Intervista a Giusy Frallonardo, oltre Elisa Claps: “Bisogna realizzare delle opere necessarie”
Elisa: Il Caso Claps e La luce nella masseria sono solamente due dei titoli che vedranno scendere in campo l'attrice prossimamente
Ricchezza professionistica, quantitativa e qualitativa, ruoli che si susseguono, collaborazioni illustri che saltano da un palcoscenico all’altro, passando per il cinema e per la televisione; Giusy Frallonardo, attrice esperta e dal talento indiscusso, ha parlato ai nostri microfoni a proposito di una carriera che nei prossimi mesi la vedrà emergere come assoluta protagonista del palinsesto Rai, grazie all’uscita di diverse opere, tra lungometraggi e serie televisive. L’interprete, nata a Bari nel 1972 e diplomatasi alla Bottega Teatrale di Vittorio Gassman, vanta un percorso lungo circa 3 decenni e il merito di aver ideato, 12 anni fa, un’esperienza teatrale unicamente emozionante, su cui toneremo più avanti, che porta il nome di Hell in the cave e consta di una suggestiva interpretazione dell’inferno dantesco. L’artista si è lasciata andare ad un’intervista stimolante, ricca di spunti interessanti e ritmata da profonde riflessioni su quello che l’arte, il cinema ed il teatro dovrebbero rappresentare e sull’entusiasmo scaturito dai grandi cineasti e teatranti con i quali ha collaborato. Vista negli ultimi anni impegnata in progetti come Buongiorno mamma, Viola come il mare e La porta rossa, Giusy Frallonardo sta ora tornando sotto diverse vesti ed è interessante conoscerne il punto di vista e la fervente passione.
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Partiamo dalla base: dove e come nasce la sua passione per la recitazione?
“Il momento in cui ho scelto di fare questo lavoro è stato durante il liceo; avevamo l’abbonamento per un piccolo teatro di provincia, dalla quale io arrivo, che ci ha permesso di assistere a diverse rappresentazioni, ma fu la visione de L’ultimo nastro di Krapp, con Michele Placido, ad aprirmi definitamente il cuore e la mente; mi sono detta «io voglio fare questa cosa qua!», era emotivamente potente, mi riverberava nell’anima!
È poi accaduto che nel mio paese, in procinto di abbatte uno dei teatri più importanti della provincia di Bari, un’associazione filodrammatica, capeggiata da Nico Manghisi, decise di fare una petizione popolare riuscendo a salvarlo. Io entrai presto a far parte di questa associazione, con cui non ho fatto spettacoli ma che mi ha permesso di inseguire la mia passione”.
Possiamo dire che questo sia stato per lei un periodo molto florido, ricco di progetti, e prestissimo la vedremo protagonista di diverse produzioni Rai: dalla miniserie Per Elisa – Il caso Claps al film La luce nella masseria, passando Il metodo Fenoglio e Noi siamo leggenda; ha voglia di raccontarci in breve queste opere? Di cosa trattano?
“Credo che riguardi molti di noi: le produzioni dopo la pandemia sono tornate a proliferare. Per Elisa – Il caso Claps è una storia tristemente vera, diventata un caso emblematico: il dramma delle persone scomparse è purtroppo un fenomeno molto frequente, sia in Italia che fuori. Io, in questa opera, sono il magistrato Rosa Volpe che, pur non volendolo fare per il rischio di andare contro al lavoro di un’altra procura, riapre il caso poiché cede alla passione e alla voglia di giustizia e di riscatto di quella straordinaria persona che è stata Gildo Claps, ottimamente interpretato da Gianmarco Saurino. Quando ho conosciuto la moglie di Gildo mi ha chiesto come avessi fatto a capire quando questo magistrato fosse diventato empatico nei loro confronti e io le ho risposto dicendole quanto, per me, il ruolo di suo marito fosse stato fondamentale per questo passaggio.
Per Il metodo Fenoglio non ho visto nulla perché, quando c’è stata la presentazione al Bif&st, io stavo girando; il mio personaggio è quello che introduce le indagini di Fenoglio, interpretato magistralmente da Alessio Boni. La cosa più bella per me è stata recitare a Bari, casualmente la seconda volta che mi accade per un prodotto basato sui romanzi di Gianrico Carofiglio“.
Come si gestisce l’accavallarsi di così tante produzioni dal punto di vista di un’attrice? Qual è la più grande difficoltà nel passare repentinamente da un ruolo ad un altro?
“Questa è una cosa che riguarda solamente noi attori moderni; il mio maestro Gassman diceva che loro, quando erano giovani, ogni sera interpretavano un ruolo diverso. Devo dire che in teatro hai più tempo per far crescere un personaggio, soprattutto rispetto alle produzioni televisive che corrono, sono soggette a tempi molto stretti. Si fa un po’ fatica, però ci sono registi con i quali si crea subito un feeling, come Tiziana Aristarco e Riccardo Donna, con cui ho lavorato per La luce nella masseria, che ci hanno voluto a Matera, dove siamo stati costantemente insieme per un mese.
Poi sono stata fortunata perché, nonostante l’accavallarsi di impegni, questi non si sono mai sovrapposti l’uno l’altro: finiva uno e cominciava l’altro”.
C’è, tra quelli a cui ha lavorato ultimamente, un ruolo in particolare in cui lei si è ritrovata? In cui si è riconosciuta? E qual è stato invece il più complicato da affrontare?
“Tra i ruoli televisivi, quello più complicato è stato quello del magistrato Rosa Volpe: ho dovuto parlare con persone che facevano quel lavoro, capire come si rapportavano alle carte e alle persone, essendo una realtà molto distante da me. Il personaggio che invece ho amato in maniera viscerale è quello che interpreto ne La luce nella masseria, perché è un personaggio per me anomalo: di solito mi fanno interpretare signore borghesi molto ricche ma in questo caso ero una contadina degli anni ’60 e io, una volta entrata in quei costumi, mi sentivo a casa, a mio agio”.
Le scelte, i rimpianti e gli orgogli di Giusy Frallonardo
Nella seconda parte dell’intervista, con Giusy Frallonardo abbiamo approfondito il discorso riguardo a quelle che sono le emozioni che la recitazione ha saputo e continua oggi a suscitare in lei, passando dall’entusiasmo di alcune sue collaborazioni, o aspiranti tali, all’impegno teatrale che prosegue in più vesti.
Rispetto alla sua carriera e alle scelte fatte in questi anni, ci sono dei particolari rimpianti o dei ripensamenti?
“Le cose che ho fatto le ho amate tutte, anche quelle che mi hanno fatto del male. Mi sarebbe piaciuto avere la determinazione di Sonia Antinori, una delle autrici e registe teatrali con cui ho lavorato, che porta avanti un discorso di linguaggi in tutto il mondo; mi sarebbe piaciuto seguirla maggiormente ma ho sempre fatto molte altre cose. Avrei anche voluto lavorare di più, per esempio, con Marco Bellocchio, con cui ho un grandissimo rapporto e che mi ha battezzata sul set”.
A proposito di Bellocchio, lei ha iniziato la sua carriera proprio al suo fianco con Il sogno della farfalla; che cosa ricorda di quell’esperienza? Qual è stato l’insegnamento più importante che ancora oggi l’accompagna?
“Marco l’ho incontrato quando ero alla bottega ma noi, finché non ottenevamo il diploma, non potevamo lavorare. Appena abbiamo finito però lui mi ha chiamato e mi ha fatto partecipare a questo film. Ti fa entrare nei personaggi con poche parole e guardandoti in un modo che ti tocca l’anima; ti dà poche indicazioni ma sono quelle giuste (al contrario dei registi teatrali che, solitamente, sono logorroici come me).
L’insegnamento che mi porto dietro dal mio primo set, invece, è che l’attore, al cinema, ha molto meno potere che in teatro; al cinema il potere ce l’ha il regista, è lui il vero artefice”.
Nel suo futuro cosa vede? Ci sono degli artisti e, in particolare, dei registi con cui vorrebbe tanto collaborare?
“Teatralmente il regista con cui volevo lavorare di più non c’è più, è Peter Brook, ma ce ne sono tanti, come Mario Martone e Alessandro Serra. Dal punto di vista cinematografico le posso dire che trovo l’ultimo film di Garrone, Io capitano, un capolavoro, un film necessario, perché questa è la cosa da fare in questo momento: fare delle opere necessarie; siamo in un mondo in cui tutto è rappresentazione, spettacolo e forse è il caso di fare un passo indietro, come per lo spettacolo teatrale che sto portando in scena, Ternitti, che affronta uno dei tanti processi eternit che hanno visto morire moltissimi operai”.
Per concludere l’attrice ci parla di un progetto, per lei fondamentale, che porta avanti da diversi anni:
“Ci tengo ad invitarvi a vedere lo spettacolo che facciamo nelle Grotte di Castellana (BA), Hell in the Cave; questo è per me il lavoro più importante, è come un figlio. Va in scena da 12 anni, ho investito personalmente il denaro guadagnato con le fiction e credo che sia anche questa un’esperienza necessaria, catartica”.
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