Intervista a Sebastiano Rizzo: quando il cinema cambia il mondo
È un cinema che fa a pezzi la fantasia, sporcandosi le mani tra la gente, quello firmato dal regista (e attore) Sebastiano Rizzo, in questi giorni al cinema col suo primo lungometraggio Nomi e Cognomi. La ragnatela della sua essenza umana, intessuta di buonumore, savoir-faire, testardaggine e coraggio, ci ha spinti a conoscerlo meglio. In un sabato mattina di metà maggio, accomodati ai tavolini di uno dei caffè più antichi di Roma, inizia a srotolare lentamente la sua accattivante storia: quella di un ragazzino che si divertiva nei villaggi!
Dietro la maschera più che nota, addentratasi nelle nostre tv con fiction quali Distretto di Polizia 1, Don Matteo, Le mani dentro la città – solo per citarne alcuni –, si celano gli strati sedimentati di un uomo che ha avuto il coraggio di innamorarsi del palcoscenico e del pubblico, senza ricorrere a divorzi disperati con l’incrinarsi della situazione. La passione è cresciuta insieme a me in maniera esponenziale fino a condurmi a Roma, all’età di 20 anni, dove ho iniziato a fare le prime esperienze, le prime accademie. – racconta Sebastiano – Ovviamente nella Capitale non conoscevo nessuno, per cui era uno sbattere continuamente ed inutilmente la testa contro i muri, così sono rientrato a Bolzano (dove sono nato pur essendo di origini calabresi), ritrovandomi in un mondo quasi estraneo a quello cinematografico. E mentre avevo iniziato a dedicarmi alla moda e al teatro, facevo avanti e indietro da Roma, cercando di aprire qualche porta. Ma niente: ogni mio sforzo sembrava inutile ed io ero esausto, così decisi di mollare per un attimo la presa, mettendomi in proprio e organizzando piccole cose di moda, teatro, etc… finché casualmente passò il treno che mi avrebbe cambiato le cose: si trattava di un film prodotto dalla Lux, Cristallo di rocca, del regista Maurizio Zaccaro, con il quale ho iniziato a lavorare come aiuto di produzione, aiuto di regia e, fortuna ha voluto: salta fuori anche un ruolo abbastanza decente, certo non importantissimo, ma è stato questo piccolo colpo di coda a ricondurmi finalmente nella Città Eterna.
Da lì mi sono dedicato moltissimo al teatro – fondamentale per farti le ossa – alzando sempre di più il tiro per arrivare poi ai primi approcci con le fiction e facendo chiaramente passi avanti anche con la regia teatrale. E poi sono stato il primo, circa 6-7 anni fa, a realizzare in Italia il primo spettacolo teatrale a favore anche delle persone non udenti.
Ho investito di mio: tempi, risorse, forze, energie, compassione, poi però l’assetto italiano mi ha un po’ tagliato le gambe, nel senso che supporti non me ne hanno mai dati, si sono divertiti a vivere sulle locandine di questi eventi, poi però alla fine tanta chiacchere e niente sostanza. Però non l’ho abbandonato, perché mi sono ripromesso di rimetterlo in piedi, quando magari riuscirò ad avere le spalle più grosse ovviamente.
Intanto ho iniziato una stretta collaborazione con una nuova produzione cinematografica Klanmovie (il Klan della legalità); siamo un gruppo di persone con un solo intento: dimostrare che è possibile uscire da quella malerba (malavita) e non ci sono scusanti. Il nostro intento è quello di lasciare il segno, ma non solo nelle sale cinematografiche, ma proprio tra le gente: vogliamo cambiare le cose nel nostro piccolo… sperando che un giorno tutti possano contribuire con piccoli gesti al fine di migliorare la nostra vita e quella degli altri.
Poi va beh, ritornando ai miei lavori, ho fatto cortometraggi, videoclip e ovviamente Nomi e Cognomi.
Insomma la tua vita professionale è un’altalena tra il teatro e il cinema, ma qual è la differenza tra le due forme di rappresentazione nell’ambito registico e attoriale?
Ma sul teatro il lavoro principale è fatto sull’essere umano, sull’attore, la fisicità e le emozioni. Al cinema lavori molto con gli occhi, le emozioni interiori, mentre al teatro non puoi sbagliare, sei lì: the show must go on, mentre al cinema lo stoppare ti supporta molto ma non è meno difficile anzi, sono due difficoltà eque.
Sebastiano, tu segui il fil rouge del “verismo”, ossia racconti storie realmente accadute, che fanno parte del nostro tempo. Perché hai scelto la via dell’autenticità filmica?
È un genere che amo molto, pur rendendomi conto di quanto sia difficile portare avanti un cinema di questa entità, ossia privo di botteghino. Mediamente un regista, specialmente se è agli inizi, cerca di farsi notare per gli incassi, ma io onestamente preferisco prendere la strada più difficile: voglio raccontare storie realmente accadute, che possano lasciare un messaggio.
Quindi credi che il cinema riesca a cambiare le cose?
Ne sono più che convinto! E poi ricordiamo che noi parliamo di cinema attribuendogli un aspetto spettacolare pensando subito a qualcosa di fantasioso. Ma se io introduco nella stessa macchina cinematografica un altro messaggio, allora prende un’altra forza.
Quindi il cinema e soprattutto le fiction, che entrano dentro le case degli italiani, devono trainare messaggi educativi, altrimenti è un’autodistruzione e poi non possiamo lamentarci se la gente spara fuori dal balcone, se i ragazzini girano con la cresta che non è solo moda perché poi diventa atteggiamento, azione e reazione e hai concluso tutto il quadro. Ecco che con Gramigna voglio creare un’anti-Gomorra, non perché abbia intenzione di andare contro la fiction, che anzi è ben fatta, ma semplicemente perché dopo 2 anni mi rendo conto che non ha lasciato nessun messaggio costruttivo e il risultato è che i ragazzini si stanno “gomorrizzando”. Questo per me è sbagliato!
So bene anche io qual è la realtà di quelle zone, ma io racconterò degli stessi luoghi, condurrò questi giovani nelle tenebre della realtà, insegnandogli però la giusta strada per uscirne.
Nel tuo film ci sono attori di grande spessore umano e professionale. Come è stato lavorare con loro?
Sicuramente il primo che ha sposato la causa è stato Enrico Lo Verso, attore straordinario non solo in Nomi e Cognomi ma in tutta la sua carriera e grandissima persona dal punto di vista umano. Si è dimostrato disponibile, umile e mi ha saputo mettere a mio agio, senza avere quella pretesa che di solito si ritrova in grandi attori di successo. Tra noi si è stabilito un rapporto fraterno e sicuramente ci sarà anche nei miei prossimi film, perché è una garanzia in tutto! A seguire abbiamo una Maria Grazia Cucinotta che, pur avendo un ruolo marginale, ha subito sposato al causa e certamente la sua presenza sul set ha creato tanta aspettativa. Non dimentichiamo poi Marco Rossetti, Ninni Bruschetta, Dino Abbrescia, Mingo De Pasquale e un cast di giovani molto importante come la napoletana Titti Cerrone, Aurelio D’amore, Paolo Strippoli, Marco Pezzella, Giorgia Masseroni, che sono stati molto bravi. Sia per merito loro ma forse anche per merito mio o magari abbiamo solo indovinato, via!
Ah ma poi manca la più brava di tutti noi messi insieme: la piccola Denise! Caspita ha 10 anni e sembra che Meryl Streep l’abbia posseduta. Farà sicuramente carriera!
Hai progetti per il futuro o vuoi ancora goderti la gloria di Nomi e Cognomi?
Assolutamente! Nomi e Cognomi è stata una bella guerra, ma non mi sento di essere arrivato: devo continuare a lottare e a dimostrare chi sono.
Ad ottobre è in cantiere un film liberamente ispirato al libro Gramigna, di Luigi Di Cicco e Michele Cucuzza che , come ti dicevo, vuole essere un anti-Gomorra, perché parla del figlio di un boss camorrista che, pur essendo nato in quel contesto, riesce a cambiare in meglio il suo destino. Insieme all’autore del libro Luigi Di Cicco – che tra l’altro due settimane fa è stato preso come esempio al salone della legalità come dimostrazione che la mafia non è ereditaria
Ho poi intenzione di riuscire a raccontare la storia di una ragazzina ammazzata involontariamente a Forcella 10 anni fa, (altra storia vera e sempre attuale) durante la lotta tra due cosche camorristiche.
Poi ho terminato la sceneggiatura di un Santo, che mi vede particolarmente coinvolto in quanto di origini Calabresi come me, San Gaetano Catanoso. Si tratta di un santo calabrese alquanto contemporaneo (1887 – 1964), beatificato da Wojtyla e santificato da Ratzinger nel 2005, la cui sceneggiatura – che è già pronta – mi è stata commissionata dalla madre superiore delle suore Veroniche, il cui ordine è stato fondato proprio da lui. Ne voglio parlare perché ha fatto davvero tanto per i bambini e per gli anziani.
Tre italiani a Cannes: Sorrentino, Garrone e Nanni Moretti. Per chi fai il tifo?
Non ho visto nessuno dei loro ultimi film. Li stimo tutti e tre perché sono dei grandi e dei mostri sacri, a partire dal buon Moretti, che è sicuramente un grande, che può piacermi o no a livello di stile ma tanto di cappello e tappeto rosso per lui e tutti e per gli altri due. Sorrentino viene di recente da un Oscar al quale non si può dire assolutamente nulla e Garrone ha fatto un gran percorso, pur venendo da recenti film, oltre Gomorra e Reality. Oggi come oggi se proprio devo premiarne uno credimi, è anche paradossale perché non è molto consono alle mie corde, è Moretti, poiché sia Sorrentino che Garrone hanno toccato delle vette altissime pur essendo giovani. È comunque un gran vanto avere tre registi italiani a Cannes.
Nel nostro sito c’è una sezione dedicata all’incontro tra il cinema, il cibo e i viaggi, Cinematografood. Ti va di rivelarci il tuo segreto in cucina o il luogo in cui speri sempre di tornare?
Sono astemio, non mangio pesce nella maniera più assoluta, se non il tonno in scatola. Sono una cosa pietosa nel cibo. Nei set di tutti i film sono stato la disgrazia della gente che doveva prepararmi da mangiare. Come calabrese non ho nulla in questo senso, al contrario di mio padre che ama il pesce e il buon vino. Io vado avanti ad acqua e coca-cola ogni tanto. Il mio piatto preferito è una pasta che fa mia madre, che non credo esista nel menù dei ristoranti, la chiamiamo pasta al forno, che è un misto di cose tipiche calabresi: la soppressata, le polpette, l’uovo, tutte impastate con i rigatoni. Oppure carne fina magra e ben cotta. Dolce una bella crepes con la nutella e banana e io sono apposto… Lo so mangio da schifo!
Il mio posto preferito invece va in base allo stato d’animo, in alcuni momenti ho nostalgia delle montagne altoatesine, in altri ho bisogno della settimana di mare in Calabria. Mi diverto con le nipotine alle 6 e mezza- 7 del mattino, quando il mare è una tavola ed è stupendo, poi verso le 10,30-11 me ne vado.