Isabella Ragonese parla di Letizia Battaglia e del loro primo incontro per la miniserie di Roberto Andò: “ero spaventata”
Isabella Ragonese interpreta Letizia Battaglia nella miniserie Rai dedicata alla fotoreporter. Ne abbiamo parlato col regista Roberto Andò e col cast artistico e tecnico.
Se ne è andata il 13 aprile 2022 Letizia Battaglia, una delle più grande fotografe di tutti i tempi, la fotografa contro la mafia come amava definirsi lei invece che quella della mafia, e non ha potuto vedere ultimata la miniserie di Roberto Andò a lei dedicata, Solo per passione – Letizia Battaglia fotografa, che va in onda il 22 e 23 maggio 2022 su Rai 1 e anche su RaiPlay in occasione del trentesimo anniversario della morte di Giovanni Falcone, Giornata della Legalità. Durante la conferenza stampa a cui partecipano Maria Pia Ammirati, Direttrice Rai Fiction, il regista Roberto Andò, il produttore Bibi Film TV Angelo Barbagallo, l’attrice Isabella Ragonese, parte del cast e una delle sceneggiatrici, Monica Zapelli, si percepisce da una parte la presenza ingombrante e divina di Battaglia e dall’altra la commozione perché a questa presentazione ci sarebbe dovuta essere anche lei al fianco della sua alter ego di celluloide, Isabella Ragonese che porta in scena una donna, una professionista, un monumento per Palermo e per l’Italia tutta.
Solo per passione – Letizia Battaglia fotografa: il racconto di una fotografa che con il suo lavoro ha spinto a pensare
La più grande e la prima fotoreporter donna, anticonformista, indicata dal New York Times tra le 11 donne più interessanti al mondo, Battaglia è una testimone della Storia, coinvolta e coinvolgente, che grazie al suo sguardo ha narrato la dura realtà di Palermo, dagli anni ’70 fino ai giorni nostri, l’assassinio di Piersanti Mattarella, di Carlo Alberto Dalla Chiesa, di Boris Giuliani, e lo strazio per le morti di Falcone e Borsellino talmente dolorose per lei da non riuscire a fotografarli. Lei è una figura fondamentale nella storia della Sicilia e del nostro paese, capace di mostrare povertà, mafia, stragi ma anche le donne attraverso le sue bambine in cui ritrova sé stessa, il broncio, gli occhi, attraverso le adulte e attraverso le mature. Le foto della Battaglia, in bianco e nero, hanno raccontato il lungo calvario di una città crudelmente e brutalmente assediata, la terribile mattanza durante la quale Cosa Nostra ha ucciso poliziotti, magistrati, cittadini inermi, nel corso del trentennio più efferato della nostra storia repubblicana. La sua è una vita in trincea, storia che diventa racconto di una realtà professionale da sempre maschile, quella dei fotoreporter di cronaca in quegli anni, in cui lei si è scontrata, unica donna tra colleghi uomini, imprimendo la realtà con il suo sguardo pieno di pietà e bellezza. La sua fotografia è un’arma per cambiare il mondo.
Si parte con le dichiarazioni di Maria Pia Ammirati: “Battaglia è stata tra le più grandi fotografe al mondo, ma anche una grande donna. Ringrazio tutto il cast che ha lavorato a questa produzione […] perché non era semplice fare un’operazione di questo tipo, portare sul piccolo schermo [..] e lo facciamo, guarda caso, attraverso un grande regista”. Ammirati deve fare il primo ringraziamento ad Andò che “si è misurato con una grande fotografa che è una donna dello sguardo. La regia è lo sguardo ma prima dello sguardo del regista forse c’è quello del fotografo, sarà che io ho una grande passione per la fotografia e per me la fotografia è il taglio, come io taglio questa scena, come guardo, quale è il mio punto di vista”.
E prosegue: “Purtroppo ammetto di non avere avuto modo di conoscere Letizia Battaglia e mi dispiace fortemente perché è una cosa che avrei dovuto fare, correre sul set; è una donna che ha lottato due volte, per Palermo, per la sua città, è stata una lotta civile, e ha lottato per le donne, e quella è una lotta universale. Quello che ha fatto Roberto Andò è mettere in luce entrambe le lotte che guarda caso poi si intrecciano con la nostra vita e la nostra storia“. La direttrice sottolinea come ciò che emerge è “un paese troppo ricco di contraddizioni” e Battaglia era lì, negli anni ’50, ’60, ’70, donna, fotografa. Letizia è stata un esempio di lotta per l’emancipazione, la conquista della libertà in una Sicilia dove per liberarsi dal giogo del padre, bisognava fare la “fuitina” passando da una schiavitù all’altra.
Citando Roland Barthes e il suo fondamentale La camera chiara, si mette in luce come quello della fotografa sia stato un atto sovversivo ma non perché tende a sconvolgere “ma perché tende ad indurci al pensiero” ed è per questo che ci ha fatto vedere i morti ammazzati, per farci pensare. Il suo è un occhio sensibile, di nuovo torna utile Barthes, che vuole appunto farci riflettere e lo ha fatto da donna, da donna ribelle, da fotografa. “Portare sul piccolo schermo una donna che nel piccolo schermo sta un po’ stretta perché era straordinaria ed enorme”.
Si aggiunge Barbagallo, il produttore esecutivo, che dice: “Di questo progetto mi è piaciuto avere la possibilità, dare un contributo al racconto di un personaggio straordinario. Ho incontrato Letizia un paio di volte, conoscerla è stata un’esperienza, confrontarsi con lei. Roberto che era grande amico di Letizia, ha avuto questa intuizione, assolutamente non banale perché non era facile”. Andò è stato capace di coinvolgere lo spettatore con la storia di una donna dal profilo straordinario, racconta il paese e gli aspetti più privati della vita di Letizia, ma anche la storia grande e lo fa con un “linguaggio, con un bel linguaggio, in un modo largo e coinvolgente, io penso che sia un prodotto godibile, molto commovente con un cast straordinario, così come la scrittura“. “Sono molto orgoglioso”.
Roberto Andò e il racconto di una donna con una voglia enorme di libertà, nella miniserie con Isabella Ragonese
Roberto Andò inizia il suo discorso, commosso, dicendo: “Oggi avevo un appuntamento con Letizia. Devo dire che, in qualche modo, l’abbiamo rispettato l’impegno. Abbiamo capito come in Italia dopo la sua morte, la gente le avesse delegato – un ruolo – in termini di simbolo, non solo come palermitani ma anche per i cittadini italiani”. Era una delle poche ad avere un mandato grazie a quello sguardo speciale, unico, irrequieto – “quella sua irrequietezza che ha fatto sì che non si pacificasse mai” – e libero, come lo era stata lungo tutta la sua vita e questo mandato lo ha ottenuto conquistandoselo con una tenacia e una intelligenza non solo per il suo lavoro ma anche come donna testimone.
Letizia Battaglia non era una donna facile, era brusca, scostante ma di grandissima generosità, è stata una donna che “non si è mai risolta dentro qualcosa, aveva una passione tale per cui aveva sempre voglia di andare avanti, quest’idea di cambiare il mondo la dominava, quest’idea di aiutare gli altri”. L’idea di realizzare un’opera su di lei è nata tre anni fa, durante l’inaugurazione della mostra dedicata alla fotografa al MAXXI, “vedendola lì, camminare così anche un po’ giubilata sapendo invece quello che ha passato” e poi la sera a cena il regista ha parlato di questo pensiero e lei ha subito accettato, con la solita ironia che l’ha contraddistinta dice “sono diventata una santa, vogliono toccarmi”. Tutto nasce da una specie di memoire che lei ha consegnato, è stata a fianco con la discrezione di una persona troppo coinvolta nelle cose, hanno raccontato una storia e a volte si sono presi il diritto di inventare con il benestare della fotografa. Ad esempio con Nisticò, il direttore famoso di L’Ora, Letizia aveva un rapporto pudico, invece nella miniserie hanno creato un rapporto molto più forte, di “parole” e “gesti”.
Il film è “su una stagione di cui siamo tutti protagonisti, tutti avremmo voluto fare quello che ha fatto Letizia e in qualche modo, ognuno a modo, proprio l’ha fatto. Letizia l’ha fatto in modo eccezionale, è sempre stata la persona in prima fila, non solo in una dimensione pubblica” ma anche privatamente – visita il manicomio di Palermo, fa volontariato, aiuta persone meno fortunate ospitandole a casa. “Non c’era giorno che non si dedicasse agli altri; ed è l’anima con cui, lo sguardo con cui, l’ispirazione con cui ha affrontato il mestiere di fotografa”.
“Questo film è un ritratto che riguarda la società italiana” – narrando una storia molto conosciuta, in un modo nuovo, scegliendo come punto di vista quello di una fotografa – perché la sua vita ha percorso molti degli anni cruciali della nostra storia da quando se ne è andata via da Trieste a quando è arrivata a Palermo e ha fatto i conti con una “delle possibili chiavi di questa città che è la violenza”, certo non l’unica ma una di quelle chiavi che sicuramente ha marcato per molto tempo la città.
“Letizia ha avuto una vita da romanzo, forse perché era in anticipo sui tempi e quindi entrava in contatto con persone che poi alla fine si rivelavano inadeguate (prima il padre e poi il marito)” e dalla serie emerge tutto questo. Emerge la voglia di ribellarsi ad un mondo che la vuole solo in un certo modo, l’amore per la sua città (di Palermo ama la bellezza decadente) di cui è potente narratrice e per la fotografia che come lei stessa amava dire è stata la sua salvezza, mezzo attraverso cui è riuscita a riappropriarsi di sé stessa, a trovare la sua identità. “La scoperta della fotografia come modo migliore per stare al mondo”. Grazie a L’Ora, Letizia scopre la fotografia, incontra la Storia vera, cattiva, grazie alla politica può fare del bene per Palermo e tutto questo è presente nella miniserie.
“Alla fine l’immagine che abbiamo è anche molto dolorosa, ma mai rassegnata; è sempre stata ottimista a costo di risultare candida, naif. Il film è stato non facile per vari motivi”: prima di tutto scrivere la storia di una persona che è vivente e che ha anche una famiglia che può reagire al racconto. Andò sottolinea come si debba affrontare con delicatezza e rispetto i nodi che la persona ha nonostante la fotografa volesse raccontarsi ma anche bisogna rispettare chi gira intorno alla persona. Lavorando insieme a Letizia, sentendosi ogni giorno, Andò dice che sono riusciti a conciliare tutto, realizzando “un lavoro fuori dalla norma”, come scalare una montagna anche a causa di quell’arco narrativo micidiale. Conclude dicendo che “Io mi ci ritrovo rappresentato, chiaramente è un ritratto di Letizia ma è anche un’autobiografia dissimulata” perché quella è anche la Palermo in cui il regista ha vissuto.
Letizia Battaglia e Isabella Ragonese: due donne che hanno dialogato
Complice di questo lavoro è sicuramente Isabella Ragonese, scelta dopo un provino – cosa che Andò non è solito fare – e poi da Battaglia stessa che le ha fatto uno screening. L’attrice che copre un arco lunghissimo dai 25 anni ai 65, si dà completamente per raccontare una divinità per i palermitani e “sfidare gli dei non è facile” dice Andò. Isabella dice che questo “è il ruolo della vita”, “non mi è mai capitato di avere nelle mani la responsabilità di una vita intera e di conoscere la persona che interpretavo e senti il dovere di rispettarla”, di raccontare un personaggio in cui la fotografa potesse rispecchiarsi. Ragonese è anche palermitana e quindi per lei questo ruolo ha ancora più valore: “è come interpretare una strada di Palermo, un monumento”; Battaglia è anche molto trasversale, è stata sempre presente nella città e per questo si percepisce ancora la sua presenza entrata nella “toponomastica”. La città conosce Letizia Battaglia, mentre Ragonese girava per le strade veniva accolta nelle case per bere un caffè come se fosse lei. “Ero spaventata, sono felice di avere fatto il provino è un modo di provare e essere rassicurata che potevo farcela, era fondamentale la fiducia che mi ha dato Roberto, con il coraggio e la benedizione di Letizia” in modo da capire di poter interpretare questa grande donna.
Racconta la volta in cui si sono incontrate. “Al primo incontro ha esordito: “Ah tu sei l’attrice? Ma tu sei troppo magra, io ero più in carne”. Parlavamo, lei fumava, mi ha fatto un caffè e poi mi ha guardata e ogni tanto faceva una foto”. “Ecco, questo non mi appartiene, questo modo di mettere in pericolo la persona con cui parlava, di non mettere non perfettamente a proprio agio che era un modo di conoscere, un modo di fare la fotografia, da noi si dice pittare, di disegnare la persona, in uno stato dove (la persona) non ha le costruzioni, dove non ha la formalità, uno stato in cui non pensa di essere guardata; questa cosa me la sono portata dietro. Questo atteggiamento sfidante che lei aveva, che era un modo di iniziare una dialettica con la persona che non era fine a sé stessa”. Anche per come fotografare, Ragonese ha avuto dei consigli: “Mi ha detto: “Io fotografo con tutto il corpo, io sono parte, perché guardo il soggetto, io aspetto una reazione, la provoco e a quel punto scatto”.
“Al primo incontro ho trovato un modo per trovare un legame, in tempi diversi avevamo fatto la stessa scuola teatrale di Michele Perriera, Teatès, abbiamo parlato di teatro, lo amava molto”. Ricorda come si percepisse la consapevolezza che la fotografa aveva, quando appariva sul set era come se spostasse l’aria. “La bellezza di questo film è averlo fatto con la fatica e la paura di averla conosciuta, un privilegio assoluto”.
L’attrice ha spiegato che il modo di guardare il mondo di Battaglia non è il suo ma che si è trovata così bene che forse lo prenderà ad esempio; ciò che sicuramente le ha unite è stata la storia di Palermo, quella sì le è risuonata dentro come qualcosa di familiare. Quella che ha vissuto con lei è stata una sorta di sorellanza.
Solo per passione – Letizia Battaglia fotografa: la difficoltà di raccontare una storia come questa
Monica Zapelli sottolinea tutte le difficoltà di narrare una storia che riguarda una personalità fortissima e complessa come quella di Battaglia. Si tratta di un racconto sincero in cui c’è l’esigenza di rispettare i sentimenti di chi c’è ancora.