Esclusiva! Donatella Finocchiaro: “La mia Irma Mattarella e il ricordo di Pietro Coccia”
La conversazione a tutto campo con una delle attrici più importanti del cinema italiano, in occasione del suo nuovo film, Il delitto Mattarella. Ma anche qualche anticipazione su Le sorelle Macaluso di Emma Dante, e il ricordo del fotografo Pietro Coccia
Abbiamo incontrato Donatella Finocchiaro per parlare del suo nuovo film, Il delitto Mattarella, diretto da Aurelio Grimaldi, e in uscita il 2 luglio con Cine1 Italia. Vincitrice di 2 Globi d’Oro, l’attrice è uno dei volti femminili più importanti del nostro cinema. Ha interpretato anche molti personaggi realmente esistiti, tutti legati a fatti di cronaca ma anche alla lotta contro la mafia. Per Grimaldi interpreta Irma Mattarella, moglie della vittima di mafia Piersanti Mattarella, fratello del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Lo stile della Finocchiaro si nutre di una naturalezza che la fa stare sempre perfettamente in parte, dipingendo ogni suo volto differente di modulazioni emotive giuste. Ottima caratterista, si sarebbe detto un tempo. Con lei abbiamo parlato anche del suo lockdown e dei suoi prossimi film, come Le sorelle Macaluso, diretto da Emma Dante. Catanese e dalla figura che non tradisce aspettative scontate sull’idealtipo estetico di donna della Trinacria, la sua capacità di interpretare la inserisce in un cinema sanguigno, veritiero e vitale come le donne delle quali ha indossato incisivamente i panni. E dire che la sua attività da attrice iniziò quasi per caso.
Donatella Finocchiaro si racconta in un’intervista esclusiva
Donatella, proviamo a partire dalle tue origini attoriali. Com’è cominciato tutto?
“Mi avvicinai a un corso di recitazione dopo una delusione d’amore. Cinque anni fidanzata con quello che credevo l’amore della mia vita e a vent’anni mi ritrovai con un vuoto da colmare. Da lì il primissimo incontro con il teatro, grazie al corso di Gioacchino Palumbo, a Catania. Nel frattempo studiavo per diventare avvocato e mi laureai in giurisprudenza. A me che ero così metodica, il teatro sconvolse la vita! Poi i provini per l’Accademia d’Arte Drammatica con la mia amica Stefania Cardullo, ora regista teatrale, e la Scuola del Teatro Stabile di Catania. Perché alla Silvio D’Amico superai la prima, ma non la seconda selezione. In tutto questo ero diventata quasi avvocato. Per un paio d’anni feci l’uno e l’altra. Ogni giorno divisa tra studio legale e scuola di teatro. Ma alla fine scelsi di fare l’attrice perché ebbi diverse conferme dal palcoscenico. Forse era proprio quella la mia strada”.
In questo film che esce il 2 luglio interpreti Irma Mattarella, una donna dalla personalità forte e anche cruciale dal punto di vista della cronaca per quello che rappresenta. Come hai vissuto il personaggio e come lo hai preparato?
“Ho parlato molto con Aurelio. Lui è anche un uomo di grande cultura politica. Ha studiato quel periodo storico molto caldo a Palermo in tutti i suoi intrecci politici. Devo dire che mi ha anche aiutato nella creazione del personaggio di Irma perché era una donna molto religiosa, paziente e una madre solare. All’inizio del film la componente familiare caratterizza profondamente il personaggio di Piersanti. Si vede lui come padre, lui come marito, come uomo. Si prepara per andare alla Messa dell’Epifania, e anche questo ce ne restituisce l’umanità. Ma poi arriverà la fortissima negazione subita da questa donna”.
Due forti negazioni la colpiscono infatti: una della famiglia, con il delitto del marito e poi la negazione della giustizia.
“Lo ha voluto sottolineare anche Aurelio. È una donna che non si dà pace. Mi ricordo che c’è la scena della confessione col prete dove lei si squarcia proprio in un pianto molto dolente. Non capisce perché a suo marito è successo questo. ‘Perché mi hanno privato dell’amore della mia vita, di mio marito, del padre dei miei figli?’ Sembra chiedersi. Forse la fede la aiuterà anche a sopportare questo dolore, ma in un soffio si dovrà trovare a riconoscere, al commissariato, una foto che potrebbe cambiare tutto. Quindi la negazione della giustizia. La storia è nota alle cronache, ma non spoilero il film”.
Hai fatto tanto teatro civile e adesso approdi nuovamente al cinema civile. Da siciliana, come vedi questa dicotomia su due binari: cinema di coscienza contro le mafie da una parte e dall’altra questo genere crime che estetizzata il crimine alla Gomorra, Scarface e Padrini vari?
“Si, ho sempre fatto cinema e teatro civili. Avevo fatto a teatro L’istruttoria, di Claudio Gioé, su Giuseppe Fava. E sono stati quattro anni di tournée. Riguardo al crime, il rischio dell’apologia ovviamente c’è. C’è sempre stato. Da Totò Riina, dal Padrino conosciamo la fascinazione del male nel racconto del crimine. Però ha fatto bene Bellocchio con il suo Traditore. Marco secondo me ha superato questa dicotomia proponendone un’altra: questo essere potente, ma allo stesso tempo fragile, incompetente, incongruente, umano. Non è il criminale perfetto come può essere il padrino, anche se magari non era perfetto neanche lui. Poi la dicotomia che intendi tu dipende anche un po’ dai valori attuali delle persone. Io sono cresciuta con un padre che mi ha sempre parlato di giustizia e di valori, perciò Il Padrino non mi colpisce più di tanto. Anzi, non mi fa impazzire, diciamo così”.
Invece torniamo all’attualità scontata per questa prima metà del 2020. Tu come hai vissuto il tuo lockdown?
”Ne ho preso il lato positivo. Non mi son voluta far prendere dall’ansia e dalle angosce quindi mi sono un po’ chiusa nella mia bolla con mia figlia di cinque anni, che mi ha portato a giocare e vivere con lei trasformando il soggiorno nel suo mondo magico. Questo mi ha aiutato molto. Abbiamo giocato tanto e pattinato sul terrazzo. Credo che questa chiusura pandemica ci abbia insegnato nuovi ritmi e tempi. Essere fagocitati sempre dal quotidiano, lo stress delle cose da fare non vanno bene. Avere così tanto tempo per noi ha messo evidentemente in ansia qualcuno che non dormiva più. Io fortunatamente mi sono molto rilassata. Potevo avere sempre il mio tempo e trovarmi una cosa da fare con mia figlia e per me. Ogni giorno una bella sfida creativa. D’altra parte, più di un mese senza poter uscire, andare al cinema, a vedere gli amici non è certo una passeggiata di salute”.
Donatella Finocchiaro: “Viviamo in un mondo maschilista”
E infatti a proposito di cinema, il tuo film esce finalmente nelle sale. Come vedi anche l’incursione dello streaming online in questi tre mesi così strani?
“Sì, è una liberazione uscire in sala proprio in questo momento. Speriamo che il film vada bene. Nel frattempo io mi sono comprata il proiettore e devo dire che ho cominciato a guardare La Casa di Carta, e me ne sono innamorata. Ho visto tanti film, anche Old Boy, l’originale coreano. Impressionante! Poi ho scoperto anche questa serie, Hunters, meravigliosa. Prima non avevo questo gusto delle serie. Questo proiettore mi piace, certo, perché al computer non riesco a vederli bene: soffro. Però non è un’alternativa valida al piacere di andare al cinema e incontrarsi, di parlare subito dopo il film andando a bere qualcosa. E poi i suoni e l’atmosfera della sala arricchiscono sempre l’esperienza della visione. Mi dispiacerebbe perdere queste cose, ma credo che il cinema in senso classico rimarrà per pochi. Non resterà per tanti perché la gente preferisce la televisione, e sceglie di restare a casa”.
Invece il tuo lavoro non è solo set, ma anche palcoscenico. Avevi qualcosa che è rimasto sospeso dal Covid-19?
“Si e no, perché a marzo e aprile non avevamo tournée. Però avevamo uno spettacolo già provato. Dovevamo iniziare la tournée tra ottobre e novembre, ma ora è in forse. S’intitola Taddarita, con Claudia Potenza e Antonia Truppo. Lo spettacolo è scritto e diretto da Luana Rondinelli e lo abbiamo già portato alla Sala Pasolini di Roma il 25 novembre scorso, nella Giornata Contro la Violenza sulle Donne. Parla di tre donne davanti alla bara del marito di una di loro. Lo trovo tragicomico e potente. Non si sa come e quando partirà la vera tournée, intanto però abbiamo tre date. Al massimo 150 persone a replica e noi tre a distanza di sicurezza. Così si potrà lavorare. Una data al Teatro Festival di Napoli, una ad un altro festival in Calabria, e poi al Teatro Piccolo di Milano, a settembre. Quindi c’è speranza”.
Al cinema hai lavorato con Calopresti, Tornatore, Bellocchio, Woody Allen, Stijn Coninx. Tanti registi, ma anche alcune registe, come Archibugi, La Rosa, Roberta Torre, Fabiana Sargentini. Ma sono sempre più gli uomini che le donne a stare dietro alla macchina da presa, purtroppo.
“Purtroppo è verissimo. Un peccato. Così come in politica, anche il mondo del cinema ha questi squilibri. Viviamo in un mondo maschilista. Fare la regista è più faticoso che arrivare a fare la protagonista femminile. Io ho iniziato bene, con Angela prima, più tardi con Il regista di matrimoni. Ultimamente però è sempre più difficile trovare non solo dei ruoli da protagonista, ma dei ruoli femminili interessanti. Adesso ci sono troppi film al maschile, anche con quattro protagonisti. Al contrario, quattro protagoniste le vedi poco e niente. Io ho fatto Beate, in questo caso una mosca bianca, ricordi? Lo abbiamo presentato insieme all’Adriatic Film Festival. In quel film eravamo tutte donne”.
Donatella Finocchiaro su Pietro Coccia: “un uomo sopra le righe”
A tal proposito so che hai un nuovo film con Emma Dante.
“Esatto: Le sorelle Macaluso, tratto dallo spettacolo teatrale sempre scritto da Emma. I personaggi sono sette e divisi in varie età. Quattro attrici sono quarantenni, tre anziane e quattro bambine. Io faccio la parte di Pinuccia, una quarantenne che rimane fuori tempo massimo. Con Emma c’è stato un bell’incontro. Magico, artistico, umano. Con lei ho avuto una grande simbiosi, un po’ com’era successo con Marco Bellocchio. Hai presente quando tu dici una frase e l’altro la completa? Non mi capitava veramente da tanto tempo. E oltre al Delitto Mattarella avevo il lavoro di Goran Paskaljević, con Giorgio Tirabassi, che s’intitola Nonostante la nebbia, ma non so quando uscirà”.
Infine una delle foto che ci hai concesso per la pubblicazione di questa intervista, ho visto, è stata scattata da Pietro Coccia, nostro collega e fotografo.
“Sì, è sua quella vicino Piazza San Pietro, buffa questa combinazione. Ma Pietro manca lo stesso. Ad ogni attività stampa è ancora strano non vederlo più. Sai, mi chiamava sempre: ‘Avvocato!’ Quando mi vedeva scherzava sempre così sul mio passato. Facevamo molte chiacchierate intimiste, un po’ trascendentali anche, perché lui era un po’ filosofo nel suo modo di essere. Un tipo sopra le righe, un po’ surreale, una persona davvero cara, mi piaceva molto. Peccato sia andato via così presto”.