Gabriele Falsetta si racconta oltre Finalmente l’alba: “La recitazione è il mio social network”
L’intervista all’attore genovese Gabriele Falsetta, al cinema dal 14 febbraio con Finalmente l’alba di Saverio Costanzo nel ruolo del pianista Piero Piccioni.
Genova e la Liguria oltre a dare i Natali a indimenticati esponenti della musica nostrana sono state e continuano ad essere una fucina di grandi talenti del mondo della recitazione. Gabriele Falsetta è uno di questi. All’ombra della Lanterna ha coltivato la sua passione, diventata poi un percorso di vita e professionale oltre confine con l’ingresso alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano. Da lì ha preso il via una carriera che lo ha portato a interpretare personaggi complessi e sempre diversi a teatro piuttosto che sul piccolo e grande schermo in produzioni italiane e internazionali. In attesa di vederlo nei panni di Roberto Farinacci nella trasposizione seriale di M. Il figlio del secolo, lo abbiamo visto indossare di recente quelli di un’altra figura realmente esistita, il pianista Piero Piccioni in Finalmente l’alba. Ed proprio da questa performance nella nuova pellicola di Saverio Costanzo, nelle sale dal 14 febbraio 2024 dopo la presentazione in concorso all’80esima edizione della Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia, che siamo partiti, approfittando per rivolgendogli anche altre domande sulla sua carriera e sul suo essere attore.
La nostra intervista a Gabriele Falsetta, tra i protagonisti del film Finalmente l’alba nel ruolo di Piero Piccioni
Il pianista Piero Piccioni che interpreta in Finalmente l’alba è una figura realmente esistita. Come ha costruito il personaggio? Nella fase di preparazione e studio ha attinto a qualche fonte in particolare per documentarsi su di lui?
“Come sai, in quest’opera Piero Piccioni è un personaggio marginale che fa parte di quella coralità di creature che la protagonista incontrerà nel suo viaggio. Del “vero” Piccioni so che era un jazzista e compositore agli inizi di carriera, all’epoca dei fatti, figlio di un notissimo esponente della Democrazia Cristiana”.
Ci sono state delle difficoltà nell’interpretare il personaggio di Piccioni e quali sono gli elementi che più l’hanno interessata di lui?
“Sicuramente un personaggio dall’ambiguità tutta italiana: cosa ci fa un giovane jazzista, figlio di un politico ultra cattolico, ad una festa in una villa in riva al mare dove partecipano artisti, alte sfere del Vaticano e politici e dove alla fine a rimetterci la vita è una giovane ragazza innocente ed inconsapevole? Ovviamente ancora oggi non si sono trovati i colpevoli”.
Quale o quali tra gli importanti attori e attrici con i quali ha collaborato sul set di Finalmente l’alba l’ha più sorpreso e perché?
“Willem Dafoe per la disciplina ferrea e l’umiltà, le chiacchiere tra un ciak e l’altro, i discorsi sul teatro e l’energia che richiede questo mestiere. Lily James, sempre per la disciplina militare e la completa abnegazione che metteva nel perfezionare ogni gesto, ogni sguardo o tono vocale”.
Gabriele Falsetta: “Il Piero Piccioni di Finalmente l’alba è un personaggio dall’ambiguità tutta italiana”
Che tipo di regista è Saverio Costanzo e come si è trovato a lavorare con lui?
“Ho trovato molto rilassante la sua calma su un set così impegnativo come questo. Saverio è un regista che vede subito se stai bluffando, ti smaschera se provi ad usare dei cliché o delle scorciatoie interpretative. Ti accompagna verso una forma essenziale. Registi così mi danno pace, sicurezza e libertà creativa”.
Una volta visto il film e il risultato finale, quale o quali ritiene siano i punti di forza di Finalmente l’alba?
“È una favola nera, dove una ragazza in fuga incontra il potere e le ambizioni di una società maschile e predatrice. Stai attento a ciò che desideri. Ma Mimosa è piena di cuore e più intelligente dei mostri che la minacciano e alla fine ci stupirà”.
Che significato e cosa rappresenta per lei la recitazione? Il valore che le attribuisce è cambiato – e se sì in cosa – rispetto agli esordi?
“La recitazione è la mia università, il mio social network, è l’enciclopedia che apro per scoprire chi sono e soprattutto, chi sono gli altri. Continua ad emozionarmi e a farmi innamorare. Spero di riuscire ad evitare la scontentezza dell’attore che credi aver capito tutto. Voglio rimanere sempre nel dubbio”.
Gabriele Falsetta: “La recitazione è la mia università, il mio social network, è l’enciclopedia che apro per scoprire chi sono e soprattutto, chi sono gli altri”
Come è nata la passione per la recitazione e quando hai capito che sarebbe diventato il tuo percorso di vita e professionale?
“Casualmente. Non ero uno di quei bambini che veniva portato a teatro fin da piccolo. Quando entrai alla Scuola del Piccolo avevo visto due spettacoli, se va bene. Ignoravo tutto. Ho iniziato come si inizia un corso di ceramica. Che sarebbe diventato un lavoro è una nozione che ho messo spesso in discussione durante un percorso di ricerca artistico durato anni e data una precarietà che non potevo permettermi”.
Cosa le ha lasciato in termini d’ insegnamento il periodo di formazione alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano e la decennale collaborazione con un maestro del teatro internazionale come Luca Ronconi, che ha conservato e portato con sé nel suo bagaglio professionale e artistico?
“Tecnica, disciplina, soprattutto l’analisi del testo per trarne una lettura approfondita e divergente. Ho scoperto di avere un corpo che poteva essere performativo, che poteva abitare lo spazio, grazie soprattutto alla mia insegnante Maria Consagra, che ricordo sempre con molta gratitudine”.
Qual è l’aspetto che più le interessa del mestiere dell’attore e cosa caratterizza il suo percorso di avvicinamento al personaggio?
“La possibilità di entrare in contatto con varie materie, mestieri ed umanità distinte. Ho un carattere un po’ irrequieto, non so stare fermo a lungo e questo mestiere, nella sua schizofrenia, mi permette di rinnovare sempre il paesaggio che mi trovo davanti. Io sono claustrofobico e se costretto troppo a lungo sviluppo una discreta capacità alla fuga. La disciplina di questo mestiere ti obbliga a fermarti, avere cura di te stesso, sederti ad un banco e studiare”.
Gabriele Falsetta: “Tendo a non cercare attinenze coi personaggi che interpreto, mi interessano più le distanze che si creano”
Cosa guida le sue scelte e influenza la decisione di prendere parte a un progetto piuttosto che a un altro?
“La buona scrittura e una visione di regia coraggiosa e personale. È bellissimo condividere con un autore o un’autrice una visione sulla sceneggiatura, avvicinarsi e costruire insieme”.
C’è, tra quelli a cui ha lavorato, un ruolo in particolare in cui lei si è ritrovato? In cui si è riconosciuto?
“Tendo a non cercare attinenze coi personaggi che interpreto, mi interessano più le distanze che si creano. Il gioco è proprio questo, dovessi mettere me stesso in tutti i ruoli che interpreto mi annoierei a morte. Sto già con me stesso tutti i giorni 24h su 24h…”
Cinema, tv e teatro. Dove si sente più a suo agio e dove ritiene di essersi potuto esprimere al meglio del suo potenziale?
“Sul set. Quando la produzione permette di girare poche scene al giorno e approfondire ogni dettaglio, quello è il luogo dove mi sento a mio agio, mi rilasso, respiro e sono felice. Il teatro è un laboratorio a cui tornare sempre, è artigianato, è scoperta e approfondimento e condivisione reale. Anche in condizioni di povertà”.
In questi anni ha avuto la possibilità di prendere parte a produzioni estere. Dal suo punto di vista quali differenze ha trovato rispetto a quelle made in Italy?
“Abbiamo grandi reparti tecnici ed artistici e tutte le possibilità per non essere da meno a produzioni straniere più blasonate. Ho visto importanti registi stranieri congratularsi e ringraziare le nostre troupe per il lavoro svolto”.
Gabriele Falsetta: “Voglio appartenere a progetti in cui mi riconosco, fare rete con chi stimo e a cui voglio bene”
In che fase e in che momento della sua carriera pensa di essere?
“Bella domanda. E chi lo sa? Ho passato diverse fasi: scoperta, studio, conformismo, provocazione…Forse ora direi… identità? Voglio appartenere a progetti in cui mi riconosco, fare rete con chi stimo e a cui voglio bene. Mi sento più pacato, forse solo un po’ più crepuscolare di un tempo”.
Rispetto alla sua carriera e alle scelte fatte in questi anni, ci sono dei particolari rimpianti o dei ripensamenti?
“Fa tutto parte del gioco, i successi come le delusioni. Vedo il cinema come una Las Vegas in cui puoi entrare povero ed uscire ricco. E viceversa. Intendo ricco o povero in termini di esperienze artistiche ed umane. C’è sempre qualcosa che ti aspetta dall’altra parte, tanto da fare. Mi sono dovuto abituare a non avere rimpianti”.
Nel suo futuro cosa vede? Ci sono degli artisti e, in particolare, dei registi con cui vorrebbe tanto collaborare?
“Mi interessano gli artisti che ancora non conosco, mi piace l’idea di intrecciare dei rapporti basati sulla visione comune di questo lavoro e la possibilità di fare un percorso insieme. Ho trovato interessanti film come Amanda di Carolina Cavalli e Patagonia di Simone Bozzelli. Mi piacerebbe vedere tanti film così, mi piacerebbe che giovani autori ed autrici potessero avere spazio per sperimentare, per fare tentativi provocatori. Non capisco perché debba essere così difficile, non capisco perché troppo spesso le produzioni puntino sul già visto, sul trito e ritrito, che poi non incassa neanche… Bisogna tentare, sbagliare, fallire e vincere. La storia del cinema questo ci insegna. Amanda, per esempio, è finito su Criterion Collection…La paura di osare non è remunerativa”.