo stesso. A teatro però il pubblico è molto più coinvolto e ogni sera è un’esperienza diversa. Il film è un oggetto più compiuto in sé.
Cate Blanchett ha poi parlato di Diario di uno scandalo (Richard Eyre, 2006), nel quale ha lavorato accanto a un mostro sacro come Judi Dench
Judi è fantastica, e quando lavori con attrici di questo calibro il tuo lavoro acquista la qualità dell’altra persona. Quando fai un film che è tratto da un romanzo, non sempre la fedeltà al testo originale aiuta. La scena della lite, per esempio, l’abbiamo dovuta rigirare, e Judi aveva dietro di se una specie di tartaruga per darmi margine per spingerla. Lo sceneggiatore era sempre con noi, tutto è diventato molto fluido e provavamo e riprovavamo le battute. Vi racconto un aneddoto emblematico: a Judi piace molto lavorare a maglia; ha preparato una fodera per il cuscino per il regista Richard Eyre, e ci ha scritto sopra una sfilza di “fanculo”.
A seguire, è stato il turno di Io non sono qui (Todd Haynes, 2007), in cui Cate Blanchett ha interpretato Bob Dylan
L’idea di partenza per il film era quella di un’opera teatrale. Quando qualcuno ti fa una proposta così folle, devi assolutamente dire di sì. Solo pochi potrebbero rappresentare un personaggio in 6 parti con 6 attori diversi, ma tutti noi eravamo in questo viaggio e volevamo sapere dove ci avrebbe portato. Io stavo girando Elizabeth: The Golden Age, e se lo vedete noterete che continuavo a perdere peso per tutto il film, perché mi stavo preparando al ruolo che avrei dovuto fare. Adoro Bob Dylan, mentre lo studiavo ero totalmente presa da lui, ed è stato l’unica volta che mio marito è stato geloso. Non so se ha mai visto il film, io comunque non ci ho mai parlato.
Il successivo film affrontato da Cate Blanchett è stato Blue Jasmine (Woody Allen, 2013), grazie al quale ha ottenuto l’Oscar come migliore attrice protagonista
Penso che come avviene per molti registi sceneggiatori, la regia avviene attraverso il testo, per cui una grande sceneggiatura o testo teatrale contengono già molte informazioni, e a quel punto si tratta solo di fare gioco di squadra. Liv Ullmann era venuta in Australia per dirigere una versione teatrale di Un tram che si chiama Desiderio, in cui io avevo interpretato la protagonista Blanche. In seguito l’abbiamo portato in America, e credevo che Woody l’avesse visto, considerando le somiglianze fra le due opere. Quando gliel’ho chiesto, lui mi ha detto che non l’aveva visto e non voleva sentire parlare di Un tram che si chiama Desiderio. Il mio corpo conservava però qualcosa di quel ruolo e questo mi ha aiutata molto. Nel cinema non funziona molto l’eccesso di pensiero e c’è chi dice che le prove servono solo per riportare l’attore indietro all’atmosfera iniziale, che era già quella ottimale.
L’ultimo film da lei interpretato affrontato da Cate Blanchett è stato The Aviator (Martin Scorsese, 2004), grazie al quale ha conquistato l’Oscar come miglior attrice non protagonista nei panni di Katharine Hepburn
Sono cresciuta divorando i film con Katharine Hepburn e ammirando la strada che lei ha aperto alle donne al cinema. Stavo lavorando a The Missing di Ron Howard, e il mio agente mi ha chiamata dicendo che Martin Scorsese mi aveva cercata e mi avrebbe richiamata dopo mezz’ora. Io stavo accanto al telefono tremando, come se avessi il Parkinson. Non ricordo niente della chiamata, so solo di avere detto sì, entusiasta di lavorare con lui. Solo quando ho realizzato la difficoltà della parte mi sono spaventata.
Cate Blanchett ha poi scelto di mostrare al pubblico una scena di un film a cui lei non ha partecipato ma a cui tiene particolarmente, cioè La sera della prima (John Cassavetes, 1977)
Consiglio caldamente a chi non avesse visto questo film di vederlo, perché è straordinario. È la storia di un’attrice di Broadway che vede arrivare il suo tramonto. La recitazione e il ruolo di Gena Rowlands sono straordinari, perché riesce a entrare in quello spazio fra il ruolo e la persona che lo interpreta; ha una capacità straordinaria di creare l’emozione di una persona che si distrugge mentre crea un personaggio. È stata grande fonte di ispirazione per me.
In chiusura di incontro, Cate Blanchett si è prestata a un ultimo veloce gioco, ovvero associare una parola a 3 grandi registi con cui ha lavorato. A Martin Scorsese ha associato la parola ilare, mentre per Woody Allen ha scelto enigma. Steven Spielberg invece? La riposta è stata vorace.