Intervista a Don Cheadle: il jazzista Miles Davis in Miles Ahead
Don Cheadle ha “vinto” il ruolo di Miles Davis ben prima che lui sapesse di essere stato considerato per esso. Nel 2006, mentre Davis riceveva postumo il suo posto nella Rock and Roll Hall of Fame, il nipote di Davis, Vince Wilburn, diceva ai reporter che Cheadle era la persona giusta per il ruolo del genio del jazz. “Non stavo cercando di ottenere il ruolo in nessun modo” dice Cheadle. “Ci fu una dichiarazione, suppongo – una proclamazione – che io avrei recitato nel ruolo di suoi zio in un film.”
Intervista a Don Cheadle: il jazzista Miles Davis in Miles Ahead
Dieci anni dopo, Milles Ahead è pronto ad uscire nei cinema e Cheadle non solo è il maestro trombettista dalla voce rauca, ma affronta anche il suo debutto come direttore. Il film è uscito in anteprima nel 2015 al New York Film Festival e uscirà nei cinema l’1 Aprile. Piuttosto che una storia biografica convenzionale “dalla culla alla tomba”, Cheadle ha costruito la storia intorno al Davis del 1979, un periodo di paralisi artistica. Ewan McGregor ha il ruolo di un insistente giornalista che si intromette nella privacy di Davis che però diventerà il riluttante partner in crime quando dovranno recuperare una registrazione scomparsa di un brano musicale di enorme importanza. Come la musica di Davis, la loro avventura non conosce confini e il film “corteggia” un po’ il surreale. Nei flashbacks Davis corteggia e si ossessiona per la ballerina Frances Taylor (Emayatzy Corinealdi) e la loro storia ha un impatto enorme sulla sua musica. Segue l’intervista di EW a Miles Davis.
- Quando hai scoperto Miles Davis?
I miei genitori lo ascoltavano. La musica era nella casa da che ne ho memoria, ma penso che a 10 anni, quando ho effettivamente iniziato a suonare, suonavo il sax, ho iniziato a prestare più attenzione al tipo di musica, alla struttura della musica, alla composizione e a tutti questi aspetti di essa.
- Cosa faceva di diverso rispetto a tutti gli altri?
Era più un che cosa non faceva. Lo spazio che creava. I modi in cui permetteva alle cose di essere finite da chi lo ascoltava all’interno della propria testa, invece di cercare di definire ogni momento. Lo spazio era molto importante per Miles e questa era una cosa unica. Le persone di solito vogliono mostrarti tutto quello che sanno e Miles sembrava sottintendere e insinuare per lasciarti finire tutto nella tua testa.
- Per un debutto in direzione, sembra una storia di livello elevato. La sempre vista come quella che avresti voluto dirigere?
No e la prima volta che è arrivata a me, era solo qualcosa in cui avrei recitato. Quando poi ho incontrato la famiglia [Miles], gli ho detto che avrei voluto fare qualcosa di differente da quanto visto fino a quel momento, e che se avessi dovuto recitare nei suoi panni, il film avrebbe dovuto essere creativo e differente quanto lo era lui, che se il film non avesse avuto la stessa spinta aspirazionale avuta da lui, allora non ero veramente interessato al ruolo. E prima di arrivare a casa dopo quell’incontro, mi è parso chiaro che darebbe stato difficile per qualsiasi altro vederlo nello stesso modo in cui io lo vedevo, così se veramente ero intenzionato a farlo, avrei dovuto anche dirigerlo. E quando li stavo chiamando per dirglielo, loro chiamavano me per dirmi la stessa cosa.
- Miles ha avuto una vita vastissima, con una vastissima carriera e una vastissima personalità. Come hai deciso di concentrarti su quella parte della sua vita e focalizzarti su quello che hai girato? Perché molte biografie musicali cadono vittime degli stessi tropi.
Ho visto altri film che ho fatto – perché ho fatto parte di parecchi film del genere, a proposito. Film biografici dove immagino si possa parlare di tropi; direi che sono anche solo delle guide che bisogna consultare lungo la strada a un certo punto. Quando ti metti in testa di fare un film biografico, lo scopo, sia che sia dichiarato o no, è quello di mettere in risalto alcune parti e in ombra altre per creare un crescendo finale. È un tropo, penso la parola sia giusta. Ma credo che, soprattutto con qualcuno come Miles Davis con un vita che sembra esser stata così antitetica al concetto, la cui arte è stata così mutevole e spontanea e mai concentrato su cosa aveva fatto in precedenza; passava da una cosa ad un’altra senza voltarsi indietro; penso che sarebbe stato praticamente dissacrante nei suoi confronti fare qualcosa che avrei percepito come così standard, per così dire.
- Il film fa dei salti temporali ma è principalmente concentrato durante 1979. Perché ti sei focalizzato su quel periodo specifico?
Solo perché era il periodo in cui non suonava. Il fatto che non suonasse da cinque anni, fino ad allora. Era ad un punto di svolta a quel punto, e non credo che lui sapesse da che parte fosse diretto. Per quanto riguarda noi, durante le ricerche ci siamo imbattuto in questo periodo di cinque hanno di inattività e abbiamo detto “Aspetta. Cosa?” [ride] Quella era la parte di svolta come essere umano, secondo me. Musicalmente e artisticamente quello che ha fatto era eccezionale in ogni momento per me, per lo più. Ma per me, come essere umano e artista e come persona creativa, che cosa succede quando ti fermi per cinque anni? Ecco perché abbiamo scelto questo periodo di svolta: lui in procinto di imparare a parlare di nuovo, per così dire.
- C’è una parte del film in cui Miles dice: “Ci vuole molto tempo per essere in grado di giocare come te?” Immagino che questo sentimento non sia estraneo agli attori. Guardando indietro alla tua carriera, c’è stato un momento in cui hai capito chi eri? Perché immagino che quando hai iniziato questo lavoro l’hai fatto semplicemente in qualità di attore. Ma a un certo punto, non pensi di aver puntato su qualcosa in particolare?
Non credo di essere arrivato a questo punto. So di molti attori che davvero si sentono così. Alcuni cattivi, probabilmente. [Ride] Ma credo che la maggior parte degli attori – e la maggior parte delle persone – sono ancora curiosi e cercano di interpreatre ruoli che non hanno mai fatto.
- Quindi è una questione di paura?
Bene, non lo so. Tu sei là fuori davanti a tutti, mentre sta cercando di capirlo. Non sei da solo nel tuo garage ma davanti a delle persone, quindi se decisamente vulnerabile. Ma penso che quando si suppone di conoscere, o riconoscere: “Oh, questo è quello che dovrei essere” perché non è nelle mie corde. Io lo sto facendo per raggiungere qualcosa e quando si cerca di raggiunge qualcosa, si inciampa. In realtà il messaggio non arriva in modo limpido. La storia racconta che Miles era in hotel e ha sentito il bisogno di provare un assolo che poi ha eseguito sul palco. Come ha detto Herbie [Hancock], “Miles ci ha pagato per fare le prove davanti alla gente.” Questa, per me, è la cosa più rispettosa che si possa fare. Ho intenzione di mostrare tutti gli urti e le contusioni lungo la strada. Non voglio mostrare che le cose siano avvenute in maniera liscia e perfetta, perché non è quello che desiderava. Non so se questa sensazione può essere paragonata alla paura o se c’è un altro modo per dirlo.
- Quando hai interpretato Miles, stavi cercando di riportare sullo schermo una forma di jazz?
Stavo cercando di afre anche quello: due cose nello stesso tempo. Avere una forma ben precisa ma allo stesso tempo permettere agli spettatori di immaginarsi un altro ‘contenuto’. Chiaramente se non c’è completamente la forma per me è una stronzata. La sensazione è di avere tutte le carte in regola ma a un certo punto non sapere cosa stai facendo.
- La discussione intorno agli Oscar quest’anno è stata alquanto critica. Pensi di partecipare alla cerimonia?
Oh, io non vado agli Oscar, a meno che sia nominato. Potrei voler essere lì quest’anno solo per guardare Chris Rock, ma non so ancora quali saranno i miei progetti.
di Silvia Ceccarelli