Checco Zalone parla di Tolo Tolo: un film anti-salviniano? L’importante è fare soldi!
Checco Zalone presenta il suo Tolo Tolo, il più politico dei lavori del comico, che parla di immigrazione, umanità e polemiche.
Nasce già tra le polemiche il nuovo film di Checco Zalone. Tolo Tolo, in uscita in sala dal 1 gennaio 2020 in più di mille copie, ha suscitato non poco disappunto all’uscita del suo solo trailer, che con la canzone Immigrato non ha potuto che irritare e stizzire quella buona fetta di pubblico che, al comico pugliese, non ha potuto che dare del razzista. Ma era veramente questo l’intento di Zalone? Che non solo sembra, piuttosto, andare completamente nella direzione opposta con la sua ultima opera, ma che vede anche il suo passaggio dietro la macchina da presa. Tra prese in giro sibilline, metafore che sono poi la vita vera e politici invitati a guardare il film, Checco Zalone presenta il suo Tolo Tolo, restituendo umanità a un’Italia che, forse, non ne ha più. Con lui, il produttore Pietro Valsecchi e il cast della commedia.
Pietro Valsecchi, cosa significa tornare ad avere fiducia in un personaggio come Checco Zalone, soprattutto dopo la sua idea per questo Tolo Tolo?
“Ci sono voluti anni per uscire con questo film. L’idea nasce da Paolo Virzì e comportava non poche difficoltà. Alla fine Luca (Medici, vero nome di Checco Zalone) ha deciso di farlo, ma continuava a ripetermi che, se avevo troppe remore, potevamo anche non girare. Ma sono contento alla fine di come è andata. Tolo Tolo è pieno della magia di Checco, ma riporta anche la verità con certa distanza. Abbiamo lavorato per venti settimane, visto tutti gli ambienti e le location che avevamo, con inserti musicali e d’animazione. Ma sono contento di aver portato a battesimo Checco per la sua prima regia.”
Una responsabilità non da poco quella della regia, in cui ti destreggi per la prima volta. Come è andata Checco?
“Inizialmente Paolo Virzì, che doveva dirigere il film, aveva questa idea di soggetto e mi ha chiamato. Abbiamo iniziato a frequentarci e a lavorare insieme, poi mi sono accorto che in scrittura costruivo sempre più il personaggio su di me. Mi sono poi ritrovato ad avere anche la regia in mano e, le volte che era troppo difficile, bestemmiavo e volevo ci fosse stato Paolo alla macchina da presa, quando invece andava tutto bene mi prendevo tutto il merito. Pensa la sfiga, dovevamo girare nel deserto e ha piovuto. Non accadeva da vent’anni!”
E con Gennaro Nunziante, che aveva diretto tutti i tuoi film fino ad ora, come siete rimasti?
“Con Gennaro siamo ancora amici, anche se non ci vediamo più così spesso. Poi ora ne abbiamo girato uno mio solo io e uno suo solo lui. Ma devo dire che anche nelle esperienze con Gennaro mi lasciava molto spazio.”
Non sarà andata tanto male sul set, ma le polemiche sono cominciate già con l’uscita del trailer. Ve le aspettavate?
“Ce le aspettavo, ma non fino a questo punto. Non pensavamo di finire addirittura sulle prime pagine dei giornali o come argomento di discussione dei talk show. È qualcosa che però, dopo un po’, mi ha anche stancato, allora ho smesso di interessarmi. Poi oggi ci sono i social, che funzionano come un megafono. Spesso le critiche vengono da un esiguo numero di persone, ma poi è un certo tipo di giornalismo che prende quello stesso gruppo e lo mette in evidenza nelle proprie riviste. Un sassolino dalla scarpa voglio comunque togliermelo: qualcuno ha parlato di sessismo. Non capisco come sia possibile vista la presenza di un personaggio come Idjaba, interpretato da Manda Touré. Non l‘ho spogliata, non le ho inquadrato il culo, non le ho fatto nemmeno tirare fuori una tetta. In più, nel film, è colei che ci porta in salvo. Ecco, questo ci tenevo a dirlo.”
Questo è senza dubbio il tuo film più politico. Come lo definiresti tu? Anti-salviniano? E quanto avete cercato di aggiornare sempre di più il copione per renderlo attuale con i nostri tempi?
“Non abbiamo aggiornato in continuazione la sceneggiatura. Basta già vedere il personaggio di Gramegna, interpretato da Gianni D’Addario, per vedere che si parla comunque di uno specchio dei nostri tempi. Un figuro che ogni volta ha una carica superiore senza aver fatto nulla per meritarselo. Gli ho dato la carriera di Di Maio, l’ho vestito come Conte e gli ho dato la comunicazione di Salvini. Diciamo che ho creato un mostro dei nostri tempi. A proposito di quest’ultimo: un film anti-salviniano? Non c’è proprio Salvini qui. Tutto è politica, basta trattare le questioni con umiltà. E se dovessi decidere chi vorrei vedesse per primo il film, direi Mattarella. O il Papa.”
Checco Zalone: “Un film anti-salviniano? Non direi. Ma con qualsiasi cosa si può fare politica.”
È, però, un film che cerca molto il confronto con l’oggi?
“Non voglio spiegarmi troppo, perché ho paura che così si banalizzi la questione. Vorrei più che altro che si cogliesse quello che il film vuole dire, piuttosto che stare lì a mettere le mie parole in bocca allo spettatore. Comunque sì, è un film sull’oggi, e si può vedere anche in una delle scene iniziali, quando Checco è in mezzo alla guerriglia e non viene minimamente toccato dal disastro che sta avvenendo intorno. Inizialmente ho provato a fare quello spaventato dalle esplosioni e dagli spari, ma non funzionava. Allora ho cercato di costruire un personaggio incapace di guardarsi attorno e cogliere cosa accade al suo fianco. Mi piacerebbe che qualcuno cogliesse quello che cercavo di trasmettere. Quell’egoismo congenito nell’uomo e che ho tentato di ritrasferire.”
C’è anche una scena in acqua che potrebbe venir contestata…
“Quella delle persone in acqua è più che altro una canzone di speranza. Quando bisognava girare questa scena, ho voluto spiegarla prima agli attori e si sono commossi. Nel film si tratta di un sogno, di un momento onirico. Ma è stata comunque difficilissima, perché c’era il rischio della presa per il culo cinica o quella del moralismo, dell’essere ruffiani. In ogni caso, è nata prima la canzone, che la scena.”
Nel film si parla molto di cinema italiano classico. Anche tu hai dei modelli a cui ti ispiri?
“Guardo con estremo rispetto alla commedia all’italiana. Dino Risi, Alberto Sordi… Cerco di procedere sul loro solco, ma loro erano di livello superiore, è bene premetterlo. Poi, nel film, dovevano esserci I 400 colpi invece di Mamma Roma, ma non ci hanno concesso i diritti. Questo ha creato la dicotomia dello stesso film in cui è inserito sia Mussolini che Pasolini. Ma l’idea di inserire il fascismo non mi ha mai spaventato, mi faceva ridere farlo uscire quando Checco viveva i momenti massimi di intolleranza. È una metafora, ma che si può comprendere benissimo.”
Nel film Checco ha dei compagni di viaggio. Cosa puoi dirci di più su di loro? Se ce ne vogliono parlare anche gli attori che li interpretano…
“Per il personaggio di Omar devo ringraziare Paolo (Virzì), perché si è ispirato a un ragazzo che ha realmente conosciuto e di cui si parla in un documentario molto poetico. Era un giovane senegalese appassionato di cinema italiano. Il vero colpo di fortuna è stato trovare Nassor Said Birya, che nel film è il piccolo Doudou. Al casting sono arrivati tutti questi bambini pariolini, dell’alta borghesia. Eravamo in Kenya ed io ero davvero disperato. Poi, a un certo punto, vedo questo bambino con questi occhioni enormi, abbiamo iniziato a parlare e mi sono reso conto che aveva fame di successo. Devo dire che mi è andata di fortuna. Ha una carica espressiva incredibile, ma sa trasmettere anche un esterno senso di calma e pazienza.”
Souleymane Sylla: “Ringrazio Luca per il magnifico personaggio di Omar. È il mio primo ruolo, quindi potete immaginare che esperienza enorme è stata. È stata una fortuna averlo come compagno di viaggio e, per me, essere stato il suo. Per me è un genio e lo ringrazio di tutto.”
Manda Touré: “È stato molto interessante il lavoro con Checco. Per i francesi spesso è stimolante lavorare con gli italiani. Checco non solo è un ottimo regista, ma è un vero e proprio direttore d’orchestra che sa sempre dove andare e dove condurre la propria crew. Questa è una cosa che rassicura molto un attore.”
Alexis Lemaitre: “La cosa veramente interessante è stata che con Checco sapevamo bene quando avremmo iniziato, ma non avevamo idea di quando tutto sarebbe finito. Ad esempio io ero stato ingaggiato solo per tre giorni, alla fine sono stati due anni e mezzo e, nel frattempo, sono riuscito anche a diventare papà per due volte. Ringrazio Checco per averci fatto scoprire tanti posti, per l’opportunità di conoscere altre culture e riconfermare che, comunque, quella italiana è la più caotica tra tutte. È stata una bellissima esperienza, con cui Checco potrà portare al cinema un tema tanto importante con poesia e umorismo. Se pensate che poi, lui, sia così solo al cinema, vi sbagliate. È un’ottima persona anche nella realtà.”
Nassor Said Birya: “Mi è piaciuto tanto lavorare con Checco, mi ha portato fuori dal mondo e mi ha permesso di vedere tante cose nuove.”
Quo Vado? è stato il film più visto dagli italiani nell’anno della sua uscita e tra i maggiori incassi di sempre. Senti addosso la pressione per l’uscita e le prospettive di incasso di Tolo Tolo?
“Da quanto va questa scala della pressione? Da uno a dieci? Allora dieci. Inutile fare gli ipocriti, bisogna fare i soldi. Dobbiamo riempire le sale, che qui c’è chi ha investito molto.”
Pensa che molto del suo pubblico potrà risentirsi per il messaggio di Tolo Tolo?
“Rispondo citando De Gregori: è la gente che fa la storia, quelli che hanno letto un milione di libri e quelli che non sanno nemmeno parlare…”