Dietro Mina Settembre e il Commissario Ricciardi, lo scenografo Carlo De Marino ci racconta 2 Napoli diverse

Dietro Mina Settembre e Il Commissario Ricciardi c'è anche la grande attenzione e cura alla ricostruzione di una Napoli colta e in due epoche diverse. Abbiamo chiesto allo scenografo Carlo De Marino di raccontarci come è stato lavorare a queste due fiction che stanno registrando un grande successo di pubblico.

Il 2021 in casa Rai Fiction è iniziato alla grande: due fiction tratte dai libri di Maurizio De Giovanni che continuano a registrare un elevato numero di ascolti, mettendo d’accordo critica e pubblico. Mina Settembre e Il Comissario Ricciardi sono due fiction che portano una ventata di novità, che vogliono decisamente innovare il palinsesto italiano e creare un un vincente sodalizio tra lo scrittore napoletano e la Rai.

Dietro questo successo c’è anche la cura minuziosa, l’attenzione e una rifinitura mai abbandonata al caso, nella scelta estetica e stilistica che fa da cornice alle storie che vanno in scena e all’incedere dei suoi protagonisti. Basti solo pensare che il lavoro di ricostruzione scenografica per Il Commissario Ricciardi è stato lungo e impegnativo: l’intera Via Toledo della Napoli degli anni ’30, i camerini e la sartoria del Real Teatro di San Carlo sono stati interamente ricostruiti negli spazi messi a disposizione dalla Film Commission Regione Campania nell’Ex base NATO di Bagnoli (e dove dovrebbe nascere la cittadella del cinema campano). Per la ricostruzione dei vicoli di Napoli invece – lavoro che ha richiesto mesi di progettazione e costruzione fino quasi all’inizio delle riprese – si è scelto il borgo antico di Taranto, dove grazie ad un’accurato lavoro di pavimentazione, tinteggiatura di muri e palazzi, e invecchiamento dei luoghi si è creato un set a cielo aperto.

Intervista a Carlo De Marino, scenografo di Mina Settembre e Il Commissario Ricciardi

Carlo De Marino, scenografo napoletano che ha all’attivo 17 film e una candidatura ai David di Donatello del 2006 per la scenografia di Fuoco su di me ha realizzato le scenografie di Mina Settembre e Il Commissario Ricciardi. Due lavori decisamente diversi e come ci racconta lui stesso molto affascinanti.

Ci racconti un po’ di Lei. Qual è stato il momento in cui ha capito che questo mestiere sarebbe stato quello della sua vita?

Durante gli anni del Liceo Artistico ho compreso che la scenografia mi permetteva di coltivare molte passioni senza dover scegliere necessariamente una sola disciplina estetica. Nella scenografia si frequenta l’ architettura, l’interior design, la fotografia, la pittura, la moda, il cinema. Così è stato naturale decidere di scegliere quel percorso di studi: al primo spettacolo, già durante i corsi, ho sentito la felicità di fare teatro, di viverlo al di qua’ del palcoscenico. Ma ci ho messo molti anni per decidere di far scrivere sulla mia carta di identità, professione scenografo.

Mina Settembre si muove nella Napoli in cui viviamo quotidianamente. Come si racconta questa Napoli di tutti i giorni visivamente?

Mina Settembre e’ stata una straordinaria occasione per raccontare visivamente una Napoli molto vicina alla realtà, eppure poco frequentata dal cinema e dalla televisione. Napoli ha questa meravigliosa peculiarità: far convivere l’aspetto popolare con quello aristocratico. Ed e’ sintomatico che Tiziana Aristarco (regista di Mina Settembre n.d.r) con il suo occhio libero dai clichè sulla città, l’abbia restituita seguendo un unico filo: la bellezza. C’è la Napoli dei vicoli antichi ma anche quella moderna e mondana, passando tra i suoi scorci e le visioni del golfo. Un’ operazione tanto semplice quanto poco praticata. Io non ho fatto altro che suggerire e inseguire questa duplice bellezza.

Mina Settembre - Rai

La Napoli del Commissario Ricciardi invece ci porta negli anni ’30, una ricostruzione che è stata particolarmente apprezzata e che ha richiesto molto lavoro. Oltre al materiale del libro, ci sono stati dei film, delle immagini o delle sensazioni a cui si è ispirato per ricrearla?

Si tratta di una Napoli possibile. Abbiamo cercato di raccontare le atmosfere, senza cercare un’ attendibilità. É la Napoli che tutti noi abbiamo colto dai libri di De Giovanni, e nonostante il “tradimento” che ogni trasposizione commette rispetto a un originale letterario, mi sorprende come il pubblico si sia ritrovato in quella atmosfera, come tutti abbiano goduto di quel mondo. Questo e’ il compito di uno scenografo. Ad ispirarmi oltre le documentazioni fotografiche e pittoriche, concorrono i film visti: quelli che si portano nella memoria, quelli che pur non avendo una stretta connessione contengono suggestioni potenti, luci, colori, atmosfere. Immagini che emergono inaspettate, come sollecitate dal nostro lavoro…Non siamo forse fatti anche del cinema che abbiamo visto?

La Napoli di Ricciardi è un operazione quasi proustiana: un tentativo di restituire una memoria possibile di una città sconosciuta. Ogni traduzione in immagini scenografiche è una sorta di riscrittura di quella realtà, impossibile da rendere per davvero. D’altronde cos’è la verità? A chi interessa?

Il Commissario Ricciardi - cinematographe.it

Lei ha lavorato per due fiction tratte dai libri di Maurizio De Giovanni. Ha riscontrato differenze tra i due lavori, oppure si riconosceva la mano dello stesso scrittore in entrambe le opere?

De Giovanni è molto presente nella trasposizione televisiva di Ricciardi, pur se con molte libertà. Mina Settembre e’ decisamente diversa dal suo originale, anche perchè è un personaggio in progress, non ancora codificato. Ma non credo che il dovere della trasposizione di un originale debba essere la fedeltà. Se fosse così Montalbano avrebbe i baffi come descritto da Camilleri, e Ricciardi andrebbe a dormire con la retina, come scrive De Giovanni. Ma a cinema è diverso. Il tradimento è un obbligo per una trasposizione filmica o teatrale dall’originale, una riscrittura appunto.

Quando visiona una sceneggiatura, da cosa parte per individuare la giusta scenografia? Fa più attenzione alle suggestioni emerse durante la lettura o cerca di essere quanto più fedele possibile a quello che vi è scritto?

Parto dallo script, ma poi lo abbandono. Come un qualsiasi lettore opero la mia interpretazione: quando si legge per diletto non ci si impone una scelta immaginifica, ed il bello è proprio abbandonarsi a quella vaghezza che viviamo leggendo. Fare un film o una scenografia invece vuol dire scegliere, rinunciare, riscrivere: quando inizio un nuovo progetto mi conforta sapere che la lettura che ne faccio insieme a tutta l’equipe di professionisti della troupe di lavoro è una lettura e non la lettura.

Creare una scenografia complessa come quella de Il Commissario Ricciardi vuol dire abbandonarsi a ogni variabile. Porti dentro la sceneggiatura, sei aiutato dai libri, ma poi insegui le tue visioni che si materializzano inaspettatamente. Scopri una casa, una strada, un colore, un dettaglio, che contengono un misterioso fascino nascosto e parti da lì: ma prima che quell’immagini ti appaia ci vogliono diversi passaggi di natura economica, tecnica, pratica e spesso anche casuali. Gli ambienti sono un po’ dei personaggi pirandelliani, chiedono di inverarsi, rivivere: è un processo creativo molto intenso da descrivere. Una scenografia esiste anche solo per se stessa, pur esistendo per i suoi interpreti.

Cos’è per Lei la scenografia? E con quali figure ha bisogno di confrontarsi maggiormente lo scenografo?

Il mio lavoro dipende da diverse figure: il regista, il direttore della fotografia, il produttore. La scenografia costruisce e organizza uno spazio drammatico, una realtà sottintesa ad un’azione e quindi al suo servizio: nulla è più potente ed efficace a definire con ancor più precisione l’atmosfera di un film o un testo teatrale. La scenografia è il personaggio in più, anche se muta.