Edgar Wright su Baby Driver: “Il mio più grande successo” [INTERVISTA]
Abbiamo incontrato a Roma il regista di Baby Driver - Il genio della fuga, Edgar Right. Ci ha parlato del film e del suo modo di fare il regista
Edgar Wright è ormai un regista di culto. Partendo dalla Trilogia del Cornetto con Simon Pegg e arrivando al paradiso del nerd Scott Pilgrim vs The World, il filmmaker britannico spazia da un genere all’altro mantenendo quel filo rosso di ironia e leggerezza brillante che, ormai, lo contraddistingue. La sua ultima fatica si intitola Baby Driver – Il genio della fuga, è un film di velocità e inseguimenti, ma anche di musica incredibile, di battute taglienti e con un’aura pop indimenticabile. Cinematographe-FilmIsNow è riuscito ad incontrarlo durante una conferenza stampa per la promozione del film. Qui sotto trovate tutto quello che ci ha detto.
Il grande punto di forza dei suoi film è sempre stato il finale. Hanno sempre avuto dei finali totalmente imprevedibili e molto coerenti tra di loro. In Baby Driver sembra leggermente più convenzionale del solito. È sempre stato così o ci sono varie versioni?
“Questo è il finale originale e la differenza, forse, rispetto ad altri miei film, è il fatto che forse è un po’ più moralmente corretto. Non voglio rovinare la sorpresa ai vostri lettori, però posso dire che inizialmente gli Studi cinematografici volevano che il protagonista la facesse franca, io invece no. Per me era importante che si prendesse la responsabilità delle proprie azioni. Ho tratto ispirazione anche dai vecchi film americani anni Trenta, i gangster movie, dove c’è un finale più etico, morale. Però, tante volte, quando arrivavi ad un lieto fine e vedevi che i protagonisti erano riusciti a fuggire, a farla franca, a portare a termine il loro obiettivo… a me non ha mai convinto molto. Mi sono sempre chiesto: cosa succede nei 15 minuti successivi?”
Lei parteciperà alla giuria del Festival di Venezia nei prossimi giorni. Essendo un regista con certe caratteristiche, che tipo di film noterà? Paradossalmente potrebbe amare dei film drammatici o cartoni animati… Che tipo di approccio avrà? Peserà il suo stile nella votazione o considererà film totalmente diversi?
“Non sono mai stato al Festival, sono stato a Venezia altre volte, ma mai al Festival. Sono stato nella giuria del Sundance [nel 2015, ndr] e una delle cose divertenti di fare parte di una giuria è il poter apprezzare film che normalmente non guarderesti. Il mio lavoro, come membro della giuria, è essere completamente oggettivo e non considerare il mio gusto personale. Guarderò tutto e deciderò oggettivamente. La cosa eccitante è che guarderò film che probabilmente non avrei mai guardato per conto mio”.
Una domanda sul cast: chi le ha dato meno problemi e, magari, chi gliene ha creato qualcuno in più?
“La verità è che sono stati tutti fantastici. La cosa grandiosa di fare questo film è stato avere un gruppo così speciale. A volte quando un cast è così importante, si tratta di attori di un certo calibro che fanno un cameo o qualcosa del genere, ma la cosa eccitante in questo caso è averli tutti nella stessa stanza. Ci sono molte scene nel film dove ci sono Ansel Elgort, Jon Hamm, Jamie Fox, Kevin Spacey tutti insieme. Quelle scene sono davvero meravigliose da girare, soprattutto quando hai due attori premi Oscar nella stessa scena. Ogni volta che ci imbattevamo in un inquadratura con Foxx e Spacey insieme, scherzavo con il mio direttore della fotografia: ‘È un’inquadratura da doppio Oscar”.
Quando hai più star coinvolte, la cosa divertente e che sono tutti fan l’uno dell’altro. Jamie, ogni volta che giravo una scena con Kevin, si sedeva e guardava la scena come se stesse a casa o al cinema. Li chiamava ‘momenti pop-corn’ perché guardava Kevin Spacey girare la scena e lui se ne stava lì a fare lo spettatore. La stessa cosa succedeva a me mentre giravo: ero talmente incantato dalle loro performance che mi dimenticavo fosse il mio film…”.
Parlando delle dinamiche da giuria, spesso con gli altri membri si instaura anche un rapporto politico: se a qualcuno piace un film e ad un altro no, bisogna giocarsela politicamente. Nel caso di Venezia, a parte Annette Bening, lei conosce qualcuno, sa cosa la aspetta?
“Dopo aver fatto il Sundance, mi sono reso conto che si tratta di una questione di numeri. Si dà un voto ad un film e in caso di parità, si vota di nuovo, ma con grande tranquillità. Nella giuria di Venezia conosco Rebecca Hall, David Stratton e conosco un po’ Annette Bening, ma è solo la mia seconda volta in una giuria, quindi non ho nessuna strategia”.
Visto il lavoro fatto con Scott Pilgrim [riadattamento dal fumetto al cinema, ndr], mi chiedevo se si potesse fare il processo inverso, quindi un seguito di Baby Driver, ma a fumetti.
“È interessante, non ci sono motivi per non farlo. La cosa richiederebbe parecchio tempo. Io e Simon Pegg abbiamo fatto una cosa simile per la Notte dei morti dementi, dove abbiamo fatto un fumetto sulla storia di uno degli zombie e della sua evoluzione. È stato divertente. Non ci sono ancora piani a riguardo, ma perché no?”
Il suo lavoro implica sempre un certo grado di anarchia, quando mescola generi diversi, ma anche di grande controllo creativo. Come gestisce questo meccanismo con gli Studios?
“È divertente perché spesso vengo definito un regista indipendente, ma in realtà La notte dei morti dementi, Hot Fuzz, Scott Pilgrim, sono stati tutti realizzati con i soldi della Universal. Questo film, Baby Driver, è la mia prima collaborazione con Sony. A questo punto della mia carriera ho fatto 5 film e ho trovato un modo per unire una parte mainstream alle peculiarità dei miei film. Il trucco è riferirsi ad un pubblico generalista, ma avere elementi inaspettati. Un film come Scott Pilgrim, che non ha fatto benissimo ai tempi in cui è uscito, ha fatto presa su un pubblico di culto che lo ha mitizzato. Con Baby Driver penso che non sarà difficile avere appeal su un pubblico più ampio.
Alcuni registi dicono: ‘Questo è per me, quest’altro è per loro’. Un film per gli Studios e un film per il proprio piacere personale. Io credo che il trucco sia fare entrambe le cose in un solo film. È un film di auto, ma ci sono cose mie. È commerciale, ma c’è un filo rosso che mi appartiene”.
Spesso è stato detto che lei ha la capacità di spaziare tra i generi. Sente un senso di responsabilità rispetto a questo? Artisticamente parlando, è in un momento diverso rispetto alla Trilogia del Cornetto?
“La creazione di ogni film richiede parecchio tempo, circa 3 anni perché mi occupo anche della sceneggiatura. Per questo motivo mi piace mettermi alla prova e provare un genere diverso ogni volta. La cosa importante, però, è che non farei un film di un genere che non amo. Che si tratti di horror o thriller, che sia sci-fi o d’azione, lo faccio perché mi piacciono. Quello che faccio è reinterpretarli nel mio stile”.
Il film è coreografato così bene che non si capisce se è venuta prima la canzone scelta o la coreografia della scena che l’accompagna. È partito dalla playlist o viceversa?
“Un po’ entrambe. Ma non scrivo una scena se non ho in mente la canzone che voglio metterci. Quindi cerco sempre di trovare le canzoni prima di iniziare a scrivere. Il processo successivo è fare uno storyboard del film in base alle canzoni, tenendo conto del tempo e facciamo delle prove con gli attori insieme a dei coreografi. Quindi l’elemento chiave è che le canzoni che senti nel film, vengono effettivamente trasmesse sul set in modo che gli attori possano sentirle e muoversi a tempo”.
Parlando di amore per il genere… Può parlarci del suo rapporto con Walter Hill?
“Walter Hill ha diretto Driver l’imprendibile e questo film è davvero influenzato da quella pellicola. Circa sei anni fa, ad uno screening di Driver l’imprendibile, gli avevo raccontato la mia idea di scrivere Baby Driver e di quanto lui avesse influenzato il mio lavoro. Lui si è rifiutato di andare alle proiezioni in anteprima, mi ha detto che l’avrebbe visto pagando il biglietto il giorno d’apertura. E l’ha fatto. Walter fa anche un cameo vocale nel mio film, una delle ultime voci che si sentono, è la sua. Era mio modo per ringraziarlo. Sono davvero onorato di poterlo chiamare amico. Quando ha visto il film mi ha chiamato immediatamente quella sera stessa ed è stato meraviglioso”.
Visto che ha parlato del rapporto con gli Studios. Cosa è andato storto con la Marvel?
“È una domanda facile a cui rispondere. In quella situazione, ho scritto una sceneggiatura di cui andavo molto fiero [per il film Ant-Man], ma non avrei avuto la possibilità di dirigerlo. Quindi è stata una decisione difficile perché ci stavo lavorando da molto tempo, ma sono abituato a scrivere e dirigere tutto quello che faccio. Se devo fare un film come quello, voglio occuparmi di tutto. Mi è dispiaciuto buttare del tempo, ma sentivo fosse la decisione migliore. In realtà è ironico perché quando ci stavo lavorando pensavo: se faccio questo cinecomic, poi forse avrò la possibilità di realizzare Baby Driver… L’ironia è che non ho fatto quel film, ho fatto Baby Driver ed è il mio più grande successo”.
Baby Driver – Il genio della fuga arriva nei nostri cinema il 7 settembre. QUI trovate la nostra recensione, mentre QUI trovate la nostra intervista ad uno dei protagonisti, Kevin Spacey.