Intervista a Bruno Bozzetto: sono come il Signor Rossi
Bozzetto non troppo. Questo il titolo del documentario di Marco Bonfanti, presentato alla 73. Mostra del Cinema di Venezia. La famiglia, gli animali, gli amici e gli immancabili personaggi di Bozzetto partecipano al suo racconto. La storia di un uomo, di un’animazione. Di un’eccellenza italiana.
Classe 1938, Bruno Bozzetto non tiene in casa i nani da giardino ma la sagoma gigante di Super V. Prima attore e poi animatore. Una vita di arte e colori. Una vita di natura e animali – ha una pecora per cane, e non è un modo di dire. Bonfanti insieme allo stesso Bozzetto, accompagna lo spettatore nella casa dell’artista tra ricordi ed emozioni. E sulle pareti del corridoio disegni originali di cartoni animati che hanno fatto la storia del cinema. Tra questi, uno schizzo di Bambi. Per Bozzetto simbolo di eleganza ed emozione.
Per saperne di più, leggete la nostra intervista a Bruno Bozzetto
Nel documentario si definisce “un attore negato”, eppure non sembra.
No, no. Hai visto male. Qui dovevo rispondere a delle domande. La linea del film l’aveva decisa Marco Bonfanti. È stato lui che ha deciso tutto e io ero in imbarazzo quando dovevo ripetere le stesse cose, quindi dopo un po’ ci si trova a dovere recitare ed essere meno spontaneo. No, non sono un attore, per carità (ride)! Non è il mio mestiere assolutamente.
Perché ha accettato la realizzazione di un documentario su di lei?
Perché le interviste le faccio, mi piace parlare del mio lavoro. Io non sapevo cosa avrebbe fatto. Lui mi ha detto che si sarebbe trattato di scene reali sulla mia vita, cose normali, e quindi ho accettato. Sono perplesso sul perché si faccia un film su di me. Questa per me è la cosa più strana, nel senso che non sono un personaggio e credo la gente veda un film su di me. È stato un gioco. Gli ho dato un’importanza relativa e mi sono divertito. Ho rispolverato molti ricordi e devo dire che hanno fatto un ottimo lavoro anche di montaggio e di utilizzo delle vecchie immagini ed animazioni. Non era facile mettere insieme la realtà, le animazioni e i ricordi. Ci voleva una traccia, e questa era chiara, in mente nel regista.
È più Signor Rossi o Super V?
Signor Rossi. Sono un pessimista, super critico. Poi riesco a vedere il lato ironico delle cose, ma per il resto vedo tutto nero. Nel senso che leggendo i giornali, vedendo i Tg… il primo pensiero è il suicidio. Come si fa oggi con quello che si vede! Scherzo naturalmente, ma un pochino di pessimismo vedendo quello che succede non si può non averlo. D’altronde la miglior maniera per vedere quello che succede è ironizzarci sopra, però non si può mettere la testa sotto terra.
Non ama il musical, eppure ha fatto largo uso della musica nei suoi lavori.
Io Chicago l’ho visto otto volte e lo trovo fantastico. Come è realizzato, il ritmo narrativo, le musiche. Ma quando vedevo i vecchi film americani dove un signora scendeva in strada, fermava un taxi, apriva la portiera e poi cantava, io impazzivo. Questo è interrompere il ritmo narrativo della storia, e fin da allora l’ho odiato. Non amo il mettere la musica in un contesto in cui non centra nulla ed è solo dettata da un motivo spettacolare o addirittura finanziario. La musica mi piace, soprattutto quella classica. Non sono un fan della musica moderna. Va messa nel momento giusto e nel posto giusto.
Al principio, come nasce il suo desiderio di fare animazione?
Mai nato. Non ho mai pensato di fare animazione. Io disegnavo. Mio nonno era pittore, anche grande affreschista, e probabilmente ho ereditato un po’ di suo DNA. Il mio istinto era visualizzare quel che leggevo. Quel che ricordo è che a scuola, dove mi annoiavo molto, il mio compito era quello di leggere i libri e visualizzare quel che leggevo con un disegnino accanto.
Quindi il mio istinto viene dal vedere le cose scritte. Ecco perché ho lavorato bene con Piero Angela. Lui scriveva e io vedevo. Io non volevo fare animazione.
Disney mi terrorizzava. Come si faceva a fare un film con ottocento dipendenti? Io ero lì solo. Impensabile, ridicolo. Poi un giorno casualmente scopro che ci sono canadesi, jugoslavi che fanno dei pupazzetti e raccontano delle storie interessanti, e dico “ma questi li so fare anche io”. Ho cominciato da li a ragionare, ma non avevo nessuna intenzione di farlo. Mi piaceva il cinema. Io andavo quasi ogni giorno al cinema a vedere un film, davvero. Sono quelle cose che decide la vita. Se Fellini anziché andare a Roma, fosse andato con un treno a Milano avrebbe fatto l’animatore!