Luna Gualano ed Emiliano Rubbi su Go Home – A casa loro: “l’odio è contagioso come un virus”
Abbiamo intervistato Luna Gualano ed Emiliano Rubbi, rispettivamente regista e sceneggiatore del film che parla di zombie e razzismo.
Go Home – A Casa Loro è un film diretto da Luna Gualano, presentato durante la 13a edizione della Festa del Cinema di Roma nella sezione Alice nella Città. Il film è ambientato in un centro di accoglienza di Roma, durante una manifestazione di militanti di estrema destra, evidentemente contro i migranti. Tra i manifestanti scoppia una rissa e degli zombie cominciano ad aggredire la folla. Enrico, unico sopravvissuto della manifestazione fascista, troverà rifugio proprio nel centro di accoglienza dalla furia zombie.
Go Home – A Casa Loro è un horror metaforico che fa riflettere sulla discriminazione e sull’odio razziale che sta dilagando in Italia. Noi di Cinematographe abbiamo intervistato Luna Gualano e Emiliano Rubbi, rispettivamente regista e sceneggiatore dello zombie movie Go Home – A casa loro.
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Luna Gualano: “l’odio è contagioso come un virus”
Luna, come nasce l’idea del film Go Home – A casa loro?
“L’idea del film è nata mentre ero in macchina con lo sceneggiatore, Emiliano Rubbi, a seguito di una delle vicende di violenza in Italia, l’omicidio di Fermo nello specifico (in cui ha perso la vita il migrante nigeriano Emmanuel Chidi Nnamdi per mano di Amedeo Mancini). Emiliano si rivolge a me dicendo che questo clima di violenza e di rabbia gli ricorda tantissimo la figura dello zombie e che bisognerebbe farci uno zombie movie, con zombie e richiedenti asilo. Da quel momento è nata l’idea e abbiamo lavorato per svilupparla. Effettivamente si presta tantissimo perché, come lo zombie non è guidato da una rabbia razionale, anche nella realtà di oggi non c’è un motivo razionale per ciò che sta succedendo. Tutti i dati ci dicono che non dovremmo provare questa paura tale da generare tutto questo, non ci dovrebbe essere. Quindi si presta benissimo questa figura dello zombie mosso unicamente dalla pancia.”
Il razzismo è contagioso come un virus? Quali possono essere le armi per fermare questa invasione di razzismo, non meno pericolosa di quella degli zombie?
“Si, l’odio è contagioso. Diamo anche per scontato che le vittime di questo odio non odino a loro volta: sono persone. Come il virus zombie si propaga, anche odio genera odio. Ricette per queste cose è difficile averne, quello che io sto vedendo è che è soprattutto la società civile che si sta dando una mossa. Il suggerimento che potrei dare è che quando ti viene in mente qualcosa per contrastare questa rabbia, bisogna farlo concretamente: io ho fatto un film! È necessario far sentire che ci siamo, perché molti dei problemi sono derivati dal fatto che coloro che odiano gridano di più, parlano più ad alta voce, ma non è detto che siano la maggioranza. Questa percezione della realtà è sbagliata, è importante far vedere che non è così. Se stiamo zitti e rimaniamo indifferenti diventiamo complici.”
Raccontaci com’è nata la collaborazione con alcuni attori del film, che sono stati rifugiati veri.
“Ho un’associazione, Il Ponte sullo Schermo, dove insegno ai ragazzi sia video-making che recitazione. Quando è nata l’idea del film ho capito che sarebbe stato un arricchimento grandioso coinvolgere persone che hanno questo tipo di vissuto. Molti hanno pensato che il film nascesse dal laboratorio. In realtà è il contrario. Quando fai un’esperienza del genere non riesci a smettere, vuoi continuare a dare quegli strumenti a chi non sa comunicare, per raccontare se stesso e la sua visione del mondo. Il film è stato girato dopo quattro mesi di lavoro intensivo con loro. Non sono mai stati non professionisti gli attori, hanno studiato tanto e si sono impegnati tantissimo.
Ad esempio Shiek Dauda era un attore di teatro di strada in Liberia e come lui molti altri, che sono alla loro opera prima, sono stati affiancati da professionisti come Antonio Bannò e Sidy Diop. Cyril Dorand, che nel film interpreta Victor, adesso ha scritto un suo corto e ha pubblicato un libro. Ognuno di loro ha tutte le potenzialità per diventare un vero professionista. Si spera che in Italia si facciano più film multiculturali, per adesso siamo abbastanza monotematici o macchiettistici.”
Il cinema italiano è molto maschilista ed è sempre meno propenso a produrre film di genere, come in questo caso uno zombie movie.
“Ogni volta che mi dicono cosa fai di lavoro e io rispondo la regista, quasi nessuno ci crede. Pensano subito che faccio l’assistente alla regia o qualcosa di più marginale. C’è un problema in Italia molto marcato, ma si può estendere a livello globale: la figura del regista nell’immaginario collettivo è un uomo. L’unico modo per rompere questo stereotipo e anche il pregiudizio è lavorare, fare il proprio lavoro. Avrò vinto quando ci saranno sempre più registe. Per quanto riguarda il genere, a me piacciono i film di genere, i film fantastici. Grazie al loro modo di andare oltre al reale ti permettono di raccontare a volte in maniera anche più profonda la realtà.”
Emiliano Rubbi e gli zombie come critica al razzismo
Emiliano, il razzismo è insito nell’essere umano o è proprio un virus?
“No, è un virus. I bambini non fanno differenze di colore, non fanno differenze di etnie, non fanno differenze di religione. Tutto quello che viene dopo è una sovrastruttura. Il razzismo è la peggiore forma di sovrastruttura.”
Quando hai scritto questo film, hai preso spunto da Romero o da Fulci?
“Apprezzo Fulci, ma ho preso spunto da Romero per l’idea di utilizzare la figura dello zombie in maniera politica e sociale. Romero usa lo zombie per fare una critica al consumismo, noi li usiamo per muovere una critica al razzismo.”
Com’è nato il coinvolgimento di Zero Calcare, che ha curato il poster del film?
“Il film è stato girato nei centri sociali romani Strike e Intifada, che insieme nel film compongono un ambiente unico, questo ipotetico centro d’accoglienza per migranti transitanti che non esiste in realtà. Zero Calcare è molto vicino ad uno di questi due centri sociali, quindi gli abbiamo scritto che stavamo girando questo film e se fosse stato disposto a disegnarne la locandina. Lui ha letto la sceneggiatura e gli è piaciuta molto.”
La narrazione ha un forte valore politico e si serve della finzione e dell’elemento fantascientifico per svelare verità e lanciare messaggi in modo più efficace e meno propagandistico.
“Sia io che Luna abbiamo pensato che porre un certo tipo di tematiche sotto un’ottica differente probabilmente sarebbe potuto servire di più. Il film arriva anche a persone che istintivamente non si sarebbero avvicinate al film sul migrante ghettizzato. In questo modo, ribaltando la prospettiva e mettendoti forzatamente nei panni di qualcun altro, forse potrai cominciare a pensare che la sua vita non è così tanto differente dalla tua.”