Intervista al regista sudcoreano Choo Chang-min: “Faccio film per parlare al mondo”
L’intervista al regista sudcoreano Choo Chang-min, ospite della 23esima edizione del Florence Korea Film Fest, dove ha presentato il suo ultimo film, Land of Happiness.
Con una carriera caratterizzata da una profonda passione per la narrazione e la capacità di esplorare temi universali attraverso il linguaggio della Settima Arte, Choo Chang-min, una delle voci più significative del panorama cinematografico sudcoreano, ha saputo conquistare il pubblico con le sue opere, che spaziano dal dramma storico all’epicità dei grandi racconti. Tra i suoi lavori più apprezzati, spiccano il period-drama Masquerade e il thriller ad alta tensione Seven Years of Night, film che non solo hanno riscosso successo di pubblico, ma hanno ricevuto riconoscimenti a livello internazionale per la loro qualità cinematografica e forza emotiva delle storie raccontate. Alla 23esima edizione del Florence Korea Film Fest abbiamo avuto la possibilità di intervistarlo, laddove è stato ospite e ha presentato in anteprima italiana la sua ultima fatica dietro la macchina da presa per il grande schermo dal titolo Land of Happiness. La pellicola ha segnato il ritorno di un autore raffinato, confermando la sua abilità nel trattare tematiche sociali e politiche con grande sensibilità e l’impegno nel ricordare le conseguenze legali subite da Park Tae-ju, il capo segretario dell’agenzia di intelligence implicato nell’assassinio del Presidente Park Chung Hee avvenuto il 26 ottobre del 1979. Ne abbiamo parlato in questa one-to-one esclusiva, per poi approfondire gli aspetti chiave del suo cinema e avere qualche anticipazione sul suo nuovo progetto seriale.
La nostra intervista al regista Choo Chang-min, ospite della 23esima edizione del Florence Korea Film Fest

Credits: Florence Korea Film Fest – Daria Ivleva
Come sceglie i suoi progetti e le storie da raccontare?
“Credo fermamente che la scelta di un progetto da parte di un regista non dipenda mai da cosa gli piace oppure no. A tal proposito faccio spesso l’analogia con una relazione che si viene a creare tra un uomo e una donna. Ecco perché penso sia una questione di destino che mi porta a incontrare quel dato progetto, innamorarmene e per poi portarlo sullo schermo”.
E nello specifico cosa l’ha attratta di più della vicenda al centro del suo ultimo film Land of Happiness?
“Non sono stato attratto dalle questioni politiche che riguardano la vicenda in sé, piuttosto dalla possibilità di portare alla luce e raccontare l’intricata storia di Park Tae-ju, il capo segretario dell’agenzia di intelligence implicato nell’assassinio del Presidente Park Chung Hee, e il dilemma morale e giudiziario circa l’obbedienza agli ordini a cui un uomo nella sua posizione è costretto a sottostare . Quello che desiderava più di ogni altra cosa la figura realmente esistita che ha ispirato il personaggio del mio film era diventare un soldato vero, che sta dalla parte dei giusti e che fa il suo dovere. Quello che voleva era semplicemente vivere, morire da soldato ed essere poi sepolto nel cimitero militare. Purtroppo però tale desiderio gli è stato negato a seguito degli accadimenti che lo hanno visto suo malgrado protagonista, con la sepoltura avvenuto in un cimitero comune alle porte della Capitale. E ancora oggi i suoi familiari stanno lottando per fare trasferire le spoglie in un cimitero statale che possa essere all’altezza del suo nome. La ragione per cui ho scelto di realizzare Land of Happiness è proprio il volontà che avevo di raccontare al mondo esterno e a chi non la conosceva questa figura e la sua dolorosa vicenda”.
Choo Chang-min: “in Land of Happiness la volontà era quella di raccontare al mondo esterno e a chi non la conosceva la figura di Park Tae-ju e la sua dolorosa vicenda”
Di questa sua ultima fatica dietro la macchina da presa, c’è qualcosa che ci tiene particolarmente che arrivi allo spettatore?
“Siccome le persone non avevano in nessun modo la possibilità, se non attraverso la visione di questo film, di sapere con esattezza cosa fosse avvenuto nell’aula del tribunale durante le udienze del processo a carico di Park Tae-ju, mi sono impegnato molto nel rappresentare il più fedelmente possibile la realtà di quello che è accaduto”.
In che modo l’avere raccontato questa vicenda e una figura realmente esistita l’ha responsabilizzata?
“La responsabilità in quanto tale l’ho provata in primis nei confronti del protagonista della vicenda. Quello che mi sono prodigato a fare è stato cercare più materiale possibile su di lui e documentarmi al meglio sui fatti, al punto da rendergli giustizia ed essere sicuro abbastanza che il mondo, guardando il film, non potesse obiettare sulla veridicità di quanto narrato. E ci sono volute lunghe e approfondite ricerche prima che riuscissi ad acquisire tale sicurezza, la stessa che penso e spero di avere trasmesso al pubblico”.
Choo Chang-min: “credo che sia più interessante per me andare a esplorare qualcosa che c’è già stato, piuttosto che creare storie nuove”
Ripensando alle sue pellicole precedenti, in particolare a Masquerade, sembra che la sua attenzione sia rivolta principalmente al passato. È perché lo ritiene più interessante o è semplicemente il suo modo per parlare dell’oggi attraverso le azioni e gli errori di ieri?
“Mi sto accorgendo che la mia attenzione è sempre più focalizzata su contenuti, produzioni e opere che riguardano il passato come mi stai puntualmente facendo notare tu. Ad oggi credo che sia più interessante per me andare a esplorare qualcosa che c’è già stato, piuttosto che creare storie nuove. Questo per dire che non c’è un vero e proprio modus operandi o una volontà specifica, ma semplicemente un interesse e uno stimolo maggiore nei confronti del pre-esistente, di figure realmente accadute e di storie vere. Anche il mio prossimo progetto, stavolta seriale dal titolo Takryu, che il pubblico potrà vedere tra qualche mese su Disney+, è un dramma storico ambientato nel passato, per la precisione durante la dinastia Joseon, l’ultima e più longeva confuciana in Corea. La serie segue le vicende di un uomo che da gangster nel porto Mapo del fiume Han diventa una vera e propria leggenda a Joseon grazie al suo corpo e alle sue abilità marziali”.
Le sue opere hanno sempre una natura politica e affrontano tematiche sociali complesse e dal peso specifico rilevante. Land of Happiness, piuttosto che Seven Years of Night ne sono la dimostrazione. Ma in tal senso si sente più libero di esprimere le sue idee come regista o come uomo?
“La ragione per cui faccio il regista è per poter comunicare con il mondo. C’è chi lo fa con la musica, la scrittura o la pittura ad esempio, io ho scelto di farlo attraverso dei film. Ecco perché non scindo mai il Choo Chang-min uomo essere umano dal Choo Chang-min cineasta. Pensano e si esprimono all’unisono, perché non sono due entità separate ma una cosa sola. Semplicemente do voce ai miei pensieri attraverso il linguaggio della Settima Arte”.
Choo Chang-min: “Credo che il ruolo che posso avere io come regista è quello di aiutare ad esprimere attraverso i mie film i diversi punti di vista e opinioni sugli accadimenti”

Credits: Florence Korea Film Fest – Daria Ivleva
Masquerade e Seven Years of Night sono stati dei grandi successi commerciali e hanno riscosso grande consenso di pubblico e critica. Quanto questo ha influenzato o no i film successivi e in che modo è riuscito a gestire l’attesa da parte del pubblico e degli addetti ai lavori?
“Chiaramente il successo ottenuto da Masquerade in particolare ha portato con sé dei vantaggi. Se un’opera così dichiaratamente politica e poco commerciale e popolare come ad esempio Land of Happiness è riuscito a raggiungere discreti risultati, probabilmente è anche dovuto al seguito e alla credibilità che io e il mio cinema abbiamo acquisito e dei quali possiamo godere grazie a quel film”.
Il conflitto nell’accezione più vasta del termine è un tema e una condizione che nella sua filmografia sono sempre centrali e declinati in modi diversi. Cosa ritiene che il cinema e gli artisti in generale possono fare e dire a riguardo, specialmente in un’epoca dove i conflitti armati e non sono all’ordine del giorno?
“Ritengo che il pensiero e la voce del singolo siano molto importanti. E ancora più importante è secondo me la diversità e la varietà dei punti di vista e delle opinioni. Ma ancora di più è fondamentale rispettare questi diversi punti di vista che ci possono essere. Credo che il ruolo che posso avere io come regista è quello di aiutare ad esprimerli attraverso i mie film”.