Intervista a Tommaso Santambrogio per Gli oceani sono i veri continenti. “L’ambizione non è intrattenere”
Con gli Oceani sono i veri continenti, Tommaso Santambrogio porta alla Mostra del Cinema di Venezia 80 e nelle sale italiane la sua consapevole riflessione culturale, politica e sociale.
Tommaso Santambrogio, 31 anni e un folle amore per l’arte del cinema. Con Gli oceani sono i veri continenti, apre la Ventesima Edizione delle Giornate degli Autori alla Mostra del Cinema di Venezia; il suo è un progetto ambizioso che costruisce dal nulla un castello di sentimenti e storie intimissime.
La sua idea cinematografica si palesa in una chiara identità stilistica racchiusa tra impegno e una personale visione del sé attraverso l’atro; su una linea narrativa che congiunge diversi livelli e diverse proiezioni esperienziali.
In occasione della sua partecipazione alle Giornate degli Autori abbiamo avuto l’onore di accostarci direttamente alla sua idea di cinema e comprendere meglio i dettagli del suo progetto cinematografico: Gli oceani sono i veri continenti.
Gli oceani sono i veri continenti è il tuo primo lungometraggio, una produzione italo cubana, film d’apertura e in concorso alle Giornate degli Autori. Quanta emozione c’è per un esordio così prestigioso?
Una grandissima emozione aver avuto la possibilità di realizzare questo film a soli trent’anni. In Italia non è una cosa così comune e così consuetudinaria; onorato di esser potuto arrivare al Festival di Venezia ed ancor di più poter concorrere e inaugurare le Giornate degli Autori. Sono felicissimo!
L’intero film percorre tre storie diverse seppur identiche, non solo per il contesto sociale in cui i protagonisti vivono, ma anche, per la predisposizione al sogno e all’immaginazione. Su Artribune hai dichiarato di identificarti solo nei sognatori; quanto sei riuscito ad assecondare i tuoi sogni nella sceneggiatura di questo film?
“Tanto, davvero tanto. Ho avuto la fortuna di avere una completa libertà a livello artistico, avere la possibilità di poter scegliere le persone con cui ho poi effettivamente collaborato. La libertà nella rappresentazione delle storie di questi personaggi. Per me fare cinema è un privilegio ma soprattutto una responsabilità. Un lavoro, un progetto, un’arte che non ha a che fare con i compromessi ma con l’onestà artistica e con sé stessi. Questa è forse, anzi sicuramente, la modalità migliore, più efficace per riuscire a mantenere i propri sogni tanto da realizzarli.“
Nel film si raccontano tre generazioni diverse; una visione legata al tuo passato e quindi gli occhi dei due bambini, la tua vita di adesso da trentenne come Alex e Edith e una saggia maturità e accettazione della nostalgia inserita nel personaggio della signora Milagros. Questo film, oltre a rappresentare un progetto cinematografico, può essere anche considerato un racconto tuo personale al di là dell’intrecciatura che da regista ha scelto e progettato?
“Assolutamente si, in tutto. Tutte e tre le fasi affrontate dai personaggi rispecchiano parte di me. Sono stati tutti incontri con persone reali, tante’ che il mio punto di partenza che volevo persistesse nell’intero film è l’interpretazione reale di un sé e non una vestizione di un personaggio cinematografico, con il desiderio di lasciare loro libertà e spontaneità per raccontare l’intimità di una storia personalissima e muoversi all’interno dell’arena cinematografica e scenica definita.
Mi piace poter dire che in tutte le mie scelte, partendo da quella narrativa, la focalizzazione è stata la vicinanza e la comprensione di queste storie tanto da interiorizzarle con un me che più potesse somigliarle. Nel momento in cui realizzi un film, per varie ragioni, le proprie esperienze, il proprio vissuto si ritrovano dentro, in ogni personaggio, in ogni azione, nelle sfumature caratteriali. La madre del bambino Frank, nel momento in cui aspetta suo marito che non rientra mai la notte, lo attende seduta giocando con un elastico; questa è un’azione che mi è molto familiare, perché lo faccio sempre a prescindere che sia dietro un monitor o quando sono in camera; un tic, un’abitudine estremamente personale. Questo è un esempio molto pratico, ma qualsiasi personaggio da qualsiasi punto di vista rappresenta un’esperienza reale passata, attuale o futura che crea una dipendenza tra me, la mia scrittura, la mia storia e la loro storia.“
Le Storie di Tommaso Santambrogio nascono dalla conoscenza dell’altro e la sorpresa della somiglianza con l’altro
Come hai conosciuto le storie di questi personaggi?
“La mia idea iniziale era quella di creare un affresco della contemporaneità sociale umana cubana raccontando tre generazioni senza incastrarle in una scrittura predefinita per ridurlo ad una visione di un regista italiano che racconta una specifica realtà territoriale. Le mie intenzioni erano tutt’altre: riuscire ad entrare in contatto con la loro quotidianità senza limarla per ragioni cinematografiche o di scena in alcun modo. Le storie altro non sono che degli incontri avvenuti uno a uno tramite una catena di conoscenze.
La prima persona che ho conosciuto è Edith, tramite un amico; dopo aver parlato e aver dichiarato la mia idea mi ha presentato Alex che a sua volta mi ha presentato la signora Milagros e i bambini che frequentavano, come si può vedere nel film, il suo corso di teatro. A ciascuno ho raccontato il mio progetto che cresceva e si evolveva grazie anche ad un confronto diretto con loro che hanno contribuito all’evoluzione e all’impacchettamento de Gli oceani sono i veri continenti definendone sempre più l’immaginario.
Una vera catena umana definita da incontri più che da un casting. Per me è importante che i personaggi principali siano delle figure che riescano a surclassare e arricchire la struttura del mio progetto, soprattutto nella fase iniziale in cui si lavora con immaginazione e idee creando una connessione veritiera con il mio pensiero disponibile a nutrirsi e ad trovare nuove ambientazioni anche attraverso il loro sguardo.“
C’è una motivazione particolare per la scelta del bianco e nero? Può essere indicatore di inclusione, un invito alla concentrazione sulle storie, sulle sfumature dei personaggi piuttosto che su un background territoriale o economico?
“Assolutamente! La mia volontà è proprio questa. L’utilizzo del bianco e nero l’ho voluto e l’ho utilizzato proprio per riuscire ad allontanare l’immaginario che si ha di Cuba da tanti punti di vista tra tutti il concetto tutto occidentale turistico; ma anche riuscire a levare tutti gli orpelli e gli elementi estetici che inevitabilmente distraggono dall’elemento umano che invece deve mantenere la sua centralità. Il mio discorso è quello dell’individuo in quanto parte di una collettività, in questo film si tratteggia l’umanità cubana per sforzare e far emergere la sensibilità reale di un pubblico italiano o estero. Le storie di questi personaggi ci sono vicine emotivamente senza propagandare la sensibilità imposta perché dinnanzi a temi come l’ondata migratoria, gli Stati Uniti, o ,riferendomi al nostro presente, alla costa mediterranea e balcanica.“
Ad esempio, la vivacità dei due bambini, non mi sembra differisca da quella di altri che potrebbero trovarsi in qualsiasi parte del mondo in un contesto più agiato. Nel film le caratterizzazioni dei personaggi sembrano voler assottigliare le diversità provenienti da contesti culturali e territoriali diversi.
“Si, da un lato c’è chiaramente la caratterizzazione d’identità culturali, religiose, politiche e sociali che sono specifiche di ciascun luogo del mondo, dall’altro la volontà di ricondurre la storia a elementi più basici che possano far comprendere e riflettere su cosa significa davvero parlare di estero e stranieri, di diversità e di tutto ciò che viene catalogato come “altro”.“
Tommaso Santambrogio: dialogare con la libertà dell’accettazione, del rifiuto tra narrazione e esperienza del vero
Il tipo di fotografia, l’ambientazione, la scrittura mi hanno ricordato a grandi linee l’estetica cinematografica di Vittorio De Seta (regista e documentarista degli anni ‘60); innegabile tu stia portando al Festival di Venezia e successivamente nelle sale un cinema impegnato per cinefili. Per questo in ultima battuta mi piacerebbe sapere quanto studio e ricerca ci sono dietro i tuoi lavori e quanto tu sia consapevole della tua “direzione” stilistica e artistica?
“Adoro Vittorio De Seta, lo adoro! Questo è davvero un bellissimo complimento!
Sono volutamente consapevole del tipo di cinema che porto al Festival e in sala; ne sono sempre stato consapevole. Sicuramente fare un’opera prima che ha uno spirito autoriale e che documenta temi che invitano alla riflessione attraverso una produzione in bianco e nero, totalmente girata all’estero, è una chiara presa di posizione.
L’ambizione non è quella dell’intrattenimento, ma una creazione di un portale dialogico con il pubblico lasciandogli la possibilità di rifletterci, ripensarci, amare o detestare ciò che vede: penso gli sia dovuto.
Un discorso che, a parer mio, il cinema di oggi fa sempre meno, abituati anche all’utilizzo delle immagini da social, l’idea è sempre quella di essere bombardati e sovrastati da un’estetica standardizzata che mette all’angolo del ring. Io ho fatto tutto il contrario, perché ritengo che il cinema abbia delle responsabilità ben precise che in Italia abbiamo un po’ perso di vista.
Chiaramente il mio non può essere un discorso univoco, sono il regista e proprio per questo non posso limitarmi a delineare una mia singolare visione ma devo interagire con il mio progetto, in parte, anche come fossi lo spettatore, considerando anche le seguenti reazioni e sperando nell’incontro con qualsiasi altro.
Abbiamo avuto una grande storia cinematografica da De Seta (appunto), Rossellini e Pasolini che spronavano il loro pubblico: oggi, parlando da appassionato del cinema, mi sento di dire che manca. Il cinema deve tornare ad essere una riflessione culturale, sociale e politica investendo nelle sue potenzialità comunicative piuttosto che in un contenitore di marketing e brand. Nel mio piccolo, attraverso l’osservazione, voglio puntare e rischiare in questo investimento.“
Gli oceani sono i veri continenti è al cinema dal 31 agosto 2023, distribuito da Fandango.