Gomorra 5. Il cast svela i segreti della serie, “metafora dell’universo”. Intervista VIDEO
Bastasse un’immagine a catturare il senso della sua esperienza in Gomorra, la cui stagione finale arriva dal 19 novembre 2021 su Sky e in streaming su NOW, Salvatore Esposito non avrebbe dubbi sulla scelta. “Andrei a prenderla dal secondo episodio della prima stagione. Genny, la prima volta che spara a qualcuno. Lì si raccoglie la violenza, la mancanza di alternative, la volontà di scalare il potere del personaggio. E anche l’innocenza di uno che, altrove, sarebbe stato tutt’altro”. Già, altrove. La storia è napoletana per sfondo e accenti ma il cast, a Roma per incontrare la stampa in vista del gran debutto, ci tiene a fare precisazioni sull’annosa questione della rappresentazione del male nella serie. E sul suo rapporto con la città.
Prosegue Esposito “La maggior parte delle critiche in merito, a priori e durante, le ho trovate pretestuose e ignoranti. Gomorra funziona come una metafora dell’universo. I riferimenti sono globali, anche se parliamo napoletano e giriamo nella periferia di Napoli. Se poi si vuol parlare del ruolo di chi dovrebbe fare qualcosa e non lo fa, questo è un altro discorso. In molti casi” spiega, e non si fa fatica credergli “la serie è stata usata per questioni di visibilità. Tanti attacchi strumentali, anche a Roberto Saviano. Poi magari la stessa gente ci incontrava per strada e ci chiedeva delle foto. All’estero è diverso, siamo stati osannati e abbiamo anche incontrato professionisti del settore che ci hanno manifestato il loro apprezzamento”.
Anche più netto sulla questione è Marco D’Amore, Ciro “L’Immortale”, che ritorna attesissimo nella serie, davanti e dietro la macchina da presa. “Mi aspettavo critiche più intelligenti. Il discorso sull’emulazione è davvero immorale. Cosa diversa è la riflessione sulla fascinazione narrativa che si prova davanti a un certo tipo di personaggi. Ho sempre trovato questi appunti poco fondati e basati su uno studio approssimativo delle cose e dei fatti. Napoli non è solo quello che si vede nella serie, è un caleidoscopio. In fondo, prese di posizione di questo genere riflettono la tendenza di un paese che fatica a fare i conti con la sua storia”.
Gomorra 5: Marco D’Amore, attore e regista nella stagione finale
Marco D’Amore, ecco, vale la pena di soffermarci su di lui ancora per un po’. Porta come istantanea del cuore “la fine della seconda stagione. Pietro Savastano che muore, Pietro Savastano che nasce. L’eterno ritorno dell’uguale per una dinastia che si nutre del suo stesso sangue”. La chiusura del cerchio non lo spaventa neanche un po’. “Sono in pace rispetto al finale, per la serie ho dato tutto quello che potevo sul piano umano e fisico. Ho anche attinto a piene mani, dentro questa cornice di rapporti personali davvero incredibili. Voglio continuare a lavorare con gli uomini e le donne di Gomorra. Per quanto riguarda il gran finale, ora voglio che arrivi a tutti e che si comprenda il senso del nostro lavoro”.
Ha molto da raccontare su questo sdoppiamento di personalità, l’esaltante fatica di essere contemporaneamente presenza in campo e fuori dal campo, attore e regista. Prima di tutto mostra gratitudine per i colleghi attori “che hanno saputo distinguere tra amicizia e mestiere. Ma fuori dal set ci amiamo”. Ma non ci sono solo quelli davanti alla macchina da presa. “Rispetto al mio lavoro su L’Immortale (il film del 2019 collaterale alla serie) ho dovuto faticare di più. La troupe mi ha agevolato, ha saputo capirmi nelle mie giornate più faticose”. Sul piano della messa in scena, il lavoro del D’Amore regista si è appoggiato a una cifra estetica peculiare. “Stefano Sollima e il suo direttore della fotografia, Paolo Carnera, avevano fissato un certo stile visivo, poi ci sono state altre legittime interpretazioni. Sono tornato all’origine: i personaggi ripresi in penombra, retroilluminando, a sottolineare la loro incapacità di mostrarsi alla luce. E il fatto che questa stessa luce sia loro negata. Nella penombra, le fragilità risaltano maggiormente”.
Salvatore Esposito parla di sentimenti “gomorriani”
Salvatore Esposito, che racconta di aver ricevuto dalla serie quello che mai si sarebbe aspettato, con tanti progetti realizzati (tra cui il suo primo romanzo), affronta il futuro con piena disponibilità. Il sogno è un bel documentario riservato ai soli attori, da girarsi nel decennale dalla messa in onda della prima puntata, per raccontare solo le cose belle di Gomorra. Per farci capire la serie, parla di sentimenti “gomorriani”. “Amore, odio e fratellanza. Sono gli stessi sentimenti nostri, ma il mondo della serie non rispetta le leggi naturali della realtà in cui viviamo. L’amore e l’odio di Gomorra sono diversi, perché ciò che li attraversa è falsato. Anche quest’ultima stagione è un viaggio, porta i personaggi a esprimere l’amore a modo loro. Magari altrove Enzo e Ciro avrebbero fatto fuoco e fiamme, Genny e Azzurra sarebbero stati felici per sempre. Magari Genny e Ciro sarebbero stati migliori amici”. Molte delle cose che contano, in Gomorra, ruotano attorno a Genny e Ciro.
Di Genny e Ciro, ma anche di Enzo e Azzurra – La nostra intervista al cast di Gomorra 5
Per Marco D’Amore il rapporto tra Genny e Ciro, che sarà centrale nell’ultimo capitolo di Gomorra, va capito “a partire dal finale della terza stagione, per poi proseguire con un’eresia cinematografica che culmina con uno sguardo da western che però non si compie: viene da chiedersi, cosa faranno i due?”. Anatomia di un’origine. “Il rapporto tra Genny e Ciro è sfuggito dalle mani a chi l’ha scritto. Dal primo momento. Il percorso dei nostri personaggi era diverso ma, come in amore, è scattata una certa chimica tra di noi. Stefano Sollima l’ha colta, l’ha suggerita a Stefano Bises e da lì si è costruito il nuovo legame. Ma credo conti più un punto di vista esterno, per indagare di Genny e Ciro, piuttosto che le nostre analisi”.
Arriva il punto di vista esterno, quello di Ivana Lotito, che spiega come, dalle parti della sua Azzurra “Ciro continua a essere quello che è sempre stato per lei, cioè una minaccia”. Una minaccia “dal punto di vista affettivo. Un tipo di sentimento che il mio personaggio, da moglie, non sa capire. Non comprende il senso delle scelte e delle rinunce fatte da Genny in nome di questo legame. Il fatto che lui non riesca a sganciarsi da questo rapporto è una minaccia. Una minaccia con cui Azzurra continuerà ad avere a che fare”.
Conclude e sintetizza il discorso Arturo Muselli, che del suo Enzo Sangue Blu coglie immediatamente il motivo portante, che sarebbe “tutto il discorso su amicizie e fratellanze. Un uomo governato da sentimenti antichi. Dal desiderio di recuperare tutto ciò che è stato perso nel passato. Le sue scelte sono motivate da questi valori. Poi, per contrasto, tutto quello che per lui è fondamentale crolla. Enzo muore per rinascere un’altra volta, e riprendere la sua ricerca. Tanti rapporti lo segnano, come quello con Ciro. Un rapporto che ha dentro l’amore, l’amicizia, la dialettica tra allievo e maestro. Poi, una dopo l’altra, le candele di questi rapporti si spengono. E lui resta solo, anestetizzato. Anche in quest’ultima stagione sarà la spinta a ricercare questi valori, senza i quali non sopravvive, a motivarlo”.