Claudio Bisio racconta Una terapia di gruppo: “Sono sei personaggi in cerca d’analista” [VIDEO]
Claudio Bisio, Margherita Buy e il resto del cast sono a Roma per presentare alla stampa Una terapia di gruppo. Regia di Paolo Costella, in sala dal 21 novembre 2024 per parlarci di salute mentale, divertendo.
Ha fatto un bel giro prima di arrivare in Italia, Una terapia di gruppo. Regia di Paolo Costella, nelle sale italiane il 21 novembre 2024 per Warner Bros. Entertainment Italia che produce insieme a Picomedia, è il doppio adattamento dell’originale francese – teatrale – “Toc Toc” di Laurent Baffie e del successivo adattamento spagnolo di Juliàn Quintanilla. Roberto Sessa, produttore per Picomedia, non nasconde le difficoltà del progetto. “È stata una scommessa, una bella sfida. Abbiamo recuperato tanto materiale dalla pièce francese che ha avuto uno straordinario successo nel mondo, in America Latina e in Spagna, soprattutto, mentre in Italia è arrivata con una produzione off/off. Però ci serviva il cast giusto. Ci siamo detti: se non lo troviamo, potremmo farci del male”. Il cast è arrivato. Claudio Bisio, Claudio Santamaria, Margherita Buy, Valentina Lodovini, Lucia Mascino, Ludovica Francesconi e Leo Gassmann. Sono in sei, sei più uno, contando la segretaria Lucia Mascino. Sei pazienti affetti da disturbo ossessivo compulsivo (DOC) costretti dalle circostanze – il medico non c’è e non si sa quando torna – a condividere lo studio per una folle e scatenata autogestione travestita da terapia di gruppo. Molte sorprese in serbo per lo spettatore, meglio non anticiparle.
Valentina Lodovini, che nel film è Bianca, ossessionata dalla pulizia e refrattaria al contatto, è “affascinata dei testi teatrali. Qui lo sono anche dagli attori con cui condivido la scena. Voglio bene a Bianca, mi richiedeva responsabilità visto che oggi ci sono tanti tabù sulla malattia e la morte – sono paure che abbiamo tutti – e mi interessava raccontarli, e che si parlasse anche delle ferite provocate dai disturbi ossessivi, ma sempre con il sorriso. Erano tanti, i fattori delicati e vulnerabili che rendevano prezioso il progetto”. In equilibrio tra il centro e i margini della storia è Lucia Mascino. Lei è Sonia, la segretaria del dottor Stern; tenere a bada i pazienti quando il dottore non c’è la porta un po’ al limite.
Del film apprezza che “tratti una materia vera, quotidiana. Parla dell’uomo, della società. Qualunque mania ben coltivata può renderti migliore, lo dico spesso ma non sono parole mie, è una citazione. Questo film parla di sostanza, di qualcosa di corposo, usando la commedia; è bello cicciotto, di qualità. Il punto di partenza del mio personaggio era solo accennato, è stato Paolo a darmi carta bianca. Un’esperienza di rara felicità: mi sentivo sicura in mano a protagonisti così forti, quando non hai l’ansia di essere il pilastro centrale sei meno stressata. Paolo mi ha dato tanta fiducia, poi, trovare i ritmi comici giusti, con questi attori, non era difficilissimo. Più che altro, bisognava stare attenti a non ridere!”.
Una terapia di gruppo racconta il trauma, servendosi della commedia
Nel cast larghissimo di Una terapia di gruppo – qui sopra la nostra videointervista al cast – Claudio Bisio è Federico, affetto dalla sindrome di Tourette. Comincia chiarendo gli antefatti. “Si tratta di una commedia teatrale francese da cui gli spagnoli hanno tratto un film; ci siamo ispirati soprattutto ai francesi. L’abbiamo girato d’estate, in un appartamento a Roma, ai Parioli, con quaranta gradi, un caldo mostruoso”. Adora la complessità dei personaggi. “Per il lavoro d’attore, la natura complessa dei personaggi è una libidine totale. Abbiamo regalato a Paolo Costella infinite possibilità di montaggio”. Non è stato facile mettere in piedi una rappresentazione leggera, giocosa e non superficiale della malattia, senza banalizzare e senza offendere. “Con le ossessioni compulsive, la differenza tra patologia e fisiologia è la gravità. Se superano una certa soglia, diventano una patologia. Per me è un gioco non calpestare le righe quando cammino, se poi diventa un’ossessione è un’altra cosa. Ci siamo molto documentati, la figlia di un mio carissimo amico ha la Tourette e ci ho parlato – in genere si pensa che capiti solo agli adulti – perché c’era la paura di offendere, ma lei mi ha detto: più se ne parla, più va bene. Mi ha ringraziato”.
Margherita Buy è Annamaria, maniaca del controllo. Del film, la colpisce l’idea “di riconoscere un disagio. Molta gente vive male queste situazioni, il che può portare a conseguenze disastrose. È una commedia, però l’idea di avvicinarci a persone che ci possono aiutare è un messaggio corretto. La gente fatica a ammettere di avere questi disturbi, come il mio personaggio. Ma parlarne può solo fare bene, è importante”. La pensano così anche Leo Gassmann e Ludovica Francesconi. Lei è Lilli, maniaca della simmetria che ripete sempre tutto due volte. “Sembra una cosa negativa parlare di queste cose. Il film tramite la commedia condivide due temi”, spiega Ludovica Francesconi, “una richiesta di aiuto e il bisogno di normalizzare le cose, anche se questo non è il termine corretto”. Dei tanti disturbi raccontati dal film, quello di Leo Gassmann è il più moderno, esteriormente. Otto vive incollato al cellulare perché ha paura di rimanere tagliato fuori. “Parlare di queste cose è importante, come è importante mostrarsi per ciò che si è, valorizzando quelli che da fuori ci sembrano problemi. I personaggi trovano il modo di conviverci e di sentirsi meno soli. Spesso siamo schiacciati dalla realtà e ci sentiamo inermi, non capendo che la differenza sta nel come reagisci alle notizie che ricevi, agli ostacoli che la vita ti mette davanti.”.
Paolo Costella, che dirige su sceneggiatura di Michele Abatantuono e Lara Prando, non chiede al film più di quanto possa offrire. Una terapia di gruppo non ha la pretesa di cambiare il mondo ma, se “la terapia si allargasse al buio della sala, in modo che qualcuno, senza sentirsi giudicato, si sentisse di dare voce a un proprio malessere, sarebbe fantastico”. Le ispirazioni, oltre la doppia fonte francese e spagnola, sono “Verdone, Altman. Ma sono riferimenti visti e subito dopo dimenticati, come deve essere. In alcuni casi abbiamo aggiunto delle cose: per il personaggio di Claudio Santamaria, la mania di accumulo che si aggiunge all’aritmomania (bisogno di contare continuamente le cose, ndr) ci è stata suggerita da specialisti”. Sul set, ha aiutato molto il fatto di aver girato tutto “in ordine cronologico”, spiega Claudio Bisio, “così la terapia di gruppo è stata una terapia di lavoro. Loro sono sei personaggi in cerca d’analista“. Parole al miele per i colleghi. “Con Valentina avevo fatto quattro film, con Lucia tre. Non conoscevo Ludovica, che è stata una scoperta, come Leo”.
Valentina Lodovini ha adorato dare vita a Bianca perché “ho la fortuna di essere empatica. Ho sempre vissuto la diversità come una ricchezza. Io ci ho visto tante cose, nella storia. È uno specchio per riflettersi senza raccontarsi bugie. Di fronte a situazioni così, che fai: ti giri dall’altra parte? Hai disinteresse? L’importante è non restare in silenzio”. Il film, spiega, aiuta a capire il cinema. “Il successo dipende dall’energia tra il cast. Devo fare un grande ringraziamento a Claudio Bisio, perché era difficile trovare la giusta distanza con un personaggio come Bianca, il cui disturbo è indotto. Sono arrivata alla fobia partendo dall’esterno. A volte era dura, e Claudio ogni volta mi invitava a ricordare che ci muovevamo all’interno del genere comico. Mi ha fatto capire che, umanamente, si può raccontare un trauma in una commedia. Bianca ha subito un trauma e questo trauma la porta lì”.
Come il cast gestisce l’ansia, sul set e fuori
Lucia Mascino, interrogata sul senso di Una terapia di gruppo, risponde così. “Parla di spostarti da te stesso e relativizzarti. Mi sembra che da un po’ di tempo a questa parte ci sia una nuova ondata di giudizio, per questo è importante affrontare argomenti del genere. È la vergogna che uno si porta dentro, che agisce da freno. Mi ha commosso molto il momento in cui il personaggio di Claudio Bisio abbatte i suoi limiti”. Lavorare a un film simile, sopra le righe nei toni e dalla spiccata claustrofobia – sette attori in una stanza – è stata un’esperienza molto stimolante. “Era come se ci fosse un film dentro il film. Ricordo che, i primi giorni, Leo si presentava sul set e salutava Margherita usando il suo linguaggio, che è molto giovanilistico. Abbiamo pensato tutti che non l’avrebbe presa bene! Infatti, quando lui si ripresentava parlandole nello stesso modo, lei rispondeva: ah, ma allora tu parli proprio così? Claudio Santamaria, poi, portava sul set un’ossessione tutta sua: aveva cominciato a studiare l’arabo e noi non capivamo se si trattava di un vero interesse o era una preparazione ossessiva per il personaggio. Comunque, in questo lavoro devi essere abituato alla follia degli attori!”.
La salute mentale conta, anche al cinema. Per Margherita Buy,“tante cose orribili che stanno succedendo in questi anni dipendono dal fatto che ci sono ragazzi che non hanno chiesto aiuto, o forse non sono stati osservati a sufficienza. Sono assolutamente a favore dello psicologo nelle scuole, ma capisco che devi essere bravo e fortunato a trovare quello giusto, non sono tutti uguali. La salute mentale è importante quanto la salute fisica. O, almeno, così dovrebbe essere, soprattutto dopo il Covid”. Il contributo più interessante, in questo senso, lo fornisce Ludovica Francesconi. Parla della sua esperienza, senza filtri. “Appartengo a una fascia d’età per cui lo psicologo non era ancora un’opzione. Io chiesi di andaci a scuola e mi dissero di mettere un bigliettino in una scatola. Mentre lo facevo c’era il bidello che mi guardava, poi portava il biglietto in segreteria e quando venivo ricontattata si ripresentava in classe e mi parlava come se andare dallo psicologo fosse una cosa terribile, che nessuno doveva sapere. La vera fatica era andarci!”.
C’è un però problema materiale, evidenzia il pragmatico Leo Gassmann. “Bisognerebbe rendere accessibile andare dallo psicologo, sono d’accordo. Ma il problema è che non tutti possono permetterselo, economicamente”. Quando gli chiedono, lo chiedono anche ai colleghi, come gestisca l’ansia nella vita e nel lavoro, risponde così. “L’ansia ce l’ho quasi sempre, tutto il giorno, ma a un livello molto basso. Passare del tempo con bella gente aiuta!”. Per Margherita Buy, la ricetta per curare l’ansia consiste nel “parlare. Nel momento in cui ti senti ansioso, parlare aiuta”. Sentimentale e delicata è la formula di Paolo Costella. “Io penso ai volti delle persone con cui ho lavorato in passato e che mi hanno trasmesso qualcosa”. Conclude Ludovica Francesconi, legando lavoro e privato. “Ho scelto questo mestiere perché me la fa passare, l’ansia! Mi aiuta molto, parlare ad alta voce. Può sembrare una follia ma parlare, concretizzare, ti permette di avere il controllo sulle cose”.