Cristiano Giamporcaro parla de La ricomparsa delle lucciole: “l’infanzia è un’opera di ricostruzione”

Cristiano Giamporcaro parla de La ricomparsa delle lucciole, un film che parla di Sicilia, di infanzia, che cita e per certi versi decostruisce Pasolini.

L’emozione che sale su fino a produrgli una smorfia di gioia, che esplode vivace, scuotendolo e scuotendoci dalle fondamenta. Cristiano Giamporcaro si è presentato al Sole Luna Doc Film Festival 2024 con un mediometraggio intimo, atavico, poetico, che ci ha costretti ad aggiungere un secondo premio e a fregiarlo della Menzione Speciale Cinematographe.it.
Questo ragazzo dagli occhi che puntano alle stelle, nato e cresciuto “nell’entroterra siciliano, dove la Sicilia si fa isola circondata dalle colline, dai campi di grano e non dal mare – sud del Sud – in una campagna ludica” che gli “è stata educatrice” e che adesso gli “è richiamo” riversa in La ricomparsa delle lucciole tutto il suo essere e stare al mondo.
“È il risultato della mia infanzia,” – racconta – “ma anche di un accumulo di sensazioni, esperienze e pensieri che si sono alternati nel corso degli ultimi anni. Si parte sempre da sé stessi, motivo per cui, le intenzioni iniziali, che in un modo o nell’altro si tradiscono sempre, erano quelle di riportare neorealisticamente l’esperienza di un bambino all’interno di questo territorio e in particolar modo quello delle Madonie. Così, dopo l’incontro con Giorgio, il protagonista, che è avvenuto grazie ad una pregressa conoscenza con suo fratello Mario, i primi passi, spontanei, mi hanno portato verso quella direzione. Entrare all’interno della sua vita, del suo quotidiano e dei suoi conflitti personali – un film intimista dunque – mi sembrava il modo migliore per raccontare la sua storia, ma l’infanzia non è altro che un’opera di ricostruzione che mettiamo in atto da adulti, è un ricordo, più vicina ad un sogno che alla realtà obiettiva delle cose.

Cristiano Giamporcaro La ricomparsa delle lucciole cinematographe.it

Così” – ci spiega il regista – “nasceva l’idea di Giorgio-personaggio che, pur essendo documentato durante alcuni episodi del suo quotidiano, si fa rappresentazione e portavoce dell’infanzia come stato della memoria e non più delle sue sole esperienze individuali. Rispetto al resto del film, cioè il racconto del territorio e del pastore, quello dell’entroterra siculo è un luogo che nonostante sia stato affetto dal passaggio di vari periodi dell’umano, mantenendoci nella storia più recente, prima quello della cultura contadina e poi quello della cultura industriale, mantiene una sua verginità all’interno della quale tutto ciò che è frutto delle azioni dell’uomo a suo tempo viene riassimilato. Così i meccanismi umani di creazione, mutazione e distruzione, prostetici in quanto in primis propri dell’Universo, si disperdono in un flusso temporale antico quanto il tempo stesso che ne ridimensiona la gravità.

La ricomparsa delle lucciole cita e decostruisce la “scomparsa delle lucciole” di Pasolini

La ricomparsa delle Lucciole_Cinematographe.it

Parlando del rapporto tra naturale e artificiale che si evince nella sua opera, Giamporcaro cita Pier Paolo Pasolini, facendo riferimento a un noto articolo pubblicato sul Corriere della Sera nel febbraio del 1975: “Pasolini usò sapientemente la metafora della scomparsa delle lucciole per illustrare come la società industriale stesse progressivamente distruggendo il rapporto tra uomo e natura e tra uomo e sé stesso, ma in un territorio come quello madonita – Giorgio e il pastore ne sono la prova – la sua tesi trova fortunatamente delle contraddizioni. Il titolo del film non è sintomo di speranza ed ottimismo, anzi, attinente al reale, è figlio di un Tempo senza tempo all’interno del quale l’uomo è uno tra i tanti co-protagonisti. Ambienti ed abitanti non sono altro che rappresentazioni di epoche e flussi che vengono assoggettati da leggi naturali-universali che ne ridimensionano la posizione nel mondo.

Cristiano Giamporcaro e la critica allo Stato

C’è molta naturalezza, nel cinema di Cristiano Giamporcaro, ma non per questo manca un contatto autentico con l’attualità, col mondo in cui vive. Così, quando gli domandiamo se la Sicilia in cui vive adesso è simile a quella in cui vorrebbe vivere, risponde che “sarà il ricordo d’infanzia di qualcun altro, mentre alcuni siciliani con le loro politiche regionali e territoriali dovrebbero essere il ricordo di nessuno di noi, un ricordo mancato, ma loro non sono altro che sintomo di una politica nazionale ultra-decennale che sbaglia direzione, e non importa se va a destra o a sinistra”

Riallacciandosi a questo pensiero e alle possibilità che potrebbe avere un giovane regista nel nostro Paese, l’autore de La ricomparsa delle lucciole ci spiega: “Come si può evincere non nutro speranze né rispetto al ruolo dello Stato né rispetto allo stato della nazione, – qualcuno li avrà pur votati nel corso di questi anni – certo, negli ultimi mesi abbiamo visto che poteva andare peggio, ma già da prima dell’attuale governo la situazione non era paradisiaca. Credo che il cinema, così come quasi tutto il resto, si possa fare circondandosi di amici, di esseri umani che possano a loro volta smentire le previsioni pasoliniane, ma non solo, rispetto alla ricerca di un potere che, esteso o circoscritto che sia, determina una verticalità nei rapporti, salotti d’élite, centri di produzione impolverati e più vicini ad un ospizio – abitato anche da giovani – che a luoghi in cui il pensiero e la creatività si fanno pulsanti e liberi da dinamiche capitalistiche, egocentriche e frutto della cultura di Stato. La Ricomparsa delle Lucciole esiste grazie a questi amici, a Mario e Giorgio che mi sono stati fratelli acquisiti, a Federica Di Giacomo che mi ha ascoltato ed ha alimentato le mie curiosità e le mie necessità stilistiche, a Petra Pirandello che ha seguito il film durante la fase di montaggio e senza la quale sarebbe stato impossibile raggiungere la forma finale alla quale si può assistere oggi, sarebbero moltissime altre le persone che dovrei ringraziare e che ho già ringraziato in separata sede, ma tra queste non c’è Stato o centro di potere che mi sia amico. Per concludere, dunque, sta a noi assumerci le nostre responsabilità e nel nostro piccolo, come Giorgio, compiere delle azioni che piccole non sono per creare realtà più sane, più vitali e più oneste“.

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