Dobbiamo parlare: incontro con il cast e Sergio Rubini
Presentato alla Decima edizione della Festa del Cinema di Roma, Dobbiamo parlare è il nuovo film tra dramma e commedia di Sergio Rubini, qui attore, sceneggiatore e regista di un prodotto cinematografico di impianto teatrale che parte dall’importanza e la potenza delle parole. Rubini insieme al cast tecnico ed artistico (Fabrizio Bentivoglio, Isabella Ragonese, Maria Pia Calzone) ci parla del suo ultimo lavoro.
Dobbiamo parlare racconta con le risate temi disperati: Sergio, fino a che punto gli elementi di scrittura, recitazione e drammaturgia hanno influito sull’idea del film?
Avevo uno spunto per una commedia, una coppia in crisi che piomba dentro casa di un’altra coppia di amici per via di un problema e alla fine della nottata le persone che dovevano aiutare scoppiano, mentre chi aveva bisogno di una mano se ne va risollevato. Con Carla Cavalluzzi abbiamo individuato chi ci avrebbe accompagnato in questa avventura ed essendo un film di parola abbiamo cercato un personaggio più proveniente dai libri rispetto a qualcuno che venisse dal cinema o dal teatro, siamo così approdati a Diego De Silva. Dopo lo spunto sono passato ai personaggi che già ben avevo individuato in mente e si sono mano a mano arricchiti con la scrittura. Si può dire quindi che il mio punto di riferimento è la commedia all’italiana, non volevo fare un film claustrofobico, ma un racconto brillante che fosse cinematografico. Ho pensato poi che provare a teatro era il miglior modo per confrontarsi con il pubblico e capire gli elementi di approfondimento che servivano, il registro dei personaggi, cosa mettere in evidenza, cosa non funzionava, il pubblico ti dà una risposta immediata e queste indicazioni possono essere davvero utili. Ma ci tengo a precisare che ho scritto qualcosa per il cinema, non per il teatro.
Durante la nottata i protagonisti di Dobbiamo parlare cambiano, come avete interpretato il mutamento personale? Avete trovato utile provare a teatro di fronte ad un pubblico per trovare la chiave di svolta dei personaggi?
Maria Pia: Abbiamo avuto la fortuna di fare un periodo di prove e poi presentare ad un pubblico il nostro lavoro. Questo ci ha permesso di verificare cose che ognuno aveva pensato per il proprio personaggio. Personalmente mi sono attaccata molto alla realtà per il mio ruolo, cercando di guardare al personaggio con onestà, senza giudicarlo per restituirlo al pubblico in maniera autentica. Sono partita da un’idea che ho sull’amore e le sicurezze che questo, ma anche il denaro, porta. È stato il mondo da cui sono partita, il pubblico ha poi costruito il personaggio insieme a me.
Fabrizio: Per me è valsa la stessa cosa di Maria Pia. L’esuberanza fuori dal comune del Prof è stata provata e costruita per gradi davanti al pubblico. Nel cinema si prova poco e poi ci si ritrova davanti alla macchina da presa dove si bisogna avere invece subito una chiave di lettura. Qui abbiamo avuto la possibilità di cercare insieme il personaggio e ciò ci ha dato la possibilità di essere più consapevoli di quello che stavamo facendo.
Isabella: Ci sono state due cose fondamentali per me in questo film: il privilegio di poter provare prima e perciò la possibilità di portare un gruppo con un proprio ritmo sul set. Spesso il lavoro dell’attore è solitario, invece le prove aperte hanno dato modo di rendere credibile l’amicizia tra le due coppie. Linda è un personaggio imploso, difficile da definire poiché in trasformazione, è un confine oltre il punto di non ritorno.
Sergio, questa volta la storia è forse più impegnativa di altre che ti sei trovato a girare e ti trovi in scena per tutta la durata del film: ti è mai pesato il doppio ruolo di regista e attore?
Faccio questo mestiere ormai da anni e i due lavori non vanno per niente d’accordo: si spingono uno da una parte e uno dall’altra, il fatto di farli insieme e sintomo di una schizofrenia conclamata con cui ormai ho preso anche un certa dimestichezza. In altri film mi sono ritagliato parti più piccole per poter seguire di più il progetto e sentirmi meno scontento come attore visto che altrimenti sarei stato costretto magari a girare le mie scene a fine giornata per non perdere troppo tempo.
Ciò che emerge dal film è la pericolosità della parola, non è che vedendo il film uno potrebbe pensare che a volte è meglio tacere oppure parlare prima?
Una cosa di cui il film parla è che l’idea del parlarsi non è il presupposto della sincerità, ma è l’approdo. Quando una coppia si guarda negli occhi sa di cosa bisogna parlare, per questo scappiamo. Il parlare è l’accadimento del momento sentimentale, non è una condizione di partenza.
Una domanda ad Isabella: Linda alla fine è l’unica che compie un atto di coraggio, lei che sembrava la più fragile è forse la più forte in realtà, è perché tra tutti e quattro è la più giovane?
Isabella: La straordinarietà di questo personaggio per me come attrice e come trentenne è che fotografa una generazione a cui appartengo. Mi ha molto colpito e in un qualche modo ferito interpretare questo ruolo che in una cornice da commedia vede la paura di proporre le nostre idee al mondo, di costruirsi il proprio futuro. Il passaggio dalle parole all’azione è il segno della speranza.