Francesca Olia parla di Timor – Finché c’è morte c’è speranza e della sua “passione legittima”
Abbiamo intervistato l'attrice Francesca Olia, nel cast di Timor - Finché c'è morte c'è speranza.
Sarda di nascita e romana d’adozione, Francesca Olia (nata a Cagliari il 17 novembre 1996) ha negli occhi tutto lo scintillio della determinazione e nella voce la dolcezza di chi ha riconosciuto nella recitazione la propria “passione legittima”, al punto da dichiarare senza filtri: “Sotto questo punto di vista credo di non avere scelta, nel senso che la recitazione è una mia grandissima passione e, comunque vada, la terrò nella mia vita, in qualsiasi modo”.
Una forza viscerale, la sua, la stessa che trasuda dal personaggio di Rebecca in Timor – Finché c’è morte c’è speranza, il film diretto da Valerio Di Lorenzo e al cinema dal 7 novembre 2024, distribuito da Blooming Flowers.
La raggiungiamo telefonicamente in un pomeriggio di metà ottobre e la nostra conversazione fluisce libera in ogni direzione: sembra quasi di parlare con una vecchia amica! Qui, nello spazio senza sipario, Francesca adagio ci offre la sua esperienza di attrice e di persona, traslitterandola in un unicum che è cristallino credo nell’arte e nella sua forza travolgente.
Chi è Francesca Olia? Storia e passioni dell’attrice di Timor – Finché c’è morte c’è speranza
Con un sorriso che oltrepassa le distanze, ci racconta delle sue prime recite scolastiche, del supporto della sua famiglia e del grande salto verso il mondo teatrale e cinematografico, compiuto nel 2015, quando decide di volare a Roma per frequentare l’Accademia Internazionale di Teatro, prendendo il diploma di attrice e regista. “Ho studiato violino al conservatorio, quindi pensavo che la mia carriera sarebbe stata nella musica, invece avevo questo desiderio nascosto (già, perché dire ‘voglio fare l’attrice di professione è sempre qualcosa che ha un certo peso’). Il mio percorso poi si è concretizzato nel momento in cui ho fatto l’accademia. […] Successivamente ho iniziato a fare lavoretti che non c’entravano nulla con la recitazione, pur di portare avanti il mio sogno”.
E il suo sogno, Francesca Olia, lo sta pian piano realizzando. Prima di arrivare a essere la protagonista di Timor, infatti, ha preso parte a diversi cortometraggi e a una miniserie indipendente intitolata Quarantaine. Nel 2020 ha interpretato il personaggio di Cloe nel film Boys di Davide Ferrario, mentre quest’anno ha in ballo anche una serie Netflix e, chiaramente, la black comedy di Valerio Di Lorenzo, in cui interpreta una killer mancata, improvvisata ma alquanto algida e, senza dubbio, con una buona conoscenza della settima arte. Non appena i suoi amici, disperati, le pongono il dilemma della morte accidentale di uno di loro e del conseguente occultamento del cadavere, Rebecca non si perde d’animo e inizia a immedesimarsi con iconici personaggi di film e serie TV. Soffermandoci su questo aspetto, abbiamo chiesto a Francesca Olia se le è mai capitato di assecondare tale dinamica nella vita reale (tranquilli, non ha ucciso nessuno!).
“Proiettarci in un personaggio ci aiuta a superare degli ostacoli che magari avremmo in quella stessa situazione, a superare dei lati di noi. Nel caso di Rebecca il suo momento di follia, di adrenalina, porta al fatto non tanto di immedesimarsi in un personaggio ma di fuggire dalla realtà; ci nascondiamo dietro una personalità che ci protegge.
La situazione narrata nel film è un po’ sopra le righe, ma neanche troppo! Se andiamo ad abbassare l’asticella questo tipo di situazIone è molto possibile; in realtà ci sono diversi casi di cronaca che ci suggeriscono come la complicità del gruppo a volte non ci renda consapevoli di quello che sta succedendo. Il non vedere il problema e proteggersi all’interno del branco è una cosa molto presente nella vita quotidiana, anche quando succede qualcosa di tragico.
Il problema non è solo Rebecca ma tutto il gruppo; è come se nessuno avesse la forza di prendersi la responsabilità di quanto avvenuto“.
Non manca un commento sul cinema indipendente, anche se Francesca ci tiene a sottolineare di non essere un’esperta della produzione. Secondo l’attrice se ci fossero dei fondi tali da permettere alle produzioni indie di continuare a produrre ciò che vogliono anche dopo il primo o secondo film di successo tale dimensione di libertà e sperimentazione potrebbe continuare a esistere, poiché “la forza dell’essere indipendente è anche stare lontano dalle logiche di produzione e quindi non pensare obbligatoriamente a qualcosa che debba corrispondere a quella che è la domanda del pubblico. Che poi” – aggiunge – “a volte non è nemmeno la domanda del pubblico ma è, per esempio, rispettare i bandi della regione o di altro genere, che magari mettono al entro questa o quell’altra tematica, dettando le caratteristiche specifiche che deve avere un film”.
Che film sogna di fare invece Francesca Olia? Con un guizzo di gioia ci rivela la sua passione per il genere fantasy e quindi sì, vorrebbe proprio far parte di un progetto del genere anche se “in Italia non se ne vedono poi tanti, forse di recente Mainetti e Garrone sono quelli che si sono avvicinati di più al genere”. Va da sé che questo argomento ci porta a fare considerazione sul budget e sulle dinamiche cinematografiche, che preferiamo evitarvi per arrivare immediatamente al desiderio più profondo di Francesca: vedere al cinema (o in TV) una trasposizione di Fairy Oak, serie di romanzi scritti dalla giornalista e scrittrice Elisabetta Gnone. Ce lo rivela prontamente, quando le chiediamo quale opera letteraria vorrebbe vedere trasposta, apostrofando con un sorriso, subito spento da una spunta di malinconia: “Si, ce l’ho! Ma non da interpretare io, visto che sono due gemelle”. Fai una breve pausa che ce la fa immaginare sovrappensiero e asserisce: “Magari adesso sto dando un spunto a tutti gli sceneggiatori!”. Per il resto, rivela, le che piacerebbe un prodotto simile a Il Signore degli Anelli o a Harry Potter, “di cui adesso fanno la serie TV, ma purtroppo non sono inglese! […]
Da bambina ero una grande lettrice di fantasy, quindi questo sogno lo devo più che altro alla mia bambina interiore”.
Il film fantasy più bello che hai visto?
“Per me la saga più importate è stata Harry Potter. Da piccola li amavo e divoravo. Puoi farmi qualsiasi domanda su Harry Potter, io saprò rispondere!”.
Tornando a girovagare sui dettagli di Timor – Finché c’è morte c’è speranza, qui la tecnologia sembra essere un’arma da maneggiare con molta cura. Che rapporto ha invece Franecsca Olia con social e hi-tech?
“Abbastanza brutto.” – ci risponde senza mezzi termini – “Comunque ho avuto la fortuna di crescere senza e credo che questo sia merito dei miei genitori. Avevo quel Nokia in bianco e nero alle medie perché comunque mi muovevo da sola. L’accesso a internet l’ho avuto tardi, ero alle superiori e mi serviva per fare delle ricerche. Anche i social: per me Facebook è arrivato in quarta o quinta superiore, quando il mio insegnante di spagnolo ci chiese di creare un gruppo in cui inviare dei racconti in spagnolo. Dopo anche io sono entrata nel vortice della tecnologia, ormai con questi telefoni dai quali si accede a tutto, grazie ai quali hai l’informazione a portata di mano, anche io mi sono adeguata, ma in generale direi di non avere un bel rapporto con la tecnologia; ho Instagram perché per certi versi devo, mi viene richiesto in quanto attrice e ogni tanto riesco a pubblicare qualche foto, proprio quando vedo che è inevitabile farlo”.