Come un gatto in tangenziale 2: intervista a Paola Cortellesi, Antonio Albanese e Riccardo Milani [VIDEO]
Paola Cortellesi, Antonio Albanese e Riccardo Milani ci hanno raccontato come la storia alla base di Come un gatto in tangenziale - Ritorno a Coccia di Morto punti a ricordare al pubblico l'importanza della condivisione e del dialogo, anche e soprattutto tra realtà e persone estremamente diverse tra loro.
Dopo l’enorme successo raccolto nel 2017 con Come un gatto in tangenziale, la coppia composta da Paola Cortellesi e Antonio Albanese è pronta a riportare nelle sale tutte quelle persone che quattro anni fa hanno amato i loro rispettivi personaggi, Monica e Giovanni, tanto diversi tra loro ma anche per questo capaci di far ridere il pubblico e, perché no, anche fargli credere che in fondo non sia mai troppo tardi per cambiare se stessi e la propria vita.
Come un gatto in tangenziale – Ritorno a Coccia di Morto, questo il titolo del sequel (recensione QUI), dopo un’uscita esclusiva nel weekend di Ferragosto, uscirà nelle sale il 26 agosto. Noi di Cinematographe abbiamo intervistato i due protagonisti ed il regista del film, Riccardo Milani. Ci hanno innanzitutto raccontato un aneddoto speciale, relativo alle riprese dell’emozionante scena a Fontana di Trevi, ma non sono mancati riferimenti all’importanza del teatro per i ragazzi e, in generale, della condivisione per imparare a conoscere anche chi consideriamo molto distante di noi, nel carattere e nello stile di vita.
Come un gatto in tangenziale – Ritorno a Coccia di Morto, intervista a Paola Cortellesi, Antonio Albanese e Riccardo Milani: “L’ora di teatro a scuola? Sarebbe un gentile obbligo“
Nel secondo film si vede ancora di più come Monica e Giovanni si salvino a vicenda, completandosi. Cosa c’è, quindi, dietro quel ‘grazie’ che si dicono nella bellissima scena di Fontana di Trevi?
Antonio: Lì c’è un’esplosione. Diventiamo noi la fontana. Lì c’è tutto. C’è proprio una sorta di dichiarazione d’amore, di serenità, di conclusione. Son d’accordo con te. Quella è una scena intensa, nella sua delicatezza.
Paola: Ti dico una cosa. Io sono sceneggiatrice del film, insieme agli altri tre. Quel ‘grazie’ non era in sceneggiatura. Rappresenta una delle poche cose che abbiamo improvvisato e che abbiamo tenuto. L’abbiamo improvvisato in una delle tante inquadrature e Riccardo ci ha chiesto di tenerla. Ci ha detto ‘Dovete dirlo di nuovo’. Perché ci è venuto spontaneo, perché abbiamo vissuto, facendo quel percorso incredibile, che non era accessibile ma che in quel momento abbiamo potuto fare, dall’acquedotto alla Fontana di Trevi, un’emozione incredibile. E quel grazie ci è venuto a tutti e due spontaneo, è stata una parte improvvisata ma davvero è stato un momento di grande emozione. Che poi abbiamo ripetuto per le altre inquadrature ed è andato nel film. Mi fa piacere che tu abbia colto quella cosa lì perché noi raccontiamo la condivisione tra due mondi che probabilmente non si incontreranno mai nella realtà e che comunque fanno fatica a comunicare. Quella di Fontana di Trevi è stata un’emozione che abbiamo condiviso io e Antonio come persone ed è stato un momento particolarmente bello. Grazie per averlo ricordato.
Il pubblico vi ama perché siete autentici e riuscite sempre a mantenere un filo diretto con la gente comune. Ma cosa, secondo voi, ha fatto innamorare così tanto le persone della storia tra Monica e Giovanni? Forse la vedono come una favola moderna, in cui non c’è il principe azzurro ma comunque la possibilità di credere in un futuro migliore?
Antonio: Io sono tendenzialmente a metà tra Bastogi e Capalbio. Quello che Giovanni vede in questa donna è umanità, onestà e purezza. In Capalbio c’è una sorta di boicottaggio mentale, dettato anche da una preparazione tecnica ed una fortuna diversa, certo, però c’è una ghettizzazione che magari c’è anche a Bastogi però in questo caso risulta più forzata. Mentre da una parte c’è una fortuna ed è una scelta, dall’altra ci si ritrova così, in quel mondo. Io ho costruito il personaggio di Giovanni lavorando molto sulla purezza di questa donna che è bella e la purezza in una donna è la cosa più importante, la fa diventare più bella, più forte ed interessante. E questo emerge dal film.
Paola: La storia del film è nata come la capostipite di tutte le storie d’amore, Romeo e Giulietta, col matrimonio che non s’ha da fare, la storia delle storie. Credo che in molti nel primo film si siano immedesimati, nell’uno o nell’altro, o in mezzo a loro. Idem adesso, loro sono in eterna lotta perché poi rappresentano due mondi e due culture dello stesso paese ma completamente distanti e opposte. Sicuramente chi lo guarda ha un pensiero su chi abbia ragione, su quale sia l’atteggiamento giusto. L’auspicio è che questi due mondi si possano parlare e anche chi parteggia per uno o per l’altro possa capire le ragioni del personaggio opposto, un po’ come succede nel film. Si capiscono piano piano le ragioni dell’altro personaggio, ci si incontra, si comunica, e penso che questo in passato abbia dato forza a questa storia sin dall’inizio. Di fatto nel sequel si ripete, gli argomenti trattati sono legati a questo momento storico, a ciò che ci è capitato, capitanati dall’uno e dall’altro creano sempre lo stesso tipo di dibattito. Chi ha ragione? Chi pensa lungo, chi pensa corto, la ragione sta sempre da entrambe le parti, basterebbe comunicarselo. Solo che forse nella realtà questi due mondi non riescono tanto a comunicare.
Guardando il film vengono descritti i difetti della periferia ma emerge anche l’umanità di chi ci vive. Infatti Giovanni, dopo un po’ di titubanze, viene accolto meglio rispetto a quanto accade a Monica quando si avvicina agli ambienti altolocati di lui. C’è quindi qualcosa che la periferia potrebbe insegnare a coloro che socialmente vengono più stimati e accettati?
Antonio: Sì, può insegnare tante cose. Può insegnare che la vita è una gioia, che comunque la solidarietà che si trova moltissimo a Bastogi è salvifica. Che anche le cose più semplici sono importanti, che l’arrangiarsi è meraviglioso come comportamento. È proprio l’ingenuità che c’è in quel mondo che è interessante, uno sguardo sorpreso sul mondo che è interessante.
Paola: Questo succedeva anche nel primo film. Quando abbiamo terminato il primo film, abbiamo ipotizzato la storia tra questi due. La domanda finale era “tanto lo sai quanto dura questa storia” e la risposta era nel titolo, “come un gatto in tangenziale”. Ma questo non per loro che si erano finalmente venuti incontro ma per i loro mondi che non accettano l’arrivo di una persona così tanto avulsa dal loro contesto. La loro è una distanza difficilissima da colmare. C’è il vantaggio nel personaggio di Antonio che quel posto lui l’ha conosciuto, c’è stato con Monica ed adesso viene accolto in un altro modo. Monica per come agisce, per come parla, la conosciamo perché è tipo il parente che ti mette in imbarazzo, che parla a sproposito, che ti fa dire “oddio, perché ha detto quella cosa?”. Ci sono da entrambe le parti delle cose che si possono imparare. Il mondo di Giovanni è più accogliente per certi versi, nonostante poi ci sia un disagio che noi raccontiamo in commedia e, nonostante quella puzza sotto al naso, poi però c’è Giovanni che è l’apripista, è la persona autentica che magari si imbarazza per Monica però ne coglie anche la bellezza, la voglia di crescere. Lei vuole crescere con lui. È uno scambio alla pari e nel film Giovanni è avvantaggiato perché in quel posto c’è stato per un po’, poi magari dopo il primo film scopriamo che non c’è l’ha fatta a rimanerci, ma ormai è ben accetto.
Guardando il film viene in mente il detto “Dai un pesce e lo sfami per un giorno, insegnagli a pescare e lo sfami per una vita intera“. Voi siete dunque più per la praticità e per l’aiuto immediato, come nello stile di Don Davide (Luca Argentero, ndr) e Monica, oppure per i progetti a lungo termine che possono cambiare il futuro di più persone, anche se solo a distanza di tempo, come nel caso di Giovanni?
Antonio: Dipende. Nel caso del film anche la prima versione non è male ed è ben adottata, però credo che sia molto più importante prepararsi a lungo termine per poter rendere un po’ la tua vita e quella dei tuoi figli più serena. Non a caso, io credo che una preparazione e una educazione più attenta sia sempre più importante. Io ad esempio darei agli insegnanti di elementari e medie un busto in bronzo al Quirinale, perché sono le persone più importanti del mondo, che formano, che trasmettono il sapere, la curiosità e la voglia di migliorare. Anche se spesso invece vengono trattati come gli ultimi, quelli laterali che non vengono mai visti. Invece è così bello stare insieme. Gaber diceva che ‘la libertà non è stare su un albero ma è partecipazione’: niente di più vero. Partecipare per poter stare tutti meglio insieme, perché se tu stai bene in un punto ma, più laterale a te, in una periferia o in un’altra zona, non stanno bene, come puoi non pensarci? Altrimenti diventa un ghetto il tuo mondo, bello quanto vuoi… quindi bisogna cercare di stare veramente più sereni. Questa è la più grande difficoltà, sin dalla notte dei tempi. C’è bisogno di tutti, dall’artigiano al netturbino e via dicendo, ma se a queste persone viene data una dignità, generale ed economica, tutti stiamo assolutamente meglio.
Paola: Io sono per entrambi, perché i progetti a breve termine servono e a volte serve qualcuno che faccia qualcosa di immediato per dare una mano. Però sono anche per i progetti a lungo termine. Una cosa non esclude l’altra. L’altra è qualcosa a cui abbiamo pensato durante il lockdown, quando vedevamo che si continuava a stare isolati. Le persone della nostra età hanno una consapevolezza ed vissuto tale da analizzare questa cosa in maniera diversa. I ragazzi e gli adolescenti hanno invece avuto problemi gravissimi in questo tempo, psicologicamente. Il pericolo maggiore è la mancanza di condivisione, ecco perché ci teniamo tanto che questo film esca nelle sale, perché è una forma di condivisone che non possiamo assolutamente dimenticare. E questo vale nella nostra storia e per tutte le altre forme di condivisioni, artistiche e non. Non sono per un progetto rispetto ad un altro, non si può dimenticare il progetto a lungo raggio, che non è palpabile ma poi è palpabile la crescita di un ragazzo, di una persona, altrimenti i suoi stimoli vengono cancellati e sarebbe una cosa grave nella crescita sia di un individuo che di un quartiere, di una città, di una nazione. Non si possono fermare gli stimoli senno si ripetono mantra odiosi come quelli che ripete Monica, diventa un pensiero di quartiere e di cortile.
A proposito di cultura, di recente Pierfrancesco Favino ha parlato dell’importante dell’ora di cinema e teatro a scuola. Questo potrebbe essere un primo passo per cambiare le cose alla radice e cosa acquisirebbero, dal punto di vista umano, i ragazzi da questa esperienza?
Antonio: Innanzitutto col cinema e teatro tu racconti altre vite e fai scoprire altre vite, senza allontanarti. Entri nelle vite di altre persone e scopri come sono gli altri mondi. Io renderei obbligatorio il teatro nelle scuole perché il teatro è aggregazione e, a tratti, terapia. Il teatro si fa in gruppo e si è tutti uguali quando si fa teatro. Al di là del sapere di questo autore, etc, si parla di vivere il teatro, che è comunque vita. Bisogna farlo insieme, non si può far da soli e questo è importante. È un’occasione per capirsi e capire che siamo tutti uguali, con delle fortune e delle sfortune, ma comunque tutti uguali. Chi dice che con la cultura non si mangia o cose tipo ‘Hai fatto il classico, greco antico, che palle’… ma come ‘che palle’? Chi ha fatto il classico, facci caso, sono quelli che scrivono meglio, hanno più fantasia, perché ti si dilata la mente. Noi tutti abbiamo un potenziale straordinario e la cultura è un’occasione per dilatare questo potenziale.
Paola: Sono completamente d’accordo. Io spero che presto si metta mano a questo progetto e si inserisca l’ora di teatro (o anche di più) nel programma scolastico, e non solo come attività a latere. Non lo devi scegliere perché interessato a fare quello nella vita. Se fosse materia di studio, sarebbe bellissimo. Immagina: inizia l’ora, ci sarebbero ragazzi disinteressati che però poi vedrebbero gli altri fare qualcosa di nuovo, di bello e di divertente. L’ora di teatro significa mettersi in gioco, vincere delle timidezze, riuscire a parlare in pubblico. Anche se qualcuno facesse altro nella vita, tipo presentare un progetto di ingegneria che non c’entra niente col teatro, pensa quante possibilità in più nell’esprimersi avrebbe questo individuo nella vita. Quindi credo sia importante, adesso più che mai, per staccare i ragazzi dai loro interessi che li chiudono in camera, che li isolano davanti ad uno schermo, che va benissimo, però bisogna ripartire dalla scuola per cercare di far vedere quanto sia più bello condividere le cose. Il teatro a scuola diventerebbe un gentile obbligo. A provare, almeno a provare, a stare con gli altri. Fare il teatro significa anche imparare a rispettare gli altri ed avere una responsabilità. Quando sei in scena, magari sei responsabile di un oggetto: se quell’oggetto non si trova in un determinato momento sulla scena, perché l’attore che c’è prima lo deve mettere esattamente lì e l’attore che c’è dopo lo deve trovare esattamente lì perché è un oggetto importante per la narrazione, tu hai creato un problema al tuo compagno. È un esempio piccolo che però fa capire quanto invece con un allenamento del genere si possa imparare a condividere le cose che sono in scena, a costruire insieme una scena, ad occuparsi degli altri e degli oggetti degli altri. Il teatro è una pratica sulla memoria e sulla preparazione, sull’esserci in quel momento, essere presente con la testa e con la concentrazione. È una palestra per la testa importantissima. Insomma, il teatro a scuola sarebbe una grande opportunità per i ragazzi.
Antonio, c’è qualcosa di specifico di Giovanni in cui ti riconosci e altro che invece dici ‘assolutamente no’?
Antonio: ‘Assolutamente’ no. Io sono esattamente in mezzo. Io vengo un po’ più da Bastogi che da Capalbio però mi ritrovo, per il mio lavoro e per la mia curiosità, anche dall’altra parte. Per fortuna, proprio perché continuo a fare il mio lavoro e sono curioso, mi piace continuare a scoprire Bastogi ma scoprire anche Capalbio, quindi capire cosa c’è da una parte e cosa c’è dall’altra. Solo così puoi permetterti di dire cos’è una parte o cos’è un’altra. Io ho conosciuto uno scrittore che viveva a Milano e in quel periodo, anche grazie agli amici, lui frequentava mille cose, rassegne di cinema africano, cinema gay, andava a teatro ed era curiosissimo, scriveva delle cose fantastiche. Dopo la laurea è tornato nel suo paesello, lontano un po’ da tutti, e dopo un anno e due si è spento piano piano, non ha più scritto niente di interessante. Questo non perché uno deve vivere per forza a Milano, puoi anche vivere in un paesino, però lui si è atrofizzato. Non gli interessava più fare quei 20 km per frequentare gli eventi, aveva ritrovato una comodità ed era diventato sedentario. Se uno si affida ad uno sguardo culturale, ci guadagna sempre. Io dico sempre ‘andate comunque al cinema’, anche se non sai che film è, fa comunque bene frequentare. Al di là che nelle sale ci si può incontrare, baciare, accoppiare ed è sempre bello (ride, ndr), ma poi c’è ben altro, e quel ben altro ti può dare di più. Io lo posso dire, perché vengo da un piccolo paesino ed ero lontano da quei contatti. Poi ho scoperto i primi contatti a Milano, frequentando prima la scuola di teatro e poi l’accademia, ed io veramente ringrazierò sempre quelle persone che mi hanno insegnato sempre qualcosa di nuovo.
Secondo voi, quindi, Monica e Giovanni hanno raggiunto nuove consapevolezze per farci credere che stavolta tra loro durerà più di un gatto in tangenziale?
Antonio: Secondo me sì, diciamo che si sono assestati. Lei da una parte e lui dall’altra, ma soprattutto hanno scoperto che tra di loro c’è alchimia, c’è passione, c’è amore, c’è comunque un’intesa molto serena e quasi totale. Riguardo ad un possibile terzo film chissà, io non credo però non si può mai sapere. Anche dopo il primo avevamo detto ‘bella esperienza, stop’, poi però Riccardo Milani ha presentato il film in un oratorio, ha conosciuto meglio questo mondo meraviglioso, ed ha trovato un motivo valido per fare un sequel. Chissà, noi stiamo seguendo il tempo, a me poi piace particolarmente seguire il tempo, vedere come cambiano le cose, i colori, gli sguardi, le delusioni, le gioie, quindi vediamo un po’.
Paola: Difficile dirlo, considerato come finisce il film e l’arrivo di nuove complicazioni. Però sì, si può sperare perché c’è stato un nuovo scambio tra loro. Questa è la storia di una crescita che passa attraverso questi due personaggi, emblema di due parti così distanti, però dentro a questi due singoli individui ci mettiamo due facce della nostra società. Ciascuno dei due rappresenta tante persone.
Monica guarda i due volontari che aiutano in biblioteca e non concepisce la scelta di fare qualcosa per qualcun altro senza ricevere nulla in cambio. Eppure lei non perde tempo quando si tratta di aiutare gli altri, seppure a modo suo (dando la testata al tizio violento, riattaccando la corrente in maniera illegale). Possiamo considerarla, quindi, una Wonder Woman di borgata?
Paola: Sicuramente lo è. Perché in borgata lei è un punto di riferimento, proprio perché ha quel carattere così risoluto. Però lei non ne ha coscienza, lei alla fine fa le stesse cose (male e illegalmente, bisogna dirlo) però ha i suoi metodi, quello è il suo metodo, l’unico che conosce, e solo attraverso Giovanni conosce le sue potenzialità. Lei le cose le fa istintivamente, perché lei si rimbocca le mani e le fa per uno spirito autentico di partecipazione ma non saprebbe fare un’analisi di questo, lo fa inconsapevolmente, così come ripete il mantra ‘Con la cultura non si mangia’. Poi però abbiamo mostrato le parti migliori di queste due parti di società, e tra migliori speriamo che possano capire l’uno il bisogno dell’altro.
Progetti futuri di entrambi?
Antonio: Mi sto accordando con Riccardo Milani perché c’è l’intenzione di fare un film insieme, spero già da ottobre. Un film su una storia molto bella, per cui sarà un continuo con Riccardo. Con Paola ci riuniremo sicuramente in futuro ma non nell’immediato.
Paola: Ho finito pochi giorni fa, a metà luglio, le riprese della seconda stagione di Petra, che sono durate quattro mesi e mezzo. Presto uscirà questa seconda stagione. È stato molto bello ed impegnativo, visto il momento. Però è stato bello farlo, lavorare ad un altro progetto, nonostante le difficoltà. Ci sono tanti set in giro, ci sono molti lavori che sono partiti e questo mi fa ben sperare per il futuro.