Drew Goddard su 7 sconosciuti a El Royale: “scrivo quello che vorrei vedere”
Il resoconto da RomaFF13 della conferenza stampa di 7 sconosciuti a El Royale, film d'apertura di quest'edizione della Festa
Nella prima giornata di RomaFF13, si è svolta la conferenza stampa del film d’apertura della Festa, ovvero 7 sconosciuti a El Royale, nuova fatica di Drew Goddard dopo il sorprendente Quella casa nel bosco. Presente all’evento, oltre al già citato regista, anche una delle protagoniste del film, ovvero Cailee Spaeny.
Drew Goddard ha aperto la conferenza, esprimendosi così a proposito della suggestiva location di 7 sconosciuti a El Royale, un inquietante motel sul confine fra California e Nevada:
Il bello del cinema è che può portarti in luoghi che non hai mai visto prima. Quando abbiamo costruito questo set abbiamo pensato che doveva rappresentare la doppiezza dei personaggi, ed è proprio per questo che l’abbiamo costruito al confine fra due stati.
In seguito, lo stesso regista ha parlato del suo approccio alla sceneggiatura del film: per me ogni film comincia con l’amore verso i personaggi, mi piace entrare al loro interno. La struttura sembra complicata, ma alla fine parliamo di 7 personaggi e mentre scrivevo mi chiedevo chi dovesse andare adesso sotto ai riflettori. Mi piace non avere un vero e proprio protagonista, per cui ho fatto comparire diversi personaggi dando a ognuno attenzione e un proprio punto di vista.
Cailee Spaeny ha poi parlato del suo personaggio e della scelta da parte del regista di non affidarle nessuna scena di canto, nonostante le diverse esibizioni della collega Cynthia Erivo nel corso del film e la sua ampia esperienza in merito: il canto toccava a Cynthia. Io amo moltissimo cantare, ma ci siamo sentiti tutti onorati ad avere Cynthia che cantasse. La cosa più importante per me era entrare dentro la testa di qualcuno. Ho visto tanti documentari, le cose che accadono al mio personaggio succedono realmente, si cercano comunità pure per cambiare il mondo e poi ci si ritrova all’interno di vere e e proprie sette.
Ha poi ripreso parola Drew Goddard, per parlare dei legami fra 7 sconosciuti a El Royale e movimenti come il Me Too:
Io ho cominciato a pensare a questo film 5 anni fa, quindi non avevo intenzione di parlare di ciò che c’è oggi. I mali di oggi sono però gli stessi da molto tempo, quindi è stato inevitabile parlare di sessismo e razzismo. Sono contento che finalmente si faccia luce su ciò. Ho lavorato al film in contemporanea alla serie The Good Place. Entrambi parlano di persone cattive che cercano di diventare buone. Non mi interessano le cose che succedono, ma l’escalation che spreme i personaggi.
Il regista ha poi parlato delle difficoltà e dei pregi di lavorare quasi esclusivamente in una singola location: non mi rendevo conto che sarebbe stato così difficile. Abbiamo dovuto girare il film in continuità, perché tutto avviene in 12 ore, per cui ogni decisione toccava tante cose, come per esempio i bicchieri rotti. C’è un’evoluzione nei personaggi molto sottile ma continua, che è stata favorita da questa necessità.
In seguito, Drew Goddard ha parlato della scelta di filmare in pellicola 7 sconosciuti a El Royale: io amo gli anni ’60 e volevo che il film li evocasse. Io amo la pellicola, il fatto che i colori facciano cose impreviste e che gli attori abbiano un certo aspetto. C’è una componente emotiva nella pellicola, che non sento nei film girati in digitale. Volevo girare in anamorfico perché avevo bisogno di un fotogramma ampio per inquadrare tutti gli attori. Sono stato influenzato da Sergio Leone e in particolare da C’era una volta il West.
Il regista ha poi parlato della scelta, comune a molte produzioni recenti, di inserire in 7 sconosciuti a El Royale un personaggio con molti punti di contatto con Charles Manson:
Stiamo attraversando tempi oscuri ma ci saranno sempre, insieme alla luce. Il film secondo me si conclude con una speranza e con la redenzione. Charles Manson rappresenta la mascolinità più tossica, di quelli che si approfittano dei deboli e degli innocenti. Penso quindi che non sia un caso che lo vediamo emergere spesso in questo periodo.
Drew Goddard è stato poi interrogato sulla difficoltà di fare un film originale in un’epoca dominata da sequel, prequel, remake e reboot: è difficile realizzare un film originale, perché non è quello che vogliono gli Studios oggi. Però dentro di me mi dico, in fondo gli Studios vogliono belle storie, infatti alla fine ho fatto il film. Viviamo nell’era dei sequel e dei reboot, perché oggi va di moda la ripetitività. Io scrivo quello che vorrei vedere, per cui non mi faccio molti problemi in questo senso.
Il regista ha poi parlato dell’importanza per la sua carriera della gavetta come sceneggiatore di show di culto della Golden Age delle serie televisive come Lost, Alias e Buffy: sono grato di aver avuto la possibilità di cominciare con la televisione, e in particolare con persone come Joss Whedon e J. J. Abrams, che hanno un approccio molto cinematografico alla tv, e ti chiedono di sviluppare un piccolo film a settimana. Entrambi imponevano agli scrittori di lavorare all’altezza del loro enorme talento.
Drew Goddard ha poi parlato dell’influenza di Quentin Tarantino e dei Coen su 7 sconosciuti a El Royale:
È impossibile per una persona cresciuta negli anni ’90 sfuggire al talento di Quentin e dei Coen, che credo siano fra i più grandi cineasti della storia del cinema. Sono così coraggiosi come registi, e riescono a sperimentare vari generi con successo. Prima di fare questo film ho raccolto gli attori e gli ho fatto vedere Barton Fink, che ritenevo utile anche per il design degli ambienti.
Il regista ha poi parlato delle sue difficoltà come regista e sceneggiatore del film: io stacco il ruolo dello sceneggiatore da quello del regista, mi vesto addirittura in modo diverso a seconda del ruolo. Come sceneggiatore non penso a budget o cast. Quando scrivo la parola fine, licenzio lo sceneggiatore, assumo il regista e comincia a pensare al cast. Devo dire che è la parte più importante vedere i propri personaggi prendere vita. Si dice che si scrive il film tre volte: la prima, poi quando giri e infine quando fai il montaggio. Da regista, è stato bello scoprire lati nascosti dei membri del cast, che mi hanno davvero sorpreso ogni giorno. In sala montaggio invece rimani colpito, perché scopri le emozioni degli attori e cosa stanno vivendo. Ti consente di esplorare l’anima migliore del film.
Cailee Spaeny ha così commentato il suo rapporto sul set con Goddard: Drew è molto focalizzato sul lato umano. Cerca persone che si appassionato al progetto, e infatti non c’era nessuno che non desiderasse di farlo venire bene. Ogni giorno eravamo entusiasti e pronti a lavorare. Devo dire che dal primo giorno a oggi lui è sempre stato molto gentile e paziente.
Drew Goddard ha poi concluso la conferenza con un pensiero per i suoi collaboratori: fare il regista significa nutrire gli artisti. In questo ruolo devi nutrire tanti artisti e falli crescere, dagli attori alla troupe.